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Aniello Montano, l’ultimo apostolo tra socialismo e laicità che fece brillare l’Università Federico II di Napoli

Rosario PipoloSossio Giametta, luminare di filosofia, mise nero su bianco una verità scomoda al mondo accademico napoletano: “Se penso alle invidie che popolano l’Accademia, Aniello Montano è un santo per l’assoluta assenza nella sua anima irenica, pura e francescanamente semplice e umile, di ogni segno di bassezza e meschinità”.

A poche ore dalla scomparsa del Prof. Aniello Montano (1941-2015) continuiamo a chiederci come abbia fatto l’Università Federico II di Napoli, punto di riferimento dell’istruzione pubblica in Europa e tra le istituzioni laiche più antiche del mondo, a farsi scippare da un ateneo di periferia questo talento germogliato all’ombra del Vesuvio.
Persino chi si limitava ad osservarlo o a viverlo a distanza senza per forza essere suo allievo, aveva capito che il promemoria della sua storia era trascritto nei suoi occhi chiari di ghiaccio: negli anni ’80 instancabile ricercatore alla Federico II di Napoli; poi le traversate dell’Italia per raggiungere l’università di Genova in veste di docente di filosofia e infine l’approdo a Salerno, dove fu anche direttore del Dipartimento di Filosofia.

Negli anni in cui, all’interno dell’ateneo dove mi sono formato e con cui ho collaborato, padroneggiavano le lobby marxiste, quale terreno fertile sarebbe stato riservato ad un anti-accademico perbene come Montano?
E’ stato lui l’ultimo apostolo dalla visione laica e socialista che, sceso dalla cattedra accademica, ha portato la filosofia tra la gente comune e nella vita di tutti giorni, dando una gran bella lezione di umiltà alla presuntuosa classe docente di provincia.

Aniello Montano portò tra studenti, operai, casalinghe, appassionati, il verbo di Giordano Bruno, l’eretico ammazzato dalla stessa chiesa che secoli dopo avrebbe sparso, attraverso prelati spregevoli, arretratezza nella feudale landa nolana.
Mentre i faraoni di provincia si facevano erigere monumenti, intitolare strade, costruire cappelle cimiteriali per autoproclamarsi eroi e nascondere mezzo secolo di malefatte politiche, l’umanista Montano schiodava dal torpore più generazioni, lasciando in eredità una verità: l’amore per la cultura e per la filosofia ci salveranno così come la bellezza del mondo classico.

Oggi sventoli un drappo nero nel cortile della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Federico II di Napoli in memoria di Aniello Montano, punta di diamante dell’Istruzione Pubblica del nostro Meridione.
Chinino il capo mortificati i baroni e gli accademici miopi. Noi cresciuti qui, anche se abbiamo fatto ricerca su discipline diverse, ci arroghiamo il sacrosanto diritto di riprenderci ogni parete del Dipartimento di Filosofia e dedicarlo al prof. Montano.

Le onorificenze e la gloria appartengono alla nostra umanità. Resta la memoria sedimentata tra le persone. E se “Dio è anche mamma”, come ci scandalizzò Papa Luciani, allora vorrà dire che lo studio e l’evangelizzazione filosofica di Aniello Montano varranno il doppio. Lassù avrà finalmente conosciuto di persona Giordano Bruno.

Diario di scuola: l’immensità e il prof. di matematica Nello Altavilla in corso Buenos Aires a Milano

Rosario PipoloPasseggiando a tarda sera su corso Buenos Aires a Milano mi ronzava in mente il ritornello de “L’immensità”,  la celebre canzone scritta da Don Backy ed ispirata da una traversata a notte fonda nel corso milanese. Dopo aver canticchiato per alcuni metri “Io son sicuro che in questa grande immensità qualcuno pensa un poco a me e non mi scorderà” mi ritrovo faccia a faccia con un signore settantenne.

