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Parliamone Sabato? Le donne dell’Est viste dal viaggiatore non sono quelle della Rai

Una decina d’anni fa, in occasione di un reportage di viaggio nei Paesi dell’Est Europa, mi feci accompagnare all’Università di Varsavia. Incrociai un gruppetto di studenti a cui raccontai questo episodio, chiedendo alla mia guida di tradurre.
Nella seconda metà degli anni ’80, alla periferia di Napoli dove vivevo, si erano trasferite molte donne polacche per lavorare come badanti e assistere gli anziani. In paese, nell’infelice pregiudizio retrogrado, circolava la voce che quelle femmine dell’Est fossero arpie perché stavano scippando i mariti alle mogli del posto.

Le ricordo il sabato mattina che si ritrovavano alla stazione per andare in gruppo a trascorrere il giorno libero nella vicina Napoli: condivisione dei giorni dalle nostre parti, sospiri nostalgici, mostravano le une alle altre le foto dei figli, dei mariti, dei loro cari.
Le ricordo con profonda commozione in fila all’ufficio postale a depositare i soldi guadagnati da mandare alle famiglie in Polonia. Salutai così gli universitari di Varsavia: “Siete una generazione sveglia, siete il cuore pulsante di questa Europa. Ringraziate e siate fieri delle vostre mamme venute in Italia a faticare per finanziare anche i vostri studi. Io le ho viste con i miei occhi”.

Chissà oggi cosa direbbero gli studenti di allora se sapessero dell’imperdonabile scivolata di Paola Perego e dei suoi autori che ha portato alla chiusura del programma televisivo Parliamone Sabato. Un colpo basso del Servizio Pubblico Televisivo, i cui vertici non si erano accorti dei “sei consigli” sul perché conviene scegliere una fidanzata dell’Est.
E pensare che proprio ieri un amico mi aveva parlato con entusiasmo del suo matrimonio a Bucarest di prossima data. Ora chi lo dice ad Alexandra, sua futura sposa e promettente psicologa over 30, che in Italia la Televisione di Stato è schiavizzata dal fetido maschilismo del bar sotto casa e dal populismo ad oltranza?

Forse il migliore modo per risarcire noi che paghiamo il canone RAI – finiamola con la solita tiritera che si tratta di una tassa sulla tv (se così fosse dovrebbe essere equamente distribuito a tutte le emittenti) – sarebbe sostituire lo spazio occupato dalla Perego, oggi capro espiatorio di tante altre zolle in cancrena del palinsesto, con una serie di ritratti delle donne dell’Est Europa nell’ultimo cinquantennio, affidati a firme autorevoli del giornalismo italiano. Sarebbe un’opportunità per affossare pregiudizi, curare il nostro strabismo.
La mia generazione ha dovuto aspettare la caduta del muro di Berlino per iniziare a dialogare e riconoscere da vicino la bellezza della gente dell’Est, vissuta nei miei on the road che mi hanno portato da Sarajevo a Belgrado, da Tirana a Bucarest, da Varsavia a Sofia.

Ci sono tanti modi per far violenza su una donna. La puntata di Parliamone Sabato è uno di questi. A viale Mazzini le mimose sono appassite da un bel pezzo.

1 maggio: oggi un Polacco è beato. Si chiama Karol Wojtyla

“…Prima ancora di indossare la tonaca, Karol Wojtyla è stato profugo di memoria clandestina per mano del destino che lo ha voluto artefice della storia, in cui per una volta gli ignoti e i repressi, sfigurati dagli orrori e dalla crudeltà dei regimi totalitari, sono tornati ad avere un volto, il suo. Beato sia, assieme a lui, chiunque abbia avuto, nella sofferenza delle oppressioni, quella faccia in prestito…” (LEGGI IL POST)

