Come se fosse un Pesce d’Aprile…
Ero troppo piccino perché non confondessi un Pesce d’Aprile con un imperdonabile sgarbo. Mi fermavo raramente alla mensa dell’asilo. Quando mamma ritardava, c’era una bimba che tirava fuori dal cestino la rosetta del suo pranzo e mi dava puntualmente un rombo di crosta di pane. Lei aveva capito che io alla mollica non ci andavo appresso. Un gesto così affettuoso mi faceva andare al settimo cielo, perché sono convinto che lei sia stata la prima persona, al di fuori del mio nucleo famigliare, a prendersi cura di me. Quel 1 aprile lei non venne e mi dissero che aveva cambiato scuola. Scoppiai in lacrime. Venne a soccorrermi la maestra con un pesciolino di cioccolato per spiegarmi che era stato uno scherzo dei miei compagni ed era lecito farli in questo giorno.
Allora se è davvero così anche oggi, spero che sia un Pesce d’Aprile trovare migliaia e migliaia di volti spauriti, che si sono lasciati alle spalle la loro terra in guerra e sono venuti da noi per sentirsi chiaamre “clandestini”. Facciamo da scaricabarile, ci lamentiamo con i governi e le istituzioni, ma poi siamo noi i primi a non volerli. Il problema è uno solo: abbiamo perso il coraggio di guardarci negli occhi e questo ci allontana dall’ipotesi che nessuno è clandestino di un bel niente se viene a raccogliere un briciolo di speranza. Chissà se tutti questi uomini, donne e bambini, arrivati su un barcone e scampati alle intemperie del mare, avessero avuto lo stesso trattamento se fossero stati proprietari di piccoli giacimenti petroliferi. Li avremmo potuti adottare uno per uno nell’ottica del “vicino” colonialista che vede questa crisi del Mediterraneo come l’ultima chance per tornare ad essere padroni in Nord Africa. Mentre stanno ripulendo Lampedusa per farci credere che sia stato solo uno scherzo di pessimo gusto, illudiamoci che questa triste vicenda sia un “fottutissimo” Pesce d’Aprile e che il presente tribolante possa essere prima o poi un ponte verso la pace e democrazia per tutti loro.
Allora, sapete cosa vi dico, questa volta non ci casco neanche io: mi fermerò in stazione e aspetterò fino all’ultimo treno. Sono sicuro che prima o poi arriverà, adesso cresciutella, deliziosa come lo era allora, e dalla sua borsa tirerà fuori tutte quelle croste di panino che non mi ha dato in tutto questo tempo, lungo quanto quello di uno scherzo da Pesce d’Aprile.