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Archives Febbraio 2013

Regionali 2013: Al Pirellone the winner is Bobo. Chi, Craxi? No, Maroni!

Rosario PipoloLa fiaba “lumbard” ha un nuovo incipit: “Missione compiuta”. Bobo è il nuovo principe del Pirellone. “Bobo chi? Bobo Craxi?”, chiede un vecchio addetto alle pulizie del palazzo della Regione che, come in ogni fiaba che si rispetti, si era addormentato tra vecchie scartoffie per oltre vent’anni. No, Bobo Maroni, la faccia della nuova Lega che ha mandato a casa il vecchio Carroccio del Senateur e del Trota. Nonostante l’emorragia di voti a livello nazionale e regionale, la Lega si tiene stretta la Lombardia e Roberto Maroni si sveglia Presidente della Regione.

Gli elettori lombardi lo hanno preferito al principe poetico e sognatore Ambrosoli e hanno sbattuto la porta in faccia pure al vecchio sindaco Gabriele Albertini, che vedrà il Pirellone soltanto in una cartolina in bianco e nero della vecchia Milano. Rispetto al Lazio, la Lombardia va controvento. Nonostante gli scandali che avevano travolto il Pirellone, l’elettorato medio padano continua a veleggiare nella stessa direzione politica e non scatena nessuno tsunami come è accaduto con Zingaretti a Roma.
Anzi, Roberto Maroni può vantare anche un successo personale. Una lista civica tutta per lui che si è aggiudicata più del 10%, che si traduce in 11 seggi. Del resto perché dovremmo meravigliarci? Nella Sicilia di “Il Gattopardo” la Lega ha scippato 5000 voti non si sa a chi, segno ormai che, persino al di là dello stretto, il carroccio trova sempre un angolo per parcheggiare.

Bobo è il nuovo principe del Pirellone e lo sarà, almeno che non ci siano nuovi colpi di scena, nel fatidico 2015 in cui la Lombardia ospiterà il fantomatico Expo e il suo succulento bottino. Finita l’euforia del voto, bisogna preoccuparsi di governare e fare opposizione, senza dimenticare che anche chi sta dall’altra parte della barricata può darsi da fare per recuperare consensi.
E chissà che Umberto Riccardo Rinaldo Maria Ambrosoli non si svesta dei panni del “principe felice” in calzamaglia per diventare cavaliere agguerrito fuori dalla Tavola Rotonda.

  Io Terrùn? Tu Ladrùn…

Elezioni 2013: The winner is Beppe Grillo, il comico “censurato” da Socialisti e Democristiani

Rosario PipoloGli italiani hanno memoria corta. Me lo ricordo quel sabato sera del 1986 davanti al nostro televisore a colori Voxon ad otto canali. Erano i tempi del gran varietà, erano i tempi di Fantastico. Beppe Grillo fece lo sgarro e Bettino Craxi non gliela fece passare liscia dopo l’insidiosa battutaccia. Da quando i Socialisti erano passati al timone del Pentapartito avevano ereditato la lezione dei Democristiani: meglio la “censura” da leoni che passare per una ciurma di coglioni.

Il comico genovese fu sbattuto fuori dalla RAI – ai tempi i trilli telefonici di Montecitorio e Palazzo Madama facevano tremare viale Mazzini – e il cane bastonato cominciò ad usare il teatro per abbaiare contro la Prima Repubblica. A quasi trent’anni da quel sabato sera, le vecchie glorie del Pentapartito sono roba da libri di storia, il gran varietà televisivo è morto, le zozzerie di Tangentopoli continuano a tentarci, soffia il vento del populismo, ma Beppe Grillo si è preso il tempo necessario per trasformare la rivolta di un comico in una rivoluzione civile: è lui il vero vincitore di queste Politiche del 2013.

