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Ciao Antonio, amico e dono della “strada” di periferia

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rosario_pipolo_blog_2Ci ho messo mezza vita per bollare la consapevolezza che la strada mi ha donato la maggior parte delle persone che hanno abitato la mia esistenza. Non ho detto un condominio, un appartamento, il terzo piano di un palazzo. Ho detto la strada, una strada di periferia, punto. L’infanzia ti dona gli amici, ma poi con il passare del tempo te li sottrae.
La strada no, li spinge tra le braccia della quotidianità e li lascia vivere lì, in un angolo, anche quando te ne vai, anche quando sei dall’altra parte del mondo, illudendoti che nei posti in cui sei cresciuto tutto resti immobile e la memoria sia protetta da una forzuta campana di vetro.

Quella con Antonio è stata un’amicizia fiorita per strada, lì alla periferia di Napoli, anche se con suo fratello minore c’eravamo conosciuti tra i banchi dell’asilo. Con il passare degli anni mi divertiva il fatto che io e Antonio avremmo potuto comunicare con i segnali di fumo, perché i nostri balconi erano dirimpettai in linea d’aria.

Il posto dove lo rincorrevo era un polveroso campetto di calcetto, soprannominato da noi ragazzini “campetto dell’Avis”, perché si trovava a pochi passi dall’associazione dei volontari donatori di sangue. Io con il pallone non c’entravo nulla, ero assolutamente imbranato e l’unica scusante era il destino da piccolo occhialuto “quattr’occhi”. Antonio era sempre garbato in occasione di quelle poche partitelle in cui mi tiravano dentro.
Quando anni dopo lo ritrovai con i fratelli a gestire un negozio di noleggio video – lì respiravo l’atmosfera del film indipendente Clerks – me ne uscii con questa battuta per cui mi attribuirono un futuro da pubblicitario: “Altro che Warner Bros, tutt’altro cinema con i Cerbone Bros”.

Antonio prese in sposa una mia adorata compagna delle scuole elementari ed io mi convinsi che “la strada” era capace di cucirti addosso una nuova famiglia, fatta da quelle stesse persone che costellavano la tua quotidianità e soltanto in apparenza erano delle comparse.
Le amicizie da strada,
come quelle tra me e Antonio, non hanno niente a che fare con queste odierne misurate tra i mi piace convulsi di Facebook o le logorroiche chat di WhatsApp. Erano tutt’altra storia, avevano il tanfo dell’asfalto, il rialzo di un lungo marciapiede, il recinto di una panchina dove ritrovarsi a chiacchierare e spingere i sogni di quelli della nostra generazione.

Il dolore e la rabbia ti assalgono quando ripensi all’ultima volta che lo hai incontrato, qualche anno fa, senza immaginare che quella sarebbe stata l’ultima. Nessuno ti avverte quando un’amicizia da strada finisce lassù, perché nessuno immagina quanto conti ancora davvero per te.

Adesso chi glielo dice ad Antonio che non ho mai smesso di volergli bene? Gli ho fatto un bel dispetto per questo doloroso scherzo, ho fregato una sua bella foto. La guardo e me lo ritrovo accanto in una notte milanese. Piango lacrime di marzo. Sono sempre io, l’amico di strada con i capelli brizzolati, occhialuto come allora.

Anna verrà perché la Politkoskjava è viva!

“Anna verrà col suo modo di guardarci dentro, dimmi quando questa guerra finirà, noi che abbiamo un mondo da cambiare”. L’inizio di questa canzone sembra scritto apposta per Anna Politkoskjava, la giornalista russa ammazzata a Mosca il 7 ottobre del 2006. Me lo ricordo quel giorno. Rincasavo con alcuni pasticcini perché festeggiavo assieme ad amici il mio onomastico. Fu un giorno amaro.
Nel videoclip del brano di Pino Daniele si intravede una sequenza del film Roma Città Aperta: se al volto di Anna Magnani sostituissimo quello della Politkoskjava, restituiremmo a quelli spari un alto valore simbolico.

