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Archives Maggio 2012

Brindisi e il viso di Melissa: Io (non) ho paura!

Se dovessimo raccontare l’attentato alla scuola Morvillo-Falcone di Brindisi attraverso una serie di tag, potremmo mettere “Melissa” al di sopra degli altri: “Mafia”, “Terrorismo”, “Attentato”, “Brindisi”, “Scuola” sono passati spudoratamente in secondo piano.
Staccandoci dal clima di indignazione generale e dalla voglia di conoscere il mostro esecutore, continuo a chiedermi se a questo tragico evento sia necessario dare un volto: quello innocente di Melissa Bassi, capro espiatorio di un normale sabato scolastico finito in quel maledetto giorno da cani. “I ragazzi non si toccano” e ce lo siamo detti già, a Brindisi e altrove. Tuttavia, questo sacrosanto comandamento non vale soltanto per mafiosi, terroristi o farabutti, ma anche per chiunque faccia informazione.

Oggi portatori sani di notizie, piacevoli o tristi, lo siamo un po’ tutti. Basta lanciarsi sulla pista di pattinaggio dei social. L’emotività è così esplosiva da quelle parti che forse ci può stare una foto di Melissa girovaga da una bacheca all’altra di Facebook. Facciamola passare per una smisurata preghiera in formato digitale, sperando che il Padreterno sia diventato tecnologico e non se la prenda a male se ci siamo ridotti ad invocarlo sotto forma di clic. E ci può stare pure il gossip innocente del fidanzatino di Melissa, che tra brufoli, bacetti e litigate, si porterà dietro la polaroid più dolorosa degli anni scolastici.

Gli studenti, che sabato scorso a Brindisi hanno preso parte alla manifestazione “Io non ho paura”, avrebbero dovuto protestare anche contro quello sciacallaggio mediatico che pianta il dolore e la disperazione nella radice della furfanteria clownesca. Fare zapping e incrociare il padre di Melissa pedinato da una telecamera, con lo stesso stile cinematografico di Gus Van Sant, è l’ennesimo oltraggio ad un dolore pubblico e privato.

Io non ho paura di chi vorrebbe farci credere che in Italia anche la scuola sia diventata una trappola per topi di fogna.Io ho paura di chi si è assuefatto che lo show debba continuare sempre e comunque. Io ho paura di chi ha scambiato una bara bianca per un set da fiction, distruggendo l’incantesimo di una vera preghiera: una catena infinita di parole dell’anima che dovrebbe mettere la piccolezza umana al riparo, tra le braccia del Padreterno.

Scusate il ritardo: Giovanni Falcone e le scadenze di un Anniversario

Questo post lo leggeranno in pochi. In Italia la memoria ha una maledetta scadenza: il giorno dell’anniversario.
Alcune estati fa, mentre i palermitani si arrostivano sotto il Solleone di Mondello, mi afferrarono per pazzo. Mi feci accompagnare in motorino al camposanto di Santo Spirito a Palermo. Chi vuoi che ci fosse al cimitero in un’afosa mattina d’agosto? Una coppia di beccamorti e un tizio all’entrata. Quest’ultimo mi guardò infastidito quando gli chiesi indicazione per la tomba del giudice Giovanni Falcone. Da dietro gli occhiali scuri mi rimproverò come a dire: “Se ne vada pure lei a mare ad abbronzarsi”. In effetti ero pallido come una mozzarella.

Pensavo di trovare lì la stessa fiammella, sempre accesa, che avevo visto a Washington sulla tomba del Presidente Kennedy. Avrebbe tradotto alla perfezione questo pensiero del giudice ammazzato a Capaci dalla Mafia il 23 maggio di vent’anni fa: Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”
Era cappella come tante altre, con qualche fiore insecchito lasciato da qualcuno. Sporsi il capo all’interno e, leggendo i nomi sulle lapidi, mi convinsi che non avevo sbagliato luogo. Quella mattina d’agosto, girovagando nel centro storico di Palermo, ebbi la sensazione che Giovanni Falcone fosse uno qualunque. Eppure, qualche anno prima, ero passato nel capoluogo della Sicilia proprio a ridosso della marcia commemorativa dedicata a Falcone e Borsellino. Mi chiedo: la memoria ha bisogno dei rimbalzi emotivi dell’anniversario? Ieri i social nwtwork sono stati invasi da immagini e parole dedicate al magistrato ammazzato. E adesso? Dopo il ventennale della morte di Paolo Borsellino, quanto ci toccherà aspettare?

