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La profezia del “Titanic” di De Gregori nella tragedia del barcone in fiamme a Lampedusa

Un disegno di Maurio Biani

Rosario PipoloChissà se tutte le imbarcazioni chic che la scorsa estate ciondolovano nel mare della Sicilia avrebbero fatto a gara per prestare soccorso allo yacht di un sultano che andava in fiamme. E’ quasi sicuro che la signora in topless avrebbe interrotto la sua tintarella per raccattare un binocolo e capire cosa stava accadendo al panfilo da un milione di dollari. Chiedere aiuto, lanciare un SOS è un diritto di ognuno e soccorrere è un dovere inespugnabile in un Paese civile.

Francesco De Gregori in un memorabile brano, Titanic, cantava la volgarità classista e tornava a metterci la pulce nell’orecchio: “La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento”. Per “la terza classe”, a cui appartengono quei disgraziati che sono morti ieri sull’imbarcazione in fiamme a largo di Lampedusa, rettificherei in “rabbia, dolore e spavento”. Ce lo ha ricordato il commento di ieri di Papa Francesco – “Viene la parola vergogna: è una vergogna” – in visita lo scorso luglio proprio a Lampedusa, per commemorare anche i tanti migranti morti durante le traversate.

Il mancato soccorso da parte di chi c’era ed ha fatto finta di non vedere non si estingue questa volta nella solita indignazione da copertina di rotocalco: siamo sì o no un Paese razzista? “A noi cafoni ci hanno sempre chiamato”, continuava a cantare De Gregori. Non si tratta di puntare il dito contro i pescherecci che erano nei paraggi. Piuttosto di capire quanto poco abbiano fatto i Governi che si sono alternati in Italia negli ultimi venti anni, per tutelare coloro che restano vittime innocenti nei flussi di migrazione dalle coste nordafricane. Ha tutto il diritto di urlare Giusi Nicolini, Sindaco di Lampedusa, e ribadire: “Questi uomini, queste donne e questi bambini non sono clandestini, ma profughi”. L’Unione Europea, che fa finta di guardare dall’altra parte, si assuma le sue responsabilità. Chi glielo ha messo tra le mani il Premio Nobel per la Pace?

“Su questo mare nero come il petrolio ad ammirare questa luna metallo” c’erano donne incinte che portavano in grembo con orgolgio le loro bimbe. Non volevano per loro un futuro da “Cenerentola”, ma le custodivano nel pancione come in un castello, affinché in una nuova terra incontrassero chi le avrebbe fatte diventare delle principesse, rispettando la loro dignità di esseri umani.

“Per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America”. Ahimé, si va in Italia, per morire e non per ricominciare. Oggi lutto nazionale. Ficchiamocelo bene in testa però. I due minuti di silenzio non bastano.

17 anni da Berluscones: Buonanotte Italia e sogni d’oro

Come farà Maurizio Crozza senza lui? A chi gliele canterà ora che il tiranno ha mollato, colui che fu eletto a furor di popolo. Mentre su i social network diluvia la gioia del dì di festa e nelle piazze aleggia il tricolore, forse l’Italia è tornata a vincere i Mondiali di calcio.

Diciassette anni di berlusconismo come saranno raccontati ai posteri nei libri di storia? Nostradamus rabbrividisce al pericolo che tra una cinquantina d’anni lo rimpiangeremo come fanno i nostalgici del Duce.
Il video che nel ’94 stordì gli italiani, incluse le casalinghe che si impasticcavano con telenovelas e talk show al femminile, gira in queste ore taroccato in rete. Sembra che appartenga a tutti gli adolescenti nati negli anni del sogno in cellofan che inneggiò alla libertà e democrazia, adempiendo invece ai protocolli della Prima Repubblica: gli stessi della grande abbuffata democristiana, che mise nel sacco i socialisti per la gioia dei comunisti.

Niente più canzoncine, manifesti giganti, sorrisi allungati, frasette costruite a tavolino. Sul web c’è chi abusa dello slogan “Buongiorno Italia”, senza sapere che omaggia la vecchia guardia della tv privata in Italia: era la versione nostrana del format televisivo Good Morning America, che consegnò il palinsesto televisivo mattutino nelle mani del Cavaliere.