Gli istant poll hanno preso una cantonata a parlare di “Terza Repubblica” e il sentiment dei social network per certi versi è stato come la profezia dei Maya. Il “centrismo” tecnico di Mario Monti ha fatto un buco nell’acqua, il “vendolismo” rincasa in Puglia, Silvio Berlusconi è resuscitato e la partita alla Camera, se non fosse per “il contentino da maggioranza”, sarebbe finita in un pareggio netto con Pierluigi Bersani.
Il Senato è completamente paralizzato e la voglia di rottamazione del guascon fiorentino Matteo Renzi (Su Twitter circola la preghiera “Matteo, torna e salvaci tu!”) ha portato iella a qualche “santino” del Paese per vecchi che ci ritroviamo ad essere. Tra i grandi esclusi ci sono Di Pietro, Fini, Bonino e Storace, mentre Casini è salvo per un pelo.

In tutto questo caos, c’è una sola certezza. Il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo è il primo partito in Italia ed ha i numeri necessari per tirare “scappellotti” a destra e sinistra. Gli umori di piazza Affari sono così volubili che mi sembra di essere tornati ai tempi dell’autogestione a scuola. Oggi è così, siamo un paese autogestito, abbiamo mandato a casa i professori, abbiamo le aule tutte per noi, con la verve studentesca di poter mettere nel registro i voti che vogliamo. Tuttavia, l’utopia dell’autogestione scolastica rischia sempre di consumarsi in una bevuta di vino in compagnia o in una partitella a carte. Può succedere anche ad un governo traballante dalle larghe intese, non sempre destinato a fare con coerenza gli interessi degli elettori. Persisterà il tirare a campare del vecchio Belpaese? Oggi è così, domani si vedrà.

  Italy tumbles into ‘chaotic uncertainty

Social Media Week e #trend2013: La “spiona” di mammà trasloca su i social network!

Io e mammà, in attesa che diventi la regina dei social media!

Rosario PipoloSi chiude la Social Media Week a Milano e a questo punto lo scrivo io di punto in bianco il trend 2013: Darmi da fare per aumentare il numero degli over 60 su i social network. Voglio provare anche io a far traslocare quella “poltronaia” di mammà sui social network e allontanarla dallo zapping sfrenato tra fiction televisive e la jella di Vespa.

A mettermi la pulce nell’orecchio è stato Paolo Valenti, evangelist di WordPress, che ci ha raccontato quanto la passione possa essere un punto di forza per far avvenire l’agognato trasloco sui social media di un over 60 ed essere “smart a tutte le età”. Il papà di Paolo, appassionato sfegatato di fotografie e vecchi rullini, è diventato “digital” e photoshopparo senza conoscere un’acca di diavolerie informatiche o social.

Tornando a mammà, quella mia, napoletana verace, potrebbe sbarcare su Facebook e ritrovarsi, come è accaduto alla mamma di Valenti, con più contatti del figlio che sguazza per lavoro nei social network. Cosa potrebbe spingerla a diventare social tutta di un pezzo? la passione per la musica degli anni ’60 e le canzoni di Morandi o Don Backy; le letture dei romanzi di Liala o dei fotoromanzi di Grand Hotel; il legame cinematografico ai polpettoni romantici americani.

Sta di fatto che mammà mia, sebbene indirettamente, sui social network è già sbarcata da un bel pezzo e, qualche tempo fa, ho scoperto perché non mi assillava più con le telefonate per capire dove fossi finito. Si serve di mia sorella, un’insegnante elementare svilita da una ciurma di marmocchi, per spiarmi, attraverso gli status e i checkin della mia pagina Facebook. Insomma, mammà ha trovato il modo diplomatico per controllare a distanza il figlio cresciutello, ma non ha capito bene ancora il mio mestiere, a parte il fatto che di mezzo ci sia la scrittura.

Spero che con un bel teletrasporto social capisca una volta e per tutte chi sia il figlio e che magari l’anno prossimo una mammà napoletana, proprio la mia, diventi la regina della Social Media Week. E non solo perchè sa fare un ragù con i fiocchi!