Un anniversario rischia di arrugginirsi in fretta quando non seminiamo memoria nella quotidianità, traducendo l’iconografia dei due magistrati martiri nelle minuscole concretezze del quotidiano: adottiamo console di videogame come babysitter dei nostri figli, invece di tradurre in fiaba il significato del coraggio; continuiamo a scambiare farabutti per eroi, invece di valorizzare le azioni invisibili dell’eroismo comune; lasciamo che i ricatti dell’invisibile illegalità entrino nel nostro quotidiano e per omertà chiudiamo un occhio, anzi due; ci illudiamo che mai nessuno alzerebbe le mani contro una scuola, senza mettere in conto che la lucida follia di un bombarolo potrebbe fare di tutto il contrario di tutto. Ogni mattina dovremmo dedicare un minuto di silenzio ad eroi come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, perchè se possiamo guardare diritta negli occhi la persona che amiamo e sussarle “ti amo”, è anche grazie al loro atto d’amore verso un’ingrata civiltà, la nostra.

La domenica e il riscatto del Sud con la Coppa Italia al Napoli

Erano troppi anni che la Coppa Italia non tornava alle falde dal Vesuvio. C’era arrivata l’ultima volta nel 1987 tra le mani di Maradona, con la buona parola di San Gennaro e prima che la città di Napoli entrasse nell’epoca del bassolinismo illuminista. Mentre la città risorgeva nella culla della più grande bolla di sapone degli anni ’90, la squadra calcistica finiva sotto terra per colpa di una cattiva gestione, che poi altro non era che il riflesso di chi amministrava lo stesso capoluogo campano.

De Laurentiis ci ha creduto e ha riportato il Napoli ad essere il grande Napoli, quello che sa farti traballare con l’ostinazione di un allenatore come Mazzari, che all’Olimpico però ha saputo fare. Il Napoli di Mazzari ha messo all’angolo la Juventus Campione d’Italia. Lo ha fatto purtroppo in una domenica in lutto per l’Italia: da una parte lo choc per la strage di Brindisi, dall’altra il timore che il maltempo complichi il disagio dei terremotati in Emilia-Romagna.

Tuttavia, sforando i perimetri delle curve antropologiche e sociologiche di una comunità, il pallone segna da sempre il riscatto dei popoli del Sud: accade a Napoli come a Buenos Aires o a San Paolo. I vincitori di questa Coppa Italia sono tutti i napoletani che tornano a riscattare, attraverso la loro squadra, la città dagli scempi della cronaca degli ultimi tempi. Sui volti di coloro che sfileranno sul lungomare Caracciolo fino alle luci dell’alba troveremo per l’ennesima volta la dignità del Sud, di chi riesce a fare di una “speranzella” – come avrebbe cantato Renato Carosone – il sellino per cavalcare il futuro.

Fa sempre un effetto strano pensare che “’O Surdato ‘Nnammurato”, composta quasi un secolo fa da Cannio e Califano, continui ad essere un inno di gioia e festa conosciuto in tutte le parti del mondo. Eppure il celebre brano racconta tutt’altro: la lontananza di una coppia nei giorni della guerra perchè lui è al fronte. I napoletani sono riusciti a stravolgere con la loro personale interpretazione persino il testo di Califano, forse in maniera legittima, perchè dopotutto una partita di pallone è la metafora più appropriata della vita: i vinti possono trasformarsi all’ultimo istante in vincitori, con la consapevolezza che solo il domani legittima la meritata vittoria di oggi.

Il diario di Mascia del terremoto in Emilia-Romagna:”Pensavo di morire!”

Una foto del municipio di S. Agostino scattata alle 6 di questa mattina

Alle 4.05 una forte scossa di terremoto ha messo in ginocchio l’Emilia-Romagna. Paura anche nelle regioni vicine, inclusa la Lombardia dove la terra ha tremato. Mascia L., educatrice, lascia sul nostro blog un ritaglio di questa notte terribile, vissuta a pochi chilometri da Finale Emilia, l’epicentro. Questa è una foto del municipio di Sant’Agostino scattata alle 6 di questa mattina. Se avete altre testimonianze, lasciatele pure su questo blog.