Lo riconosco. E’ il professore Nello Altavilla, che nel 1987 mi di disse:  “La matematica non è il tuo mestiere ma mi hanno detto che in italiano vai forte”. Accadde in una scuola media alla periferia di Napoli. Tante generazioni lo hanno avuto come docente di matematica. Nonostante per me fosse un supplente, è rimasto vivo il suo ricordo tra le pagine del mio diario scolastico. Finiamo a mangiare una pizza insieme, ci insoliamo dagli altri commensali.

Il prof. Altavilla trova terreno fertile di fronte a sé – non si accorge del reporter che c’è oltre la corteccia dell’ex allievo tra ricordi scolastici mescolati a quelli dei suoi studi. Li ariamo insieme e germogliano i sogni della generazione degli anni ’50 del secolo scorso, da studente dell’Alessandro Volta di Napoli fino ai giorni in cui andava a caccia di Renato Caccioppoli, il matematico napoletano raccontato magnificamente al cinema da Mario Martone. Il filo della memoria di Altavilla è lucido e il suo umorismo, che evoca quello dell’Alberto Sordi intervistato, colora la nostra conversazione. La memoria di Altavilla raccoglie ciò che ne era della provincia di un tempo, della semplicità perduta, dove anche la goffaggine e la “spavalderia dei vitelloni felliniani” erano in sintonia con quelle del Belpaese in bianco e nero.

Giungo ad una conclusione: la scuola ai tempi in cui ero allievo sedimentava legami speciali tra docenti e alunni. Nonostante sia passata tanta acqua sotto i ponti, troppa forse, il professore veterano fila la lana della confidenzialità con uno dei suoi tanti allievi. Questo per dire che, se ognuno di noi trovasse il coraggio di andare a far visita ad un ex professore in pensione, regaleremmo al nostro interlocutore la gioia di chi non vuole essere trascurato.

Il professore Nello Altavilla non si era accorto di essere finito in un’intervista. E forse un giorno ci ritroveremo a fare una passeggiata sottobraccio, a notte fonda, in corso Buenos Aires a Milano, canticchiando L’immensità. “Sì, io lo so tutta la vita sempre solo non sarò” metterà nero su bianco il legame tra un professore di matematica e un alunno “preso in prestito” in un’altra classe, che in fin dei conti non avevano smesso mai di volersi bene.

Professore Elia, sapete che il 2 novembre vi aspetto sul balcone per ascoltare “Imagine”?

Rosario Pipolo“Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo: una tazzina presa tranquillamente qui fuori… con un simpatico dirimpettaio… Voi siete simpatico, professò”. Il monologo capolavoro di Questi Fantasmi di Eduardo De Filippo fotografa i legami che si creavano nella Napoli che aveva fatto di un “balcone” il luogo privilegiato della socievolezza.

Mentre sbuffavo sulle noiose versioni di greco e latino, sentivo la voce del professore Elia che dava ripetizione ad uno studente di un istituto professionale. Mi affacciavo e mi appoggiavo alla ringhiera. Dall’altra parte del balcone c’era lui che mi sorrideva. Mi intrattenevo volentieri, qualche chiacchiera. Poi arrivava la moglie del professore che gli portava una tazzina di caffè. Saranno state le quattro di un pomeriggio d’autunno.

Ai tempi dell’università, il professore Elia mi chiamò dal balcone. Mi affacciai. Pensavo volesse rimproverarmi perché avevo il volume della musica troppo alto. Invece no. “Mi piace come suoni il pianoforte. Eseguila più spesso questa canzone”, mi disse con la sua voce composta e pacata. Io spiegai al professore che non era merito mio, ma del vinile di “Imagine” di John Lennon. Da allora tutte le volte che lo sentivo dare ripetizione, mettevo il disco. Ero orgoglioso che piacesse al mio dirimpettaio. A casa mia non apprezzavano mai la mia selezione musicale.

Quando mi sono trasferito a Milano, ogni volta che tornavo giù dai miei, mi appostavo sul balcone per incrociare il professore Elia. Con il passare degli anni, purtroppo lo incontravo sempre più di rado. Mi ricordo la sera in cui ero in partenza, con una marea di bagagli, per il trasloco definitivo. Mi diede una pacca sulla spalla, accompagnata da una carezza. A suo modo mi aveva detto: “Va’ e coraggio”.

