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Ciao Expo 2015, noi Expottimisti restiamo qui

Rosario PipoloGli sciami di disfattisti che sorvolano i social network hanno l’arroganza di giudicare ciò che non hanno mai visto o raccontare ciò che hanno vissuto con superficialità. L’expottimismo è stato contagioso e non è stato segregato in un hashtag che ha spopolato su Twitter.
Sarebbe uno spergiuro essere expottimisti per partito preso così come essere disfattisti, confermando la riflessione di Albert Einstein: “È più facile spezzare un atomo che un ‪pregiudizio‬.”

Spenti i riflettori su Expo 2015, dimenticheremo in fretta le criticità per gestire gli oltre 21 milioni visitatori in pellegrinaggio a Milano; ci svestiremo persino di quella rabbia per le code disumane degli ultimi mesi e, perché no, smetteremo di maledire il vicino di casa o l’amico che ci ha convinti ad affacciarci nel luna park dell’Esposizione Universale.

A chi vorrà farci sentire in colpa per aver vissuto a pieno questo semestre, spiaccicheremo i versi cantati all’Open Theatre da De Gregori “L’Italia metà giardino metà galera”, come per dire non abbiamo fatto finta niente: gli scheletri nell’armadio restano. A chi vorrà convincerci che il successo di Expo 2015 è di Sinistra o di Destra, noi risponderemo che in realtà è degli expottimisti.

Gli expottimisti sono l’uragano d’energia fatto dai volontari e da tutti coloro che hanno lavorato qui. Ne ho incontrati tanti in questi sei mesi, ci ho parlato, per raccogliere piccole storie che fanno la vera bellezza dell’Italia. Jonny Sanchez, studente universitario peruviano, è tra questi.
Il decumano di Expo 2015 è stata la strada per guardare negli occhi l’Italia del futuro, meticcia e ottimista, e farsi trascinare dall’energia positiva di ventenni come Johnny, che ha scritto sui vetri dei miei occhiali una piccola verità: “Si possono incontrare persone stupende ogni giorno, dobbiamo essere prima di tutto noi a volerlo, basta un sorriso per renderci felici”.

Prima che l’Albero della vita scuota con l’ultimo scintillio la nostra emotività e la mezzanotte, come recita ogni fiaba che si rispetti, si porti via Expo 2015, tra i Padiglioni si intravedono le ultime scie di expottimismo, custodi delle riflessioni sul cibo e sulla nutrizione del pianeta: sono le lacrime, gli abbracci e i baci di decine e decine di ragazzi che hanno condiviso un semestre di lavoro.
Rallentiamo tutti il passo, vorremmo non uscire più, perché in questa notte di Halloween abbiamo fatto a meno di indossare maschere da streghe e stregoni senza aver paura di tirar fuori ciò che abbiamo dentro.

Ognissanti: I morti non mi fanno paura, le streghe non le digerisco, i vivi mi lasciano indifferente

Da piccolo la vigilia di Ognissanti significava prepararmi ai due giorni che in famiglia avremmo dedicato alla visita dei nonni al cimitero. Non ricordo maschere, dolcetti o scherzetti, ma un’insolita compostezza che noi piccoli percepivamo: la morte è una cosa seria. Lo ribadiva pure Antonio De Curtis – in arte Totò – nella splendida poesia ‘A livella.

Mano a mano che crescevo, vivevo il doloroso distacco da alcune persone che avevano attraversato o sfiorato la mia vita. Il 1 e il 2 novembre me ne andavo da solo a visitare le loro tombe e condividevo i miei pensieri con ciascuno, sperando che non si riducesse tutto ad una lapide, ma che altrove ci fosse uno spazio che accogliesse lo spirito dei miei cari.

Mi importava poco di ciò che dicevano ai miei genitori: “Un ragazzetto non dovrebbe andarsene a zonzo in un cimitero”. Qualcuno sospettò che mi mettessi a caccia di fantasmi. Una volta, il 2 novembre  ritardai l’uscita, perché capitai in un lato del camposanto a me ignoto. Non c’era più luce del sole, neanche le lapidi si distinguevano. Per un attimo ebbi paura. Lo sguardo si posò sull’immagine di un mio coetano, scomparso prematuramente.
La paura scemò appena notai che non vedevo più gli ornamenti sfarzosi dei sepolcri o le cappelle bunker, che evocavano stupidamente l’atteggiamento classista dinanzi alla morte.

Ad illuminare la strada verso l’uscita furono tutti quei lumini, che mi restituirono la sobrietà della morte, calpestando la volgarità e il folclore umano. Da allora i morti non mi fanno più paura e mi lasciano indifferente i vivi che strascicano l’arte dell’apparire oltre la soglia del camposanto.

 Totò recita ‘A livella

Io sto bene senza Halloween!

La notte di Halloween

Rosario PipoloAl di là delle tendenze o dei capricci modaioli, non mi sono mai affezionato ad Halloween. A dire il vero quella volta che papà mi regalò una zucca con occhi, naso e bocca, non pensavo fosse il simbolo di questa festività, che continua a fare impazzire gli americani.  E ora che gli italiani ci vanno dietro, dalle prime settimane di ottobre dobbiamo sorbirci le vetrine allestite per accogliere nel migliore dei modi la notte delle streghe. Dolcetto, scherzetto o business folcloristico?

A casa mia, appena sbucava la vigilia di Ognissanti, ci preparavamo a condividire i giorni successivi con i nostri defunti: il 1 e il 2 novembre dalle mie parti si andava al camposanto. Le streghe e gli zombi mi fanno ancora paura  – e tanti anni fa ne ho dibattuto simpaticamente con il regista George Romero – ma i morti no.

Loro sono da tutt’altra parte, lontani dalla viltà e dalla fragilità umana. Quest’anno volevo andare controtendenza e far baldoria la notte di Halloween. Ho cambiato idea perchè in fondo non me ne frega niente. Non voglio rinunciare a fare un po’ di silenzio attorno a me e trovare il tempo di raccogliere un crisantemo.

Non voglio privarmi della speranza che il profumo di quel fiore raggiunga tutti coloro che oggi mi mancano profondamente. E loro non sono “zombi”, ma “vivi più che mai” sulla giostra della memoria. E pensare che il ricordo dei momenti speciali condivisi con i miei defunti trasforma ancora le mie notti buie in giorni soleggiati!