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Diario on the road: Girotondo intorno al Lago Maggiore

Ogni lago ha il suo carattere: quello di Garda è esibizionista e nottambulo; quello di Como è chic e fricchettone e il Maggiore, com’è? Sì, proprio il lago che abbraccia Piemonte, Lombardia e Svizzera, usato dalle nostre maestre come tranello alle interrogazioni di geografia. Noi ci cascavamo puntualmente, perché pensavamo che fosse il più esteso d’Italia.
Il Lago Maggiore è discreto e riservato fino a Verbania, proprio come i piemontesi, ma poi tira fuori tutto il suo carattere e una bellezza inaspettata che lascia senza fiato. Ho fatto un girotondo in auto di 186 chilometri , costeggiandolo tutto. Una fermata ogni manciata di passi per dialogare con lui, svelare il segreto della sua anima, raccogliere storie. Una passeggiata ad Arona e poi ritagli da cartolina come i due vecchietti di Meina mano nella mano, lo splash dei bimbi a Solcio o il vocio degli stranieri nel centro di Stresa.
Dalla finestra di un edificio in stile liberty mi godo le ultime briciole di un tramonto. Sono su una collina, all’ostello della gioventù di Verbania-Pallanza. Vanessa, piemontese doc, mi accoglie con un sorriso e l’accento partenopeo di Pasquale mi riporta tra le braccia della mia Napoli: “E’ più forte di me. Io non riesco a tuffarmi nell’acqua del lago. Il mare è il mare”, ci tiene a precisare. In camera faccio quattro chiacchiere con PierAlfonso, veronese figlio di siciliani, che ha scelto questo rifugio lacustre per staccare la spina dalle ossessioni della quotidianità. Sul lungolago di Pallanza sgranocchio noccioline a mezzanotte, ascolto jazz con le mie cuffie giganti e un tizio seduto al bar dice al suo vicino: “Il solito matto austriaco in vacanza”. Più che austriaco, direi marocchino, vista la mia abbronzatura in stile “terruncello”! Poi mi perdo in piena notte e ci pensa Andrea a riportarmi indietro in auto: lo chiamano il ventenne dalle “gambe lunghe”. Mi racconta di essere appena tornato da Santiago De Compostela dove si è fatto 800 chilometri a piedi in un mese. Finalmente ho trovato un pazzo come me, con cui magari condividere in futuro una lunga passeggiata, sì ma non proprio così estrema.
L’indomani riparto: mi intrufolo tra le bancarelle del mercato di Intra, tra le salite e discese di Cannero Riviera. A Cannobio mi godo i surfisti tra le onde del lago e mi sembra di essere tornato nella baia di San Francisco. La frontiera è ad un passo: Puff ed eccomi in Svizzera. L’euro ormai è cartastraccia e da Mc Donald’s mi chiedono più di 12 euro per un menu base. A Locarno cazzeggio tra i vicoli della città vecchia e poi a piedi diritto sul lungolago al tramonto. All’ostello Palagiovani incontro Alfio, uno svizzero vero che mi racconta di quei posti, dei suoi avi, di questo Canton Ticino che parla in italiano. Spalmate a volontà di Ovomaltina (la Nutella swiss!) e poi ancora on the road tra i sussurri lacustri a ridosso di Magadino e San Nazzaro. Cosa c’è di meglio se non spaparanzarsi al sole?
Passo la frontiera italiana e nel gabbiotto non c’è nessuno. Ho un dubbio: non è che gli svizzeri si sono comprati all’asta per quattro soldi lo stivale italiano?  Il Lago Maggiore torna lombardo e a Luino mi sembra di essere finito sulla riviera Romagnola, dando a morsi piadina e crescione. Anna e Massimo si sono trasferiti qui dalla Romagna una vita fa, hanno messo su la deliziosa piadineria Divina, che come per magia si trasforma anche in un’allettante gelateria. Li adoro perché hanno una grande qualità: farti sentire a casa in un posto che non ti appartiene! Non restano tanti chilometri al traguardo, ma c’è ancora Porto Valtravaglio, un doppio panino con salamella in riva a lago a Laveno-Mombello, Ispra e Angera, dove un gruppo di anziani mi fa il battimano e mi dice: “Mai un visto un napoletano che gira il lago con tanta passione”. Alle 21.42 sono a Sesto Calende, fermo l’auto sul ponte e mi metto in piedi sul cofano con lo sguardo verso il Maggiore. I passanti pensano che voglia buttarmi di sotto. Ma io di sotto lancio una bottiglietta con questo pensiero scritto a penna: “Ci sono viaggi e viaggi. Caro lago, grazie per essermi stato accanto perchè sai sussurrare la spiritualità tipica dell’acqua salata”.