La parete della mia camera a casa dei miei confina ancora con quella del professore. Stanotte torno a coricarmi nel letto dove sono cresciuto e mi sentirò solo senza il respiro di notte del professore Elia.
Ah, professore Elia! Siete stato più di “un simpatico dirimpettaio”. Avete attraversato con me un pezzo della mia vita, vedendo volare da un balcone, come uno sciame di palloncini, i sogni di un ragazzaccio di periferia. Il pomeriggio del 2 novembre vi aspetto sul balcone per farvi riascoltare il disco che piaceva tanto a voi. Sarà allora che le nuvole prenderanno la forma di petali di margherite. “Professò, vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo?”. Me lo avete insegnato attraverso la ringhiera di un balcone*.

*Dedicato ad Antonio Elia (1941-2013) in occasione del 2 novembre.

Il Concorso degli insegnanti, fumo negli occhi per chi “ripiega”

Rosario PipoloMentre il Ministro Profumo parla di ringiovanimento della Scuola Pubblica italiana attraverso il fantomatico concorso che dovrebbe piazzare più di 11 mila nuovi insegnanti, sui social network circolano a raffica i malumori: troppe incongruenze, contraddizioni, guerriglie tra precari e non che fanno gola ai sindacati, il panico per i test preliminari, che il prossimo 17 e 18 dicembre butteranno giù dalla torre una bella fetta di partecipanti.

Nei giorni bui di tagli da tutte le parti, ieri sera nel salottino televisivo di Fabio Fazio, il ministro Profumo ha rassicurato: “Occorre mettere ordine, riavviare il processo, e fare in modo che sia trasparente, in cui le persone credono. Abbiamo bisogno di un paese che non abbia stop and go ma una certa continuità”. Ci sarebbe una considerazione da fare, con la consapevolezza che l’Italia non può dare a nessuno lezioni in termini di “trasparenza di concorsi pubblici”.
Nel Belpaese del secondo dopoguerra del secolo scorso, c’erano due vie per scappare dalla miseria e trovare un rifugio economico dignitoso: la divisa militare e l’abito del monaco. Quanti della generazione di mio padre e di mio nonno ripiegarono, finendo sotto le armi o su un altare.

Con tre milioni di disoccupati che abitano in Italia, è inutile prenderci per i fondelli. Per quanti “salire in cattedra” sarà un ripiego? E non mi riferisco a chi da sempre sogna di svolgere la mansione difficile di insegnante per passione e vocazione, ma a chi magari ha sempre snobbato questa professione e adesso la sceglie perché si trova con l’acqua alla gola. E così nella mischia del prossimo concorso ci finiranno pure mancati medici, ingegneri, avvocati, contabili, informatici, creativi e compagnia bella, convinti che “insegnare” sia robetta da tutti, senza contare dell’ “altro valore aggiunto”.

Tornando all’intervento di Profumo, direi che “mettere ordine” nella nostra Scuola significa anche questo: un precario che supera i 50 anni non può piagnucolare con l’alibi di non avercela fatta perché è vittima del sistema lesionistico della “raccomandazione”; un candidato che sceglie come sede scolastica una regione diversa da quella in cui abita non può fare la “furbata” di trovare sotterfugi per tornarsene nel giro di qualche anno al paese suo a danno del sistema; gli “scalatori di graduatorie” non possono farla franca tra certificazioni innocue o invalidità soft; la scuola italiana non può definirsi civile finché non riconoscerà a pieno titolo, nel suo sistema contraddittorio, il sostegno e la figura degli educatori.

E se questo concorso è un bel vassoio “di brioche” da dare in pasto al popolo affamato fuori dal palazzo, la nuova Scuola Pubblica finirà presto alla ghigliottina. Proprio come capitò a due sovrani poco lungimiranti, Luigi XVI e Maria Antonietta di Francia per l’appunto: a recintare la fame del loro popolo non era una rivolta passeggera, ma una rivoluzione.

