Se Cuba diventasse un villaggio turistico degli Stati Uniti?

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Rosario PipoloL’euforia della pace fatta congela la memoria storica. Stati Uniti e Cuba, amici come prima? Suona bene come titolo di uno show musicale in cui il sound cubano scimmiotta il rock yankee, ma stona un po’ come slogan dello scongelamento graduale tra castristi e obamiani.

Da Miami, lucertola di terra americana che da sempre volge lo sguardo verso Cuba, la nave Adonia è partita verso l’Avana. E’ la prima degli ultimi cinquant’anni a salpare verso l’isola caraibica. Dalla crociera della Carnival, che fa lacrimare i cubani come se avessero visto cadere la cortina di ferro caraibica, bisogna indietreggiare fino alla vigilia della caduta di Batista per ritrovare naviganti cubani e americani condividere lo stesso mare.

Il Turismo – nella buona e nella cattiva sorte – profuma di buoni affari e piega, tra i corsi e ricorsi furibondi della storia, la stazza e l’orgoglio dei guerriglieri veterani, ultimo baluardo del comunismo isolano. La tuta sportiva, indossata dal novantenne Fidel Castro all’ultimo Congresso del Partito Comunista Cubano, è semplicemente l’abbigliamento di una fugace apparizione pubblica?

Potrebbe essere il segnale di quell’occidentalismo che imbianca la vecchiaia in uno stordimento collettivo. Trasformare Cuba in un villaggio turistico degli USA tra chitarre saltellanti, balli clienti, curve in costume, sarebbe la peggiore virata. Il Leader Maxìmo sa bene che “le idee restano”. Non basta però, perché la memoria ha bisogno di rinnovamento senza ripieghi.