Karol Wojtyla, “beato” quel polacco…

Questa foto in bianco e nero del secolo scorso ritrae un giovane polacco, aggiungerei un giovane polacco sognatore. Il sorriso sornione di Karol è tipico della gente della terra da cui veniva: la Polonia. E l’ho constatato quando ci sono stato. Una mattina gironzolavo per le stradine di Cracovia e un venditore ambulante mi raccontò: “Correva proprio come lei in questo momento, ma impiegava ore e ore per attraversare la città. Chiunque lo fermasse, lui era lì pronto ad ascoltarlo”. Era forse l’unico uomo con la tonaca capace di far sentire amico chiunque gli stesse accanto, senza distinzione di razza, religione, cultura? Torno a ripetere: i polacchi sono esattamente come lui, gente semplice e lo hanno trattato sempre allo stesso modo, anche quando Roma lo ha chiamato.
Sulla tomba dei genitori di Karol, seppelliti nel cimitero di Cracovia, non ho trovato alcun segno che rimandasse in qualche modo al passaggio di quel “figlio” a personaggio chiave della storia della seconda metà del ‘900. Ovunque mi girassi in Polonia c’era soltanto sobrietà perché i polacchi sono tutti d’un pezzo, come le donne venute a lavorare da noi trent’anni fa, in coda nei nostri uffici postali per spedire soldi ai figli lasciati laggiù.
Durante un mio lungo viaggio negli USA nell’aprile del 2005, protestanti, ebrei, musulmani, ortodossi e di qualsiasi altra religione non esitavano a fermarmi, appena capivano che fossi italiano, e a ripetermi la stessa cosa: “Non mi sembra vero che se ne sia andato. Nel suo volto si ritrovava chiunque. Beato sia”.
Il 1 maggio, per chi è credente, la Chiesa proclamerà Beato il pontefice Giovanni Paolo II. E’ il primo passo per la santificazione. Tuttavia, il giovane polacco sognatore è stato già beatificato da un pezzo dalle comunità più disparate. Prima ancora di indossare la tonaca, Karol Wojtyla è stato profugo di memoria clandestina per mano del destino che lo ha voluto artefice della storia, in cui per una volta gli ignoti e i repressi, sfigurati dagli orrori e dalla crudeltà dei regimi totalitari, sono tornati ad avere un volto, il suo. Beato sia, assieme a lui, chiunque abbia avuto, nella sofferenza delle oppressioni, quella “faccia in prestito”.

Auschwitz, i binari del treno finiscono lì

Da bambino mi incantavo al passaggio di un treno. Nonno Pasquale mi portava un paio di volte a settimana in una piccola stazione della provincia di Napoli, per ripetermi puntualmente che i binari di un treno si prolungavano all’infinito. Tutto ciò mi stupiva e mi incuriosiva: avrei voluto percorrerli a piedi, senza tornare più indietro. Quei binari li ho percorsi, rendendomi conto che mio nonno mi aveva detto una bugia.

I binari del treno finiscono ad Auschwitz, nel cuore della Polonia, nel campo di concentramento costruito dai Nazisti per sterminare milioni di persone e decimare la razza ebraica. Le quattro ore trascorse lì mi lasciano un paio di riflessioni. Da una parte apprezzo la discrezione dei polacchi nella gestione del luogo, dall’altra penso che Auschwitz non possa essere soltanto un viaggio spirituale nelle viscere della memoria.

Una memoria senza futuro che radici ha? Fosse almeno il tentativo di evitare altri genocidi, come quelli che adesso feriscono Asia ed Africa.  Chi come me è andato lì, non può tornare normalmente a fingere di essere “l’uomo inserito” nello squallore della quotidianità.

In alcuni punti del campo ho avvertito una forte energia, una presenza in bilico tra mistero e suggestione, come se il vocio di alcune persone fosse ancora lì. Forse alcuni angeli di Oświęcim (questo è il nome del luogo in polacco) non hanno mai lasciato quel posto orribile. Non lasciamo che quelle voci sopravvivano come semplice “rimorso delle nostre coscienze”.