  Social Media Week Milan 2013

Io non nacqui “pastaiolo”: Nestlè, Buitoni e lo scempio alimentare della carne di cavallo

una scena dal film "Ratatouille"

Rosario PipoloPastaiolo si nasce e non si diventa. Ed io non lo nacqui, nonostante la cicogna mi abbandonò all’ombra del Vesuvio tra le coccole dei vermicelli Voiello e la pasta corta di Gragnano. E adesso che negli ultimi tempi mi stavo convertendo ai ravioli di brasato Buitoni, devo reprimere questa inclinazione padana. Diciamolo pure: da quando le multinazionali hanno messo le grinfie sui brand nostrani, anche la pasta si è trasformata in un “nemico pubblico”. Nestlé china il capo, fa marcia indietro e ritira dal mercato italiano ravioli e tortellini di manzo perché ci sono tracce di carne di cavallo.

Dal colosso svizzero vogliono rassicurarci che non corriamo pericolo, come se poi un ritiro repentino dagli scaffali fosse il gesto galante in materia di sicurezza alimentare. E sarebbe uno scacco matto di fantapolitica alimentare se scoprissimo che nei Baci Perugina, appena regalati a San Valentino, ci fosse chissà quale latte mischiato alle nocciole? E’ legittimo farsi prendere dalle fobie del consumatore medio e chiedersi perché l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare sia stata incapace di prevenire uno scandalo di tale portata.

L’Europa non è altezza del compito, in Italia chi ci tutela in tal senso? Dopo lo scandalo dimenticato delle mozzarelle blu, eccoci con scempio della carne equina. Il pranzo è servito. Mettiamocelo bene in testa: la diceria nazional-popolare della marca è andata a farsi benedire da un bel po’. Pastaiolo si nasce e non si diventa. Ed io non lo nacqui.

  Carne equina, Codacons attacca

Vieni-via-con-Sanremo-2013: Il peggiore Marco Mengoni vince il festival televisivo di Fazio

Rosario PipoloPoteva tornare ad essere il festival della canzone italiana, invece si è riconfermato il “festival della canzone in televisione sotto il ricatto del televoto”. Marco Mengoni ha vinto il 63° Festival di Sanremo. Niente giacobinismo musicale come avvenne all’Ariston negli anni Settanta, ma riverberi del baudismo televisivo che imposero Sanremo ad evento mediatico, allungato a cinque serate, oggi a metà strada tra Che tempo che fa e Vieniviaconme.

Maurizio Crozza, che non ha preso lezioni di satira politica dal compianto Oreste Lionello, non ha la stoffa di Roberto Benigni, giullare che non si clona mai, e scambia il palco dell’Ariston per lo sgabuzzino di Ballarò. A compensarlo c’è Claudio Bisio con la sua classe, quella che appartiene ai comici veri, coloro che nascono dal legno del palcoscenico di un teatro. Tra i due litiganti gode la Littizzetto che, con il monologo a favore delle “donne maltrattate”, ci restituisce da reginetta un angolo di televisione intelligente. Il pallottoliere dell’auditel resta l’unica misurazione di autocompiacimento, mentre bisognerebbe interrogarsi su quanto una canzone durerà nel tempo, senza l’assillo dell’essere “radiofonica” o no. La doppia canzone è un sussidio da prima serata, niente a che fare con gli anni d’oro del Festival, quando più brani cantati dalla stessa voce sgomitavano fino all’ultima nota e l’ispirazione del televoto era brutalità da incubo di fantascienza.

La generazione social si precipita su Twitter e Facebook a movimentare la telecronaca di un evento che deve un merito al pifferaio progressista Fabio Fazio: sbattere fuori dalla porta le vecchie glorie, che oramai appartengono al vezzo retrò della nostalgia canaglia. Purtroppo sul palco c’è Albano o Raphael Gualazzi, Anna Oxa o Simona Molinari, si inciampa nel solito ed imperdonabile errore: la gioia e l’orgoglio di vedere il proprio beniamino all’Ariston distoglie l’attenzione dal valore di ogni singola canzone, indipendentemente dall’interprete.