Abito a Renazzo, una frazione di Cento, in provincia di Ferrara. Sono praticamente a 6 chilometri dall’epicentro. Alle 4 ero a letto che dormivo. La scossa e il boato sono stati fortissimi. Si è mosso il letto, si sono aperte le ante degli armadi, in tre secondi siamo scesi al piano terra e per le scale non tenevo l’equilibrio, sbattevo a destra e sinistra.
Sono caduti i quadri, un lampadario, tutto ciò che c’era sulle mensole. E’ andata via la luce qualche secondo. Ci siamo riversati in strada, ma la terra continuava a tremare. Saranno stati quasi 20 secondi.
Dopo una mezzoretta ci sono state altre piccole scosse. Nel giardino dei miei vicini c’è una crepa che va da parte all’altra. L’hanno vista crearsi sotto i loro piedi. Mi sono sentita completamente impotente. Sembrava che la terra si volesse sollevare.
Una paura del genere non l’ho mai provata in tutta la mia vita. I telefoni non funzionavano, per cui sono corsa a Cento dai miei genitori. Stavano bene e li ho trovati per strada. Abbiamo fatto un giro intorno. La chiesa qui di fianco è mezza crollata. Due aziende ad una manciata di chilometri da casa mia si sono accartocciate. E pare che ci siano tre morti in una delle due.
Per fortuna la mia casa è antisismica e non ci sono danni. La paura è tanta ancora. Continuiamo a stare per strada ”.
   (Mascia L.)                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

Addio a Donna Summer che si porta via il sorriso della ragazza occhialuta

Vorrei aver fatto un brutto sogno. Mi sveglio e la regina della Disco si è dissolta dietro il sipario. Donna Summer ha perso la battaglia contro una brutta malattia che l’ha portata via a 63 anni. Speravamo di rivederla dal vivo, con quel suo charme e quell’energia black. Non glielo toglie nessuno il trono di Lady of the Night, come si intitolava una celebre canzone, perché le sue hit continueranno a smuovere le chiappe e le gambe di tante altre generazioni.

Me la ricordo nel piccolo televisore in bianco e nero che avevamo in cucina al tramonto degli anni ’70: sorriso raggiante, voce suadente, bucava lo schermo. E nonostante quelli della mia età fossero condannati ad ascoltare canzoncine per bambini, a me Donna Summer piaceva da matti.
Quando scoprii il significato della parola “razzismo”, mi sembrava tutto così assurdo perché per me gli uomini e le donne di colore avevano le voci più belle del mondo.

Donna Summer ha accompagnato casualmente un recente viaggio on the road. Mentre solcavo in auto la pianura padana con l’andamento di un lumacone, chiesi a bruciapelo alla mia compagna di viaggio: “Sei felice?”. E lei replicò: “Sì”. Prendemmo la rincorsa su una canzone della Summer che usciva dall’autoradio e fuggimmo via verso casa.
Adesso che la regina della Disco se n’è andata, forse si è portata via anche il sorriso della ragazza occhialuta. Le canzoni di Donna Summer continueranno a svolazzare dal mio autoradio così come quello sguardo disciolto in un paio di occhiali  costeggerà la mia vita per sempre.

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MoVimento 5 stelle: Protesta o proposta?

Non si sa quanto resteranno illuminate le “5 stelle” del MoVimento di Beppe Grillo: i pareri e le previsioni sono discordanti. Il piccolo diavolo della politica italiana può essere accostato ad una Publitalia in miniatura stile revolution o ad un’ammucchiata di scontenti di come vanno le cose in Italia, che, invece di trovarsi al bar sotto casa, si incontrano dove capita.

I grillini se la suonano e se la cantano: si reputano gli alfieri della “proposta”, ma, facendo qualche conticino con l’aiuto del pallottoliere, sono l’urlo rabbioso della “protesta”. E ci sta in un’Italia in cui i buoni propositi della Seconda Repubblica si sono rivelati la più grande illusione data in pasto agli italiani, spazzando via il ceto medio.
I politici e i politicanti di mestiere – da Sinistra a Destra passando per un Centro ballerino – devono farsene una ragione. Hanno perso ogni credibilità. E non lo confermano soltanto sondaggi e i risultati delle ultime amministrative, ma la strafottenza che si legge in giro sulle facce della gente.

Smettiamola di stemperare la precarietà con il languido buonismo. Qui la questione non è né radunare l’Armata Brancaleone né cibarsi del “giornalettismo” sensazionalista che grida al ritorno delle Brigate Rosse in Italia. Ci vorrebbe del buon senso. E senza questo anche gli apostoli di Beppe Grillo finiranno per scannarsi come è accaduto nelle liste civiche dei paesotti, in cui tra gli infiltrati c’erano figli e nipoti dei vecchi orchi della politica locale. Andando di questo passo, siamo ancora lontani dalla Terza Repubblica.

