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Abitare nel tempo: l’arredatore ritrovato

C’è il sole, tutti a mare ed io invece faccio il solito stravagante. Finisco in un delizioso negozio di arredamento e lo ritrovo tutto per me. Mi tuffo su un lettone rotondo in esposizione e giocherello con l’iPad, senza accorgermi di essere in vetrina. Insomma, desto la curiosità dei passanti, che pensano sia rimasto prigioniero in una domenica pomeriggio sulla soglia della calda stagione.
Invece no, ci sono capitato di proposito per ritagliare una pagina del mio diario: quell’estate di trenta anni fa e passa in cui mamma e papà mi portarono a scegliere la cameretta. Osservando i due titolari di Abitare nel Tempo di Assago che guidavano una giovane coppia nella scelta del proprio arredo, mi è tornata alla mente quella scena e ho pensato: adesso che siamo diventati tutti “pazzamente ikeizzati”, se fossi nato in questi anni mi sarei trovato immerso nel marasma dell’Ikea a scegliere il lettino e l’armadio. Insomma, è finita l’epoca della consultazione e presi dalla voglia matta del low cost a tutti i costi ce ne sbattiamo del resto. Ormai si va per l’omologazione e in molte della case che vado mi ritrovo la solita libreria Billy.
Senza togliere nulla al design svedese, forse dovremmo tornare ad affacciarsi dai mobilieri nostrani che si sforzano di ritrovare un equilibrio tra qualità e prezzo. Abitare nel tempo mi ha restituito un ricordo, quello di un giovane arredatore partenopeo che diede alla mia cameretta un’impronta che andasse al di là del tempo in cui l’avrei vissuta, lontana dalla crudele filosofia dell’usa e getta. Sarà pure una visione eccessivamente poetica, ma preferisco restare “prigioniero” nell’esposizione di quella vetrina e spacciarmi per l’under 40 anti-Ikea che fa l’impostore e rivaluta un mestiere dimenticato: l’arredatore.

Salone Internazionale del Mobile, la mia sedia ideale

Mi è rimasta addosso la passione per “la sedia”, nonostante non sia un tipo da stare fermo. Al Salone Internazionale del Mobile di Milano mi sono messo a caccia della mia sedia ideale.  Ripensandoci bene, ho rivalutato quella che c’era nella cucina dei miei alla fine degli anni’70. Rispetto alle oscenità delle amiche di mamma, la nostra aveva un pizzico di design che non guastava. Ne combinavo una dietro l’altra ed era lì sotto che mi rifugiavo, quando non volevo farmi trovare da papà. E poi con una sedia potevo farci di tutto. Una volta la collocavo al centro del palcoscenico e mi sbizzarrivo ad inventare monologhi; adesso mi siedo col Pc sulle gambe e scrivo.  La mia sedia ideale? Resistente per salirci sopra e protestare come un matto. Contro chi? Contro chi fa lunghi viaggi per portarci dall’altra parte del mondo seggiole low cost, mortificando un realtà di casa nostra: Manzano, la città della sedia italiana. Dovremmo fare una capatina lì perchè anche “sotto il culetto” fa bene sentire il made in Italy.