Il talent vince l’ennesima scommessa perché il pezzo dai canoni sanremesi è “Il futuro che sarà” di Chiara, gran bella voce, con uno stile musicale che rievoca quello della dimenticata Lena Biolcati. L’olimpo è per pochi, con impasti musicali di matrice diversa: “A bocca chiusa” di Daniele Silvestri, “Vorrei” di Marta sui Tubi, “Sai” di Raphael Gualazzi, “Scintille” di Annalisa, “Sotto casa” di Max Gazzè e “Mamma non lo sa” degli Almamegretta. La suite strumentale con appigli e citazioni zappiane valorizzata in corner è “La canzone mononota” di Elio e le storie tese e la rivelazione sanremese si chiama Maria Nazionale che, lasciando a casa il cliché dei neomelidici all’ombra del Vesuvio, sprigiona dalla gola lapilli di fado portoghese.
Infine, i Giovani, esiliati a ridosso della mezzanotte, ci hanno fatto sbadigliare (avrei tenuto la Porcheddu al posto del vincitore Antonio Maggio) o stizzire come lo sbuffo ruffiano della “la(sa)gna” di Rubino “Amami uomo”.

Dimenticheremo tutto in fretta e furia e, nel giro di pochi mesi ,queste canzoni annegheranno nel marasma del jukebox digitale. “Perché Sanremo è Sanremo”, il gingle inventato da Caruso e Bardotti, è finito tra le cianfrusaglie messe in soffitta, a parte la soddisfazione di aver visto alcune facce che mai avremmo immaginato all’Ariston.

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Diario di compleanno: Il bimbo “pirata” e i 50 anni della cassiera della Standa

Rosario PipoloAlla fine degli anni Settanta aprirono una piccola Standa, nel centro storico del mio paese. Mentre fuori il territorio metteva i tappi alle orecchie per non sentire i colpi roventi della criminalità di allora, io in quel supermercato capii come guidare il carrello e mi vantavo di riconoscere i prodotti della spesa di mamma attraverso i colori delle confezioni. Quando imparai a leggere, mi divertivo a decifrare le etichette ad alta voce e spesso attiravo l’attenzione di un gruppo di ragazze carine che lavoravano lì.

Ce ne era una che mi colpiva. Era spesso al reparto cosmetici. Mentre allestiva la vetrinetta, riuscivo a strapparle un sorriso. Ai tempi mi sentivo un bimbo occhialuto e per giunta “pirata”: Il Prof. Marcello Gaipa mi aveva piazzato un benda sull’occhio sinistro e quella era l’unica via di salvezza per il mio occhio pigro. Tornando alla ragazza della Standa, una volta all’uscita da scuola, la trovai alla cassa. Avevo il broncio. A scuola non avevo trovato nessuna damigella per il ballo di Carnevale. La cassiera della Standa mi chiese se avessi la fidanzata. Ed io, indicandole l’occhio bendato, le feci segno come a dire chi mi avrebbe mai preso conciato in quella maniera. Prese una manciata di caramelle e la mise nel palmo della mia mano, smaltendo tanta tenerezza in un filo di voce rassicurante: “Quando toglierai la benda, il tuo occhio guarirà e tornerai ad essere il bambino più bello del mondo”.

Le caramelle finirono e la Standa, a ridosso della vecchia piazza San Pietro, chiuse i battenti quando mi tolsero la benda. Volevo farmi vedere dalla cassiera, ma lei non c’era più. Infilando la mano nel grembiule trovai una caramella, l’ultima, che non avevo mai scartato.
Oggi la ragazza della Standa compie 50 anni. L’ho ritrovata nella notte del suo compleanno e le restituisco l’ultima caramella che ho conservato in tutti questi anni, regalandole questo aneddoto da libro Cuore. A quel tempo ero un cucciolo addomesticato, oggi sono un randagio vagabondo che però non ha mai strappato le pagine del suo diario. Non conoscevo il nome della cassiera della Standa, ma visto che a volte il destino ci mette del suo per farci ritrovare le persone che hanno sfiorato la nostra infanzia, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, posso scegliere liberamente e legittimamente come chiamarla: Buon compleanno, zia.