Festa della Mamma: Un petalo di margherita a Micol Fontana

“Son tutte belle le mamme del mondo”, cantava Giorgio Consolini all’alba degli anni ’50. Sono ancora più belle “le mamme” che hanno deciso di esserlo in tutto e per tutto, comprese quelle lavoratrici. E ancora oggi qualche volta sento palleggiare il solito luogo comune da chi punta il dito e giudica: “Tu donna in carriera? Lascia perdere l’idea di avere un figlio, non fa per te”.

Mi è tornata in mente una scena in bianco e nero dell’Italia del ‘900. Una donna imprenditrice che non dimenticò mai di essere madre. Micol Fontana, che da sartina di provincia si trasformò in una delle più grandi stiliste del mondo, non sacrificò mai l’amore sterminato per la figlioletta Maria Paola.
Rivedendo la fiction riproposta dalla Rai su una parte della sua vita, mi ha colpito la scena in cui va a riprendersi la figlia a casa dei suoceri. Il primo marito voleva liquidarla così: “Tu dedicati ai tuoi abiti, a Maria Paola ci penso io”. Micol non si separò più dalla bimba fino al giorno in cui la piccola fu strappata prematuramente alla vita, per aver preso il tifo.

Nel giorno della Festa della Mamma ho scelto Micol Fontana per restituirle un pezzettino della sua maternità, anche se non sono suo figlio. Non ho mai avuto una bisnonna e Micol potrebbe esserlo. Le offro un petalo della prima margherita che raccolsi per mia madre in un campo alla periferia di Napoli trentacinque anni fa. Quel petalo non colmerà il vuoto per la perdita di Maria Paola, ma le ricorderà di essere madre per l’eternità,  la più tenera.

 Fondazione Micol Fontana

Il vaffa della Francia a Sarkozy: chiedete a Simone Cristicchi dov’è Carla Bruni!

“Meno male che c’è Carla Bruni. Siamo fatti così – Sarkonò Sarkosì . Che bella Carla Bruni, se si parla di te il problema non c’è”. In questo lunedì post elettorale ci sta proprio bene lo spirito graffiante di Simone Cristicchi. Bisognerebbe tradurre la canzone in francese e inviarla ai nostri cugini d’oltralpe, che alle urne sono stati chiari: un vaffa deciso alla presidenza edonista di Nicole Sarkozy.

Finisce un’era? Non direi. La partitella di ping pong è tutta lì, tra la “Gauche” e la “Droite”, senza troppi sensi di colpa, correndo ai ripari dagli estremismi baldanzosi di le Pen.
Il socialismo gonfiabile di Madame Ségolène Royal ha fatto acqua da tutte le parti, già durante la campagne elettorale del 2007. Cosa porta François Hollande all’Eliseo? Sembra più una ventata di protesta che una reale voglia di “Gauche”. E’ inutile girarci intorno: in Francia il socialismo girava bene quando a muoverlo c’erano gli ingranaggi machiavellici. E in questo François Mitterand ne fu maestro, perché il suo charme istituzionale lo tutelò ai tempi andati dalla diarrea che seppellì il craxismo italiano.

Mettendo Parigi in disparte che è una città-stato all’interno della Francia, cosa si aspettano i francesi dal nuovo Presidente? A dispetto di chi è convinto che il suo programma conciso lo abbia portato alla conquista dell’Eliseo, vogliamo ripetere che François – Hollande naturalmente e non Mitterand – non è mica un rivoluzionario. I suo primi passi li ha mossi nel grembo dell’élite d’oltralpe, che tutto ha fatto fuorché la rivoluzione.
Se i socialisti deluderanno la Francia, staremo a vedere. Hollande fonde un ruffiano populismo con spasimi global.
Ci consola una certezza. Il Re Sole, pardon Nicole Sarkozy, è stato mandato al rogo. Quale sarà la fine di Carla Bruni? Chiedete a Simone Cristicchi di aggiornare la sua canzone, perché noi intanto vogliamo ricantarla: “Meno male che c’è Carla Bruni. Siamo fatti così – Sarkonò Sarkosì . Che bella Carla Bruni, se si parla di te il problema non c’è”. Sarkonò, punto.

Cartolina da Brescello: Io sto con Peppone e Don Camillo e vi dico la mia

A Brescello non c’è nessun manifesto elettorale, in vista delle amministrative del 6 e 7 maggio. Tuttavia, al centro della piazza del paesotto della provincia di Reggio-Emilia, ci sono due statue sorridenti. Sono quelle di Peppone e Don Camilo, i due personaggi nati dalla penna di Guareschi, che hanno fatto la fortuna di questo luogo attraverso l’interpretazione cinematografica  del francese Fernandel e dell’italiano Gino Cervi.