Veicolo: Fiat Punto 1200 a metano
Carburante: 11 kg di metano (costo: 9€)
Chilometri: 186
Velocità media: 60km/h
Soste: 42
Tempo di percorrenza (incluso pernottamenti): 53 ore
Dettagli: No navigatore; no strade a pedaggio.

Mina 70, un batticuore sotto casa sua

Da adolescente soffrivo della sindrome del cavaliere romantico. Se mi piaceva una ragazza, la aspettavo sotto casa e non mi muovevo se non la vedevo uscire. L’estate scorsa sono stato a Lugano per lavoro. La conferenza stampa era fissata ad ora di pranzo ed io sono arrivato in Svizzera in largo anticipo. Ho iniziato a girovagare, è stato più forte di me, volevo incontrarLa. Sono finito da tutt’altra parte, ma poi per fortuna ho trovato l’indizio che mi ha portato sotto casa sua. C’era un piccola bottega di alimentari poco distante: ho acquistato una bottiglia d’acqua, sperando che passasse a fare la spesa. Ho sostato all’edicola e mi sono intrattenuto a parlare col tizio. Di lei neanche l’ombra. Dopo una decina di minuti, avevo oltrepassato il cancello ed ero nel condominio dove abitava. Scrutavo balcone dopo balcone e immaginavo che lei uscisse fuori a stendere il bucato. Mina era una cantante, mica una casalinga? Si era fatto tardi, sono andato via. Il giorno dopo, di domenica pomeriggio, ci sono tornato prima di prendere il treno. Ho provato a citofonare al portinaio, niente da fare. La discrezione svizzera non si smentisce mai. Mi sono steso a terra, lanciando lo sguardo verso il cielo. E’ spuntato quel timido batticuore che mi assaliva da adolescente. Lei quel pomeriggio non era uscita ed io c’ero rimasto male. Mi consolavo perché dopo tutto lei era a pochi passi da me, magari nella sua cameretta che impazziva con la versione di latino.  E Mina Mazzini dov’era? Forse dietro di me e non me ne sono accorto. Questa paginetta del mio diario, signora Mazzini, è solo un pretesto per farle gli auguri di compleanno per i suoi 70 anni. Ognuno ha “la sua Mina” , e la mia non è di certo né  quella di Le mille bolle blu né quella di Brava. Mi piace portarmi addosso la voce graffiante di Il corvo, la voce folgorante di Rose su rose, la voce che rialza la speranza di Amornero. Le lascio una carezza perchè la sua voce mi ha tenuto compagnia in certe sere nere, desolate, quando rincasavo tardi e non c’era nessuno ad aspettarmi.

Montreux Jazz Festival ci serva da lezione!

Prince al Montreux Jazz Festival 2009

Rosario PipoloLa Svizzera può insegnarci qualcosa su come si fa un festival. Aggirandomi al Montreux Jazz Festival, ho ritrovato la concezione di “festa”, quella stessa che Gillo Pontecorvo cercò di portare negli anni ‘90 al Festival del Cinema di Venezia. Pontecorvo non tradì la sua indole di “innovatore” perché aveva capito che un festival doveva essere “condivisione” per tutti, e non passerella elitaria di pochi. Ritornando alla musica di Montreux, mi ha fatto immensamente piacere vedere migliaia di giovani assiepati sul lungo lago, nel parco o fuori all’Auditorium ad ascoltare musica, condividere divertimento e un buon bicchiere di birra, senza avere necessariamente il biglietto della grande serata. Chi se ne frega di tirar fuori dalla tasca 120 euro per Prince, quando poi al Jazz Cafè ci danno la possibilità di vederlo in diretta video gratis? Questa sì che è vera democrazia! Ispirarsi ad una manifestazione, non significa copiarne in parte soltanto il programma. E’ lo dimostra la scarsa presenza di pubblico al Milano Jazzin’ Festival che scimmiotta Montreux. Per non parlare delle date annullate, come l’interessante duetto tra Occidente e Oriente con Hancock e Lang lang. Non sono un arcipelago di live a casaccio all’Arena Civica a farci sentire ad un festival. Eppure l’anno scorso il Milano Jazzin’ Festival era tutta un’altra musica. Montreux ci serva da lezione per fare qualche riflessione intelligente, senza piangerci addosso.