Cartolina da Vittorio Veneto: Il sogno di Italo Serafini in un ospedale del Nord-Est

Da una camera dell'ospedale di Vittorio Veneto

Rosario Pipolo“Il nostro amico Angiolino”, che per certi versi assomiglia a quello della canzone di Paolo Conte, sognava di fare il cantante lirico. Da quando gli hanno diagnosticato un buco in gola non ha smesso di sperare. Anzi, lungo il corridoio del settimo piano dell’ospedale di Vittorio Veneto, va avanti e indietro aspettando l’ultimo referto. Il monumento ai caduti della famosa battaglia tra Italia e Impero Austro-Ungarico, posto al centro del paesotto nella landa del Nord-Est veneto, è passato in secondo piano. Più di cinquant’anni fa il compianto Prof. Italo Serafini* sperimentò su cani e scimpanzé nuove tecniche per intervenire sui tumori alla laringe. Da allora ogni giorno c’è un via vai di ammalati, molti dei quali in trasferta dal Sud Italia, che scelgono questa struttura per curarsi, perché la sanità pubblica riesce ancora ad essere eccelsa in alcuni angoli d’Italia.

Basta aggirarsi per i corridoi, sostare ad una macchinetta del caffè o affacciarsi in una stanza per raccogliere tante storie. Pianificare un viaggio volontario in ospedale può trasformarsi addirittura in un’occasione importante. Il viaggiatore che arriva in un reparto ospedaliero non vive l’approccio né dello staff medico né quello del parente dell’ammalato o del volontario. Ha un privilegio tutto suo, quello di soffermarsi e condividere alcuni dettagli che solo a lui sono concessi: le parole di una canzone di Balasevic con la ragazza serba ricoverata lì; il gusto di una cassata con il nonno siciliano che si rianima, raccontando di come la preparava ai nipotini; il profumo del mare della Calabria con la moglie che non lascerebbe solo il marito per niente al mondo; i colori dei vestiti di carnevale che l’ottantenne veneta cuciva per il figlio.

L’infermiere o l’ausiliare che non negano mai un sorriso e fanno il proprio dovere con impegno e meticolosità diventano anche essi “compagni di un viaggio”, che per ogni ospite prende una strada diversa. Mentre fuori c’è chi ostenta lo sfarzo del travestimento carnevalesco per essere ciò che mai potrà essere, all’interno della “scuola della speranza” – perché questo è un ospedale in fin dei conti – il viaggiatore impara a conoscere sé stesso, molto meglio di quanto non abbiano saputo fare gli altri, rincorrendo il misurino del tempo. Su una parete mi ha colpito una riflessione di un medico, Marco Lucioni: “Fare nel miglior modo possibile nel tempo che ci è concesso”. Il tempo è tiranno, davvero. Il peso del mio bagaglio in spalla mi ha distratto quando sono andato via. Mi sono voltato indietro: l’ospedale era una macchia confusa nel paesaggio. Non so se Angiolino ce la farà, ma sono tranquillo. Al settimo piano dell’ospedale di Vittorio Veneto ce la stanno mettendo davvero tutta per realizzare il sogno di un vivo: cantare la lirica. E dietro quel sogno c’è quello del luminare Serafini e di tutta la sua equipe.

* In memoria del Prof. Italo Serafini, luminare della laringoiatria (1936-2010)

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=yS_rKlsdXgs&w=420&h=315]

#Sanremo2013: Il vittimismo dei vecchi BIG e la nociva “sanremosità”

La polemica della Oxa su Twitter

Rosario PipoloIn giro dicono che Twitter sia diventata la nuova guida tv. Commentare via social la televisione confusa dei giorni digitali vale forse più degli stessi programmi che la affollano. E a questo non si sottrae neanche il Festival di Sanremo, asservito dall’era baudiana ai canoni dello zapping, che oggi riscuote interesse nella landa dei cinguettii attraverso l’hashtag frequentatissimo #sanremo2013.