Julien Dunvivier volle questo posto come set della serie di film dedicati al simpatico parroco e al sindaco comunista. Da allora Brescello è meta di pellegrinaggi. Persino la curia locale si è trovata in serio imbarazzo, perché il crocefisso, all’interno della chiesa, è continuamente visitato. Miracoli? Forse uno e dietro una macchina da presa: quello di parlare al parroco Don Camillo.

Arrivare in questi luoghi, che sembrano essere incollati al bianco e nero dell’Italia del Neorealismo, ti fa uno strano effetto. A metterci la pulce nell’orecchio c’è il museo pieno di cimeli, valorizzato dalla Pro Loco, ma il resto lo ha fatto la storia locale. La piccola stazione deserta è identica a quella di ieri e sui binari si sente ancora l’odore delle rotaie dell’ultimo treno, quello che, nel film “Don Camillo”, portò via il parroco più amato della storia del cinema.

La Brescello di Peppone e Don Camillo apparteneva all’Italia povera, sincera, che allontanò i rumori delle bombe per raccogliere la speranza seminata di un futuro migliore. Il passaggio travagliato da sogni contadini a quelli della rampante civiltà del boom economico avrebbe avuto un caro prezzo da pagare: nascondersi senza prendere una posizione netta.
A quei tempi o stavi con Peppone o con Don Camillo, conservando comunque la lealtà verso sogni ed ideologie. Oggi invece finisci prigioniero di molte liste civiche, che sono la liquefazione della diarrea da Prima e Seconda Repubblica. E le prossime elezioni amministrative ce lo dimostreranno.

Il regime democristiano è stato censore al cinema quanto il fascismo, ma per fortuna Peppone e Don Camillo l’hanno scampata bella. E ritornare a Brescello, anche in una mattinata uggiosa, è l’unico modo che il viaggiatore ha per risanare la memoria dei nostri nonni dalle porcherie di chi vorrebbe farci credere che qualcosa sia cambiato.

 Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone

 Visit Brescello

Diario di viaggio: Il tesoro di Sabbioneta nello sguardo di Carolina

Volevo portarmi un souvenir speciale da questo mio ritorno a Sabbioneta, la bomboniera segreta, patrimonio UNESCO, ai confini tra il mantovano, il reggiano e il cremonese. E questa volta il pretesto per tornarci non erano solo lo gnocco fritto e la spalla cotta di Ciano, un buon bicchiere di lambrusco, la rassegna musicale all’interno del magnifico teatro o l’arte che si respira in ogni angolo di strada. La scusa erano alcuni legami che vi avevo lasciato, sospesi come quelli dei viandanti di una volta e che racchiudono il vero significato degli spostamenti di un viaggiatore.

Ho ritrovato la memoria impavida della comunità sabbionetana nel viso beato di Carolina, 85 anni portati splendidamente. Ero faccia a faccia con lei, poco prima di partire, ad un tavolo del bar Ducale. Mentre l’anziana signora voleva convincermi che i movimenti lentissimi degli arti la rendevano una figurante di una pellicola sbiadita del secolo scorso, io invece pensavo esattamente il contrario.
La sua lucidità, che scivolava in quel filino di voce, mi ha riportato ai tempi in cui noi giovani trascorrevamo più tempo con gli anziani, prima che l’invasione delle “badanti” li rendesse apparentemente rottami da museo. Sabbioneta non è “un paese per vecchi”, ma ha un tesoro che va oltre l’arte e le pagine di storia lasciate da Vespasiano Gonzaga: sono gli anziani, colonna portante di una comunità, perché se non fosse stato per il loro coraggio, noi oggi non staremmo qui a parlarne.

La gioventù dovrebbe trasformare la fretta dello sciupare il presente nella disponibilità a scambiare quattro chiacchiere con loro, a sedimentare nei racconti dei nonni la memoria civile che rende qualsiasi paese davvero libero. Negli occhi luminosi di Carolina ho scoperto l’ultimo segreto della Sabbioneta del secolo scorso, quello in cui bastavano i legami affettivi a rendere gli uomini felici.
Stringendole la mano, prima di partire, mi sono ricordato dell’ultima volta in cui lo ha fatto mia nonna Lucia. Da allora non mi sono più voltato indietro, perché sapevo che non l’avrei più trovata.
Eppure, nei miei vagabondaggi, mi capita sempre l’occasione di rivederla accanto a me, come è accaduto a Sabbioneta dopo l’incontro con Carolina, 85 anni portati splendidamente bene, protagonista del film più bello che sia stato girato nella cittadella della provincia di Mantova: la visione lucida della dignità di chi ha vissuto la vita per la famiglia.

 Sabbioneta