Chi si convinse che le antenne di Cologno Monzese fossero la torre-simbolo contro il monopolio dell’informazione statalista in Italia, si é dovuto ricredere anni avanti: le tette e i culi di “Drive in” presagivano i festini di Palazzo Grazioli; lo strapotere degli Ewing nel serial “Dallas” profetizzavano che soldi e corruzione avrebbero allungato la stagione del potere; i nuovi telegiornali spuntati come regalo della legge Mammì annunciavano l’ascesa della dittatura mediatica; tronisti, letterine e salottini trash sarebbero state la distrazione dell’elettore medio.

Le monetine lanciate a Craxi ritornano arrugginite sul capo di Sua Maestà, mentre il popolo credulone vuole ad ogni costo il sovrano alla ghigliottina. Seconda Repubblica? Dream is over. Finito il furor di popolo e le sceneggiate che fanno passare l’euforia sociale per rivoluzione, da qualche parte campeggia il ritratto del Principe Fabrizio Salina con la massima: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. La storia del Belpaese republiccano docet, prima del Bunga-Bunga. Buonanotte Italia. Sogni d’oro.

La stampa estera: Addio, Silvio.

Il videomessaggio di addio di Berlusconi

Governo tecnico: incarico a Monti

Guerriglia a Roma: strumentalizzare il diritto di manifestare?

Quel martedì nero di guerriglia urbana a Roma non lo dimenticheremo facilmente. Se avessimo fatto uno switch sul bianco e nero dei nostri LCD, avremmo rivisto qualche sequenza degli Anni di Piombo. Sì proprio gli anni ’70, quelli liquidati con le assoluzioni sibilline dei mostruosi attentati a Piazza Fontana e a Piazza della Loggia. Mentre la rivolta studentesca, che ha preso d’assalto i monumenti italiani, è liquidata da qualcuno come coreografia e folclore, l’ondata violenta nella capitale contro il Governo intimorisce, scandalizza, depista.
Punto uno: intimorisce perché occorre far chiarezza su un punto, e cioè chi fossero gli aggressori infiltrati che hanno procurato violenza, facendo danni per oltre 20 milioni di euro e, soprattutto, messo in pericolo la vita di manifestanti e forze dell’ordine.
Punto due: scandalizza perché, come ipotizza il settimanale l’Espresso, potrebbe esserci la presenza di “agenti provocatori” all’interno dei cortei.
Punto tre: depista perché questa guerriglia cittadina rischia di trasformarsi in una ridicola strumentalizzazione ai danni degli studenti italiani. Nessuno si è chiesto: perché mai c’è tanto malcontento in Italia?
Fanno bene le associazioni studentesche a prendere le distanze dalla violenza e a ribadire un concetto: manifestare è un sacrosanto diritto. Il Belpaese lo sta dimenticando perché gli uomini col megafono diventano una rarità, mentre i poltronai si moltiplicano, alla faccia delle sequenze delle sommosse delle banlieue parigine, che sembrano un ricordo sbiadito. E in tutto questo un po’ di colpa ce l’avranno pure quei genitori salottieri, “i mostri invisibili” che ieri sono stati a guardare con viltà il ’68 tra le mura domestiche e oggi ammazzano le coscienze collettive dei figli con la vergognosa filastrocca: “Lascia perdere il megafono e resta a casa a studiare”.
Ci sono tante modalità di protestare, senza inciampare in atti di vandalismo e aggressività, come quelli che ci propina la tv ad ogni ora del giorno. Scusate, se insisto: non è stato “violento” il trailer onirico di Bruno Vespa su Sarah e Yara, che ha interrotto una settimana fa il film Cenerentola? Ne vogliamo parlare?