Vogliamo parlare di ciò che accadrà all’Ariston in alternativa al miserabile teatrino politico da campagna elettorale? Facciamolo pure, ma tenendo presente che Sanremo è musica. Fabio Fazio ce lo ricorda, facendo un passo in avanti proprio verso la generazione musicale “social” con una scelta di BIG che non hanno niente a che vedere con il solito dejà vu. Qualche anno fa volevano farci credere che il Festival lacrimogeno del Belpaese dovesse spingere l’acceleratore sul talent show per guardare al futuro. I talent non hanno avuto sempre fiuto, imponendo delle stellette divenute dalla notte al giorno delle meteorine.

Dicevamo che Sanremo è il festival della musica, anzi no delle canzoni. Al tempo dei nostri nonni era così: quando a cantare c’erano nomi che non vi dicono niente, da Nilla Pizzi a Gino Latilla, più canzoni in gara passavano per il timbro della stessa voce. Con l’avanzare dell’età, il festivalone ha imposto l’egocentrismo dell’interprete sul brano e l’imperialismo televisivo, a partire dai primi anni ottanta, ci ha messo il resto, creando una scuderia di cantanti sanremesi. Come se poi certi nomi vivessero discograficamente dentro il contenitore dell’Ariston. E se Anna Oxa facesse parte di questa scuderia, la sua polemica di vittimismo da grande esclusa sarebbe fuori luogo. La sua “sanremosità” – pardon per questo orribile neologismo – non la mette su nessuna corsia preferenziale. L’indimenticabile “Un’emozione da poco” e la trasgressiva performance della Oxa, alla fine degli anni di Piombo, nel piccolo televisore in bianco e nero della cucina di casa sembra ormai una polaroid in stile retrò.

Questo è un altro tempo. Il tempo in cui queste benedette o maledette canzoni tornino a resistere ed esistere fuori dall’Ariston. Per far tornare a vivere i nostri sogni di gente comune, un brano deve meritarsi una vita più lunga di un’abbuffata canzonettara in stile Belpaese, bloccata dal colpo della strega nostalgica che ci fa apparire il canzoniere di oggi inferiore a quello di ieri.

Diario di viaggio: Quando un musicista “da pianobar” ride

Gabriele Bartoli visto da Oliviero Toscani

Rosario PipoloNon è un eufemismo. Il pianobar non esiste più. Tanti si illudono di farlo perché appoggiano le mani su una tastiera, ma alla fine si tratta di un fantomatico gioco di prestigio. Basta uno di quegli aggeggi tecnologici, qualche cianfrusaglia musicale che traduce basi ed effetti musicali in mp3 ed ecco come un rito quasi magico si trasforma in pacchiano karaoke.

Per fortuna capita l’eccezione, che si intrufola nel bel mezzo di un viaggio, in una sera a ridosso della mezzanotte: aperitivo di classe, atmosfera elegante, luci soffuse, in un rifugio lontano dai bagordi del weekend. Accade che Gabriele, il pianista in questione, ti guarda diritto negli occhi, estrae fuori un pezzetto di te e ti dedica il brano giusto. Sì, perché il talento di chi fa questo mestiere non è banalmente amalgamare canzoni ed atmosfera, ma capire con un’occhiata chi ti sta di fronte. Me lo fece notare tanti anni fa anche Eduardo De Crescenzo, dopo una splendida live session, perché i suoi esordi erano legati al pianobar, per l’appunto.