Anna verrà, perché alcuni di noi se ne vanno in giro sottobraccio con il libro di Andrea Riscassi “Anna è Viva” per perdersi nei sentieri della giornalista russa ammazzata crudelmente. Basta la scrittura immediata e tagliente di Anna a raccontarci il regime russo, quello che schiacciò la rivoluzione della Perestroika di Gorbacev per fare spazio all’orrenda restaurazione. A qualsiasi prezzo, anche con il sangue, bisognava ricomporre le assuefazioni dello zarismo e mescolarle ai crimini e i misfatti degli ex KGB.

Anna verrà nei giorni in cui c’è un potente passaparola per dedicare alla Politkovskaja una strada in questa grigia Milano, che ogni tanto vive l’euforia del cambiamento per poi tornare nel torpore. Facciamo finta di niente, perchè tutti noi subiamo nel nostro piccolo lo squallore di una dittatura invisibile, che ricatta la nostra esistenza ai tempi di una crisi spaventosa. Si trova sempre l’escamotage per togliere agli indifesi e proteggere le lobby, dove si accampano i potenti malfattori.

Anna verrà, appena nei teatri e nei palcoscenici delle piazze troverà attori e attrici dallo spessore di Ottavia Piccolo, che una ventina d’anni fa mi raccontò in un camerino del Sud Italia: “Chi fa il mio mestiere deve assolvere anche un impegno civile”. Ottavia, nella sostanziosa prefazione al libro di Riscassi, ci mette una volta per tutte la pulce nell’orecchio e smaschera chi si era convinto che la Politkoskjava fosse “presa da una baldanza donchisciottesca”.

Anna verrà, nel giorno in cui penne dall’inchiostro rosso sangue, asservite ai ricatti del potere mediatico, torneranno a mettere nero su bianco come stanno veramente i fatti. E questo accade anche sotto l’ombrello di “quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia”, sussurrerebbe l’apostolo Gaber.
“Anna verrà col suo modo di sorridere per questa libertà, noi che abbiamo un mondo da cambiare, noi che guardiamo indietro cercando di non sbagliare”. Anna, ti sto aspettando. Anna, ti stiamo aspettando. Fai presto.

Anna Viva

Il blog di Andrea Riscassi

Anna verrà di Pino Daniele

Diario di viaggio: Oltre la strada della mia infanzia

Questa è l’immagine della strada in cui ho trascorso parte dell’infanzia, a ridosso della periferia di Napoli. La prima volta che l’ho percorsa da solo, avevo promesso ai miei che non sarei andato oltre. Sul marciapiede del palazzo accanto al mio incontrai un gruppo di ragazzini. Uno di loro mi diede una pistola giocattolo e mi disse: “Unisciti a noi, nessuno ti farà niente. Siamo noi i più forti. Chi supera questa via è solo un debole”. Gettai a terra l’arma giocottolo e feci il contrario di ciò che mi avevano indicato.

Sulla strada principale c’era un altro mondo: uomini, donne e bambini che disegnavano con onestà e buona volontà i contorni della quotidianità. E forse furono proprio loro, assieme alla protezione dei miei genitori, a confondermi per non farmi capire il segreto di una porta bucherellata sul ciglio della strada principale: erano i colpi di pistola lasciati dai killer infami, nel nuovo bradisismo camorristico che tentava di abbattare lo strapotere dei vecchi capi.

Sono tornato nella strada in cui ho trascorso parte dell’infanzia, una domenica mattina dopo una lunga convalescenza. L’ho ripercorsa di nuovo. I ricordi sono finiti sotto la polvere; le mura screpolate delle facciate dei palazzi indicavano spudoratamente che il tempo mi era sfuggito dalle mani; le lenzuola stese nascondevano le storie iscenate un tempo sui balconi.
Non c’erano più bambini guerrieri o pistole giocattolo. Sono stati spazzati via. Era rimasta intatta soltanto l’indicazione del “senso unico”, l’insegna che tanti anni dopo mi ha fatto ritrovare il significato della domenica: vale la pena condividerla con una donna speciale, la stessa che ha rinununciato alle spavalderie della sua gioventù per dividere il suo tempo con ragazzi e ragazze che non hanno più una famiglia su cui contare.

La notte è fatta per i vampiri e la luna mente, perchè non vive di luce propria. Non passavo in quella strada dal 1986, lo stesso anno in cui era nata lei. Ci sono tornato di giorno e la luce del sole, folgorante cone quella della sua anima, mi ha fatto tornare sui passi di ciò che sono.