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Profumo e il concorso degli insegnanti

Anno 1991/1992: La III F del Liceo Imbriani di Pomigliano d’Arco (Na)

Alcune facce della III F

Rosario PipoloNevio, un mio ex compagno di liceo, mi ha rimproverato di brutto diversi anni fa. Diceva che sul mio sito non c’era spazio per la mitica III F del Liceo Classico “Vittorio Imbriani” di Pomigliano d’Arco. Spero che adesso sia riuscito a rifarmi di questa dimenticanza sul mio blog. Ottobre è il mese che associo agli anni di scuola superiore. Forse perché a mano a mano che entravamo nel tunnel autunnale, aumentavano le interrogazioni ed era un delirio. Soprattutto per me che marinavo i noiosi classici latini e greci per interessarmi di musica e teatro, due grandi passioni e oggi parte del mio lavoro. Ero finito in un liceo classico della provincia di Caserta, tra vecchi professori ammuffiti e un’aria di provincialismo, che per levarmela di dosso avrei dovuto cambiare regione. Mi sono trasferito a Pomigliano d’Arco, ad una manciata di chilometri da Napoli, al Liceo Ginnasio Vittorio Imbriani. Allora il mio liceo era in un condominio, mentre adesso si è trasferito in una bellissima struttura: hanno anche il sito http://www.liceovittorioimbriani.it/! Sono capitato in una classe di scalmanati, a cui mi sono legato fin dai primi giorni. C’è voluto tempo, ma poi ci siamo affiatati. Per carità, come in ogni classe che si rispetti c’è il secchione, “il lecchino” (questa categoria è da evitare assolutamente!), la volenterosa che ti fa copiare il compito in classe o “la cazzimmosa” che non aiuta neanche se ti vede spiaccicato alla lavagna. La mattina il viaggio in autobus veniva alleggerito dall’incontro con alcuni compagni di sventura: Nevio, Lilly, Annamaria, Rossella, Cinzia, Enzo e Gaetano, quest’ultimo di un’altra classe. Appena si entrava in classe, ognuno finiva dietro al suo banco e poi c’era la suddivisione come in Parlamento. Il gruppo degli esuberanti, pronti a mettere in croce i professori. C’eravamo io, Nevio, Giacomo, Fabrizio, Alessandro, Genny (Gennaro!) e chiunque si poteva aggiungere era sempre il benvenuto. Il più equilibrato era Tiziano, il primo della classe, che aveva tanta bontà sotto il cappotto. Ho trafitto di sfottò la mia prima compagna di banco – la dolcissima Claudia – perché pensavo fosse snob. Invece era una ragazza stupenda… Ricordo con nostalgia Sara, Loredana, Tiziana, Rachele (che aggiornavo sulle sorti del suo amato Luca Barbarossa!), Nadia, Carmen, Marilena, Grazia, Maria e Valeria. Ah, Valeria che spesso in Vespa andavo a salutare al Parco Arcadia. Una volta abbiamo studiato anche assieme. E poi confessiamolo pure: mi piaceva la sorella Marina, che tenerona! E i professori? Una tragedia:li cambiavamo ogni anno. Simpatici e antipatici, molti dei quali erano per fortuna estremamente umani. Alcuni insegnano ancora lì: Rosa Anatriello, Raffaele Corcione e Anna Maria Esposito (My Sweet English Teacher!). La mitica III F si è congedata nel luglio del 1992 con l’agognata maturità classica. Da allora ci siamo rivisti in diverse occasioni e poi ci siamo persi di vista. Quando ho visto il film “Notte prima degli esami” di Brizzi con quella marea di zaini Invicta ho pensato a quel periodo. Un po’ di nostalgia è legittima sì o no? Scagli la prima pietra chi di voi non è legato agli anni delle scuole superiori! Mi piacerebbe ritrovarli su questo blog, magari qualcuno vi finirà prima o poi. Raccontare tutto sarebbe troppo lungo. E se ognuno di voi aggiungesse una polaroid scovata tra i banchi di scuola superiore?