Tornando a Gabriele, la canzone in questione è “My Way” e così lui te l’allunga con vezzi da Elvis, senza rinunciare al monito indiscutibile del “date a Frank quel che è di Sinatra”. Fuori c’è foschia, silenzio, un paesaggio dormiente; dentro c’è quel non so che in più. E ti chiedi: Perché il pubblico non dovrebbe sforzarsi di andare oltre l’apparenza del musicista?. “Quando un musicista ride è perché dentro sente una strana gioia vera e scopre che la sua angoscia è buona perché è la sua tristezza che suona”, cantava Enzo Jannacci. Gabriele imparò questa lezione, quando nell’ ’89 si fece tutto d’un pezzo Roma-Milano per festeggiare allo Smeraldo trent’anni di canzoni del cantautore milanese.
La “strana gioia” a cui fa rifermento Jannacci è forse proprio quella che tiene testa alla memoria: Gabriele che canta una canzone, tenendo per mano per l’ultima volta sua madre; Gabriele che sgattaiola tra le note musicali, facendo le fusa ai giorni ritrovati con suo padre; Gabriele che girovaga per la sua Roma, ripensando a tutti viaggi fatti per mettersi alla ricerca della felicità.

Non è un eufemismo. Il pianobar non esiste più, ma torna ad esistere ogni qualvolta un viaggiatore qualunque trova nel suo vagabondaggio “un musicista che ride e la sua angoscia che suona”.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=h8mGVWjLIsQ&w=420&h=315]

Quelli che partono: Il clochard del San Carlo di Napoli che gennaio si portò via

ph. di Camilla Crescini

“Quelli che partono”, foto di Camilla Crescini

Rosario PipoloNelle ultime ore di gennaio, cercai invano di farmi ascoltare. Bussai forte alla porta della ragazza, ma lei non rispose. Mi aveva lasciato un biglietto: era corsa a curare i bambini che erano stati abbandonati. Non so come riuscii a rintracciare la sorella, ma mi invitò a ripassare il lunedì successivo perchè era impegnata con le pagelle a scuola.
Scappai in cima alla salita, convinto che l’amico mi ascoltasse. Invece lui fece orecchie da mercante, stordito dalle inutili faccende che riempivano la sua noia. Da lontano vidi un prete, non mi diede neanche il tempo di accostarmi, che mi lanciò un’occhiata di rimprovero come a voler dire “non vedi che sto pregando”.

Nell’ultimo bistrot intravidi l’amica di sempre. La invitai a bere un caffè. Era una scusa per poterle parlare, ma lei si defilò perché stava finendo di preparare un concorso e mi chiese di pazientare solo una settimana. Nel parco c’era la bambina, che speravo non restasse indifferente. A stento mi riconobbe, era impegnata a pettinare l’ennesima bambola che le avevano regalato. Entrai nel solito supermercato, perché sapevo che lì avrei trovato la mamma. Provai ad urlare, ma non percepì il mio urlo perchè aveva la testa stordita tra gli scaffali delle offerte. Tentai con l’edicolante in piazza, ma stava chiudendo e non poteva dami retta così come il vicino che se la diede a gambe sulla sua Maserati di ultima generazione.

Non mi sentiva nessuno. Mi ricordai allora del clochard* che avevo incrociato qualche anno prima di fronte al teatro San Carlo di Napoli. Salii sul primo treno e mi misi alla sua ricerca. Arrivato sul posto, trovai la sua casetta di cartone, ma il barbone era sparito. Un uomo mi rimpoverò: “E’ arrivato troppo tardi. Il freddo di gennaio se lo è portato via. E pensare che un anno fa quel poveretto cercò di farsi ascoltare disperatamente, ma lei era troppo indaffarato per dargli retta. Il clochard voleva solo abbracciarla e raccontarle una storia, quella dell’indifferenza, la stessa che lei ha vissuto prima di precipitarsi qui”.

*Dedicato a Franco I., il barbone napoletano che adesso finalmente non soffre più il freddo perchè lassù c’è una casa tutta per lui.

Clochard morto davanti al San Carlo di Napoli

  Roberto Bolle e Twitter: Il ballerino che ha offeso clochard e napoletani