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Tradimenti e la parabola del backyard

Rosario PipoloTradimenti, piccolo perla della drammaturgia di Harold Pinter, ha quasi quarant’anni ma non patisce l’invecchiamento, soprattutto oggi che la labilità di qualsiasi legame è messa alla prova. Il tradimento verso gli altri e verso noi stessi, di qualsiasi entità, dovrebbe essere spedito al patibolo, senza “se” e senza “ma”.

Sulle bacheche di Facebook in tanti starnazzano, perché delusi dal piccolo o grande tradimento subìto dalla compagna, dal collega di lavoro, dall’amico di una vita, dalla moglie, dal vicino di casa, dal fidanzato, dal parente. Potrei andare avanti ancora tanto.

Quelli più insidiosi restano i “tradimenti minuscoli”, quasi impercettibili, che minano una relazione molto più di quelli eclatanti e che fanno rumore. Sfogliando le pagine della drammaturgia religiosa, il rinnegamento dell’apostolo Pietro, passato in sordina, è più infido rispetto al tradimento di Giuda Iscariota e alla svendita di un amico per trenta miserabili denari.

Attraverso i social network ci disabituiamo a tutelare una relazione autentica: ci illudiamo che una manciata di “like” o un paio di repost di vecchie foto patinante di nostalgia aggiustino tutto. Incide l’arroganza e la spavalderia 3.0, che ha abbattuto la colonna portante di un legame: entrare a far parte della vita dell’altro è un privilegio da non sciupare e non è poi così scontato il reintegro.

Il backyard di una casetta inglese mi lasciò una lezione durante il primo viaggio in Inghilterra nel 1988: si chiuse la porticina della cucina e finii nel cortiletto posteriore senza riuscire più a rientrare. Pur facendo ancora parte dell’unità abitativa non avevo più accesso alle mura domestiche.

Questo episodio mi ispirò la parabola del backyard, ovvero la parabola dell’isolamento senza saldi, resoconto perfetto di cosa capita a chi viene allontanato improvvisamente dalla nostra vita, in silenzio, senza sollazzi chiassosi.

Tornando alla commedia di Harold Pinter, nel ’78 Tradimenti fu un feroce attacco contro l’ipocrita middle-class britannica. Oggi invece che la crisi globale ha sbiadito i contorni della classe media, la pièce teatrale è un punto di partenza per una riflessione generica sul tradimento, la molla che può far scattare in noi la legittima voglia di calpestare la mediocrità, lentamente e in silenzio, senza sconti.

60 volte Zero, senza essere un sorcino

Sorcino si nasce o si diventa? Legittimo dubbio davanti una torta con 60 candeline accese. Roma si scompone per il suo “Renato”, mentre chi non ne ha mai voluto sapere dell’etichetta di “sorcino” se ne va su YouTube a fare l’archeologo. C’è poco degli inizi, c’è poco dell’uomo mascherato alle prese con abiti sgargianti e variopinti, c’è poco di quello “Zero” che aveva fatto arrossire l’Italia democristiana degli anni ‘70 col sotterfugio dell’ambiguità. In giro non c’è più niente di Renato Fiacchini, a parte qualche traccia all’ufficio anagrafe.
Eppure ancora avverto un senso di liberazione: nell’estate del 1981 riuscii a fare a meno di quelle “maledette rotelle” della mia bicicletta. Scorazzavo bimbo in un viale di Paestum a due ruote, mentre da un juke-box si sentiva una voce cantare Più su. Cominciai ad interrogarmi, proprio quell’estate, su chi fosse la “madre che si arrende e un bambino non nascerà” e perché “un drogato fosse un malato di nostalgia”. L’anno successivo, salutando la bimba a cui facevo il filo, versai lacrime amare sotto l’ombrellone perché ascoltai da una radiolina “Spiagge dipinte in cartolina, ti scrivo tu mi scrivi, poi torna tutto come prima”. E nel sabato sera invernale, guardando Fantastico 3, mi illusi davvero con Viva la Rai che a viale Mazzini ci fosse “una fabbrica dei sogni”, prima di aver scoperto i ricatti censori che si fanno oggi come allora. Mi era bastata qualche marachella da pianerottolo con il mio compagno di giochi Alessandro per lanciare nel futuro le profezie di Amico, ovvero il flashback di oggi “E ti ricorderai… del morbillo e le cazzate, fra di noi”. Ci sono modi e modi per annotare la data di un compleanno, perchè ora il trucco si è sciolto e le rughe si vedono una per una. Per fortuna una bella canzone può farci fare lo stesso giro per 60 volte,senza invecchiare mai, come il primo repertorio di Renato Zero. Ed è con quella musica che dovrebbe essere guarnita la torta del signor Fiacchini.

Helsinki e una vecchia foto del mio amico Pasquale Mautone

nonno1501Cosa hanno in comune Helsinki e Napoli? Praticamente niente, a parte il mare. Adesso queste due città così diverse si spartiranno una foto antica in bianco e nero: è quella di Pasquale Mautone, un mio vecchio e caro amico. L’ultima volta l’ho visto l’8 novembre 1992. Ci siamo salutati con un tenero abbraccio e la mattina dopo mi hanno avvisato che se ne era andato per sempre. Da allora porto con me quella foto. Nel mio 2008 ricco di viaggi, io come un pellegrino in Europa l’ho ritrovata nel taschino della giacca. A Helsinki fa freddo. In questa grigia domenica mattina finlandese mi sono fermato dinanzi al mare. E’ stato Pasquale a presentarmi il mare tantissimi anni fa, a Coroglio nel Golfo di Napoli, guardando l’isoletta di Nisida. E sono tornato davanti al mare, quello freddo del Nord, per ricordare la nostra amicizia: spontanea, sincera e ricca di complicità come quella del vecchio pescatore Santiago e il ragazzino Manolin, i due protagonisti di Il vecchio e il mare di Hemingway. Ho messo questa fotografia su una piccola barchetta, lasciandola galleggiare alla deriva, per iniziare quel viaggio mai fatto, ma che io e Pasquale Mautone abbiamo sognato per una vita intera. Caro Pasquale, oggi sono sedici anni che sei partito e per me non è cambiato assolutamente niente. Caro amico mio, in questa domenica ad Helsinki continuo a cercarti tra gli odori, le vie e il brusio della capitale finlandese perché aveva ragione Freddy Mercuri a cantare: “Gli amici saranno amici fino al fine”. Anzi, caro Nonno, adesso che mi ritrovo qualche capello bianco, mi convinco sempre di più che l’intensità del dolore giace negli abissi del cuore e dell’anima. Per fortuna c’è la memoria, la cui luce fa brillare il faro della speranza di ritrovarsi con un filo di voce e un sussulto del cuore. Mi manchi.