Benedetta e l’alba di un nuovo giorno
Quando ti ho vista piccina piccina tra le braccia di tua madre e mi sono accovacciato nei tuoi occhi, mi hai riportato all’estate del 1992. Benedetta, ho conosciuto tuo padre allora, durante una vacanza studio a New York: lui era un milanese con la faccia da secchione (mi incantavo quando mi parlava di James Joyce) ed io un napoletano con la faccia stralunata, malato di teatro e musica. Lo sai quando siamo diventati amici per la pelle? Condividendo una notte indimenticabile al Greenwich village, girando tra i locali, con pochi soldi in saccoccia e sperando di incrociare Bob Dylan o Woody Allen. Rincasando gli ho chiesto un prestito di 50 dollari per comprare il primo lettore CD! Me li ha dati e si è fidato di un napoletano. Quando sono stato a Milano al concerto di Paul McCartney, mi ha ospitato a casa sua ed ho trascorso delle belle ore. Non c’era Internet , Facebook o le email per comunicare, ma siamo rimasti in contatto. Quando nel 1998 sono venuto a Milano con una valigia piena di sogni, tentando in vano di trasferirmi, tuo padre mi ha aiutato in tutti modi pur di non farmi sentire “un emigrante”. Ricordo quando mi ha accompagnato alla stazione a prendere un Espresso notturno (un treno da film in bianco e nero!) che mi avrebbe riportato a Napoli. Mi ha dato una paccata sulla spalla come per dire ” i sogni possono esistere se lo vogliamo”. Ho pianto dallo sconforto, ma lui non se ne è accorto. Tutto questo per condividere con te, Benedetta, la voglia di sognare, sì con te che sei venuta al mondo da poco più di un mese. Saranno in tanti a voler farti indossare una camicia di forza, ma con un paio di sogni in tasca non ti sentirai mai sola. E’ bello ritrovarsi, soprattutto di questi tempi in cui i legami veri sprofondano nella superficialità. Ho ritrovato Francesco, marito e papà, e non è poco. Ti sono grato, Benedetta, perché nel tuo sguardo ho ripescato qualche briciola di me, all’alba di un nuovo giorno della tua vita, un dono immenso. Felicità.
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