Tania, l’insegnante con i sogni lasciati al vento

Il Presidente Giorgio Napolitano ha firmato la nuova manovra finanziaria del governo, ricordando a tutti gli italiani che è il momento di “fare sacrifici”. Cosa abbiamo fatto fino a questo momento? Il commento che Tania ha lasciato al mio post sulla nuova Finanziaria 2011-2012 mi ha colpito e mi sono detto: per una volta voglio bloggare con le parole di una lettrice. Ho conosciuto Tania su un autobus che ci portava a scuola alla fine degli anni Ottanta. Poi ci siamo persi di vista e il web ci ha fatto ritrovare. Quella di Tania non è una lamentela, è un’amara presa di coscienza che si rifugia in quella che appare come la pagina da strappare di un vecchio diario di scuola. Questa pagina va conservata alla luce dei fatti di questi giorni:

“In questi giorni avverto una strana sensazione di impotenza dinanzi a cotanta indifferenza, a scuola tutti proseguono per la loro strada come se nulla accadesse, qualcuno sibila un piccolo e rassegnato “mamma mia”. Personalmente ho una rabbia tremenda, è stato già difficile accettare che nonostante la fatica, l’impegno, non ho potuto fare il tanto ambito scatto sociale: io figlia di un autista dell’Atan con madre casalinga e proveniente da una cittadina di periferia non ho mai sognato di diventare ricca. Anzi ricordo le battaglie al liceo quando il prof mi replicava che l’insegnamento mi avrebbe relegato ad una vita di stenti. Io ostinatamente urlavo la mia voglia di dedicare l’esistenza alla conoscenza esplorata ma anche tramandata, speravo al contempo di non condurre una vita tanto sacrificata, mi dicevo tra me e me che comunque avrei avuto un lavoro,ambivo,forse ingenuamente, ad entrare nella così detta classe media, quella che poteva permettersi le vacanze, il cinema ed una pizza al sabato sera.
Oggi a 34 anni, sono insegnante, mio marito è capo stazione, ho due bimbi, un mutuo trentennale per un alloggio di 80 metri quadri. Non posso certamente andare al cinema neanche una volta al mese, abbiamo una piccola utilitaria e ringrazio già Dio perché posso pagare le attività sportive ai bimbi e fare un po’ di mare (in campeggio però!). Poi ad un tratto mi viene chiesto di fare ancora sacrifici. Mi chiedo: o sono l’unica sfigata di Italia che non ha rendite, che ha una famiglia d’origine amorevole, ma che può donarle solo aiuti morali – essendo anche loro solo pensionati a stento ci invitano a pranzo un paio di volte l’anno – oppure qui il Paese è in uno stato remissivo e non si rende conto che l’Italia sta andando alla deriva”.

Caro Presidente Napolitano, mi scuso per la sfacciataggine: ci pensa lei a rispondere a Tania? Io non ne ho né il coraggio né l’autorevolezza. Tania ha un sacrosanto diritto, quello di riprendersi i sogni lasciati al vento.

Lodo Alfano, il Belpaese perde il pelo o il vizio?

Silvio Berlusconi

Rosario PipoloStropicciato nella centrifuga del caos mediatico, il pensiero dell’italiano medio vacilla dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Consulta. Il lettore arguto smanetta su Internet e si appella all’oracolo della stampa straniera. Il quotidiano inglese Times picchia duro contro Silvio Berlusconi e, senza troppi raggiri di stile, scrive con fermezza: “Silvio Berlusconi ha gettato vergogna su se stesso e sul suo paese con le sue buffonate sessuali e i suoi tentativi di evitare i processi. Ora si deve dimettere”.  Quale è il destino del Premier e del suo governo adesso che le quattro cariche più alte dello Stato perdono l’immunità temporanea? I fantasmi e gli orrori della Prima Repubblica tornano a fare toc toc alle nostre porte, mentre un’indagine parla di crisi nera e povertà alimentare: quasi 4 milioni di italiani non hanno abbastanza soldi per fare una spesa adeguata. Adesso l’Italia ha un semaforo rosso sul suo cammino politico e sociale, e non può stare più con due piedi in una scarpa. Questa vicenda mi fa tornare in mente un episodio di tanti anni fa. Passando in piazza Giovanni Leone a Napoli, mi chiedevo tutte le volte perchè la mia città avesse intitolato uno spazio pubblico ad un Presidente della Repubblica, travolto dallo scandalo Lockheed e  costretto a lasciare il Quirinale. Ahimè, gli eroi della mia generazione erano “un partigiano come Presidente” (Sandro Pertini) e un Papa rivoluzionario che sognava il dialogo delle religioni (Karol  Wojtyla). Non sempre il significato di “eroe” o “martire” sta dalla parte giusta!