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Faccia a faccia con Lou Reed, soggezione on the wild side

Rosario PipoloLo incrocio. Io e Lou Reed siamo faccia a faccia. Da un lato c’è l’amore Laurie Anderson. Dall’altro c’è l’amica italiana da una vita Fernanda Pivano, che lo tiene per mano. Nanda mi riconosce e mi sorride. L’avevo intervistata qualche settimana prima alla Fnac di Milano. Lui da dietro gli occhiali scuri mi mette un sacco di soggezione. Poi si infilano tutti e tre in un’auto e volano via.

The walk on the wild side non è un brano qualunque come quelli che si ascoltano, si consumano e restano lì impolverati sull’iPod. E’ il richiamo per far uscire dai nostri abissi quella parte “selvaggia” che abbiamo sottomesso alla routine tra rinunce e vivere per apparire. Maledizione a noi che ci siamo cascati. Maledizione a noi che abbiamo pensato che un elettroshock ci avrebbe redenti per uscire vivi dalle fiamme dell’inferno. Ci avevano provato prima con Alex in Arancia Meccanica e poi con il leader bisessuale dei Velvet Underground, che cantò il suo dolore in Kill your sons.

Lewis Allan Reed e le sue poesie trasfigurate in rock dalla pelle jazz e blues. Lewis Allan Reed e quelle contorsioni di basso che stendevano la ribellione di una generazione su un tappetto di velluto. Lewis Allan Reed e la banana di Andy Warhol, sulla copertina del mitico LP dei Velvet, che gli intellettuali avrebbero dovuto ficcarsi nel sedere. Lewis Allan Reed e le follie dei poeti maledetti, saccheggiando pagine di letteratura nei riflessi dell’oscurità di Edgar Allan Poe. Lewis Allan Reed e l’amore che si snocciola nella compostezza divina e lo lega per sempre alla musa Laurie.

Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo. Abbiamo camminato con il fiato sospeso on the wild side e ci siamo presi la nostra fottuta rivincita. E’ stata una delle poche volte in cui la poesia ci ha girato le spalle, lasciandoci addosso il tanfo del rock. Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo. Senza rimpianti né pentimenti, ci mancherai Lou!

Addio Fernanda, sibilla della Beat Generation

Fernanda Pivano

Rosario PipoloQuando sono in viaggio i miei pensieri vagano all’orizzonte e si fermano sulle pagine di On the Road di Jack Kerouac, uno dei miei romanzi preferiti. Ero su un autobus sgangherato che mi portava dalla Macedonia in Albania quando questo mio vagare sgrammaticato nei Balcani e’ stato interrotto dalla scomparsa improvvisa di Fernanda Pivano, grande traduttrice e scrittrice. Che strano gioco del destino ritrovare alcune pagine della beat generation americana poco prima di questa notizia triste, titolata cosi´ il 20 agosto su alcuni quotidiani di Tirana: “E` morta Fernanda Pivano,  voce italiana della Beat Generation”. A lei ognuno di noi deve qualcosa perche´ le sue traduzioni sono state un ponte tra la provincia letteraria italiana e i nuovi fermenti d’oltreoceano, quei maledetti diavoli come Kerouac o Bukowski che mai nessun accademico avrebbe ammesso nel tempio degli scrittori. Qualche anno fa abbiamo chiacchierato alla Fnac di Milano. Sapeva metterti a tuo agio, dandoti l’impressione di conoscerla da una vita. Poco prima di salutarla, le ho chiesto una foto assieme.  E lei col suo sorriso sornione mi ha rimproverato: “Mica sono una da fotografare”.  Adesso non ci resta che aspettare lo spettacolo di Giulio Casale “La canzone di Nanda”, spudorato omaggio della prossima stagione teatrale a questa grande ancella della cultura italiana.