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9 settembre 2014: l’emozione di ascoltare in mono come allora il vinile dei Beatles…

Rosario PipoloFatevelo raccontare dalle nonnine di Liverpool cosa accadde nei negozietti di musica ai tempi del Mersey Beat quando apparve Please Please me, il primo album dei Beatles. Più di mezzo secolo fa la musica si ascoltava in mono e, oggi 9 settembre 2014, tocca capirlo anche alla generazione che divora canzoni in formato digitale. The Beatles in Mono, il lussuoso cofanetto dei Fab Four che ripropone i vinili orginali in versione mono, è più di un capriccio feticista.

Nell’agosto del 1990, in occasione della mia prima fuga a Liverpool ancora minorenne, incrociai un venditore di musica degli anni ’60. Mi raccontò delle file di ragazzine che si appostavano nel retrobottega alla vigilia dell’uscita di un nuovo album di John, Paul, George e Ringo. La Universal non è riuscita neanche a consegnare i Mono Box nei grandi store musicali di Milano. Segno che i tempi sono cambiati, che le file sono diventate flussi di acquisto su Amazon, che la crisi ci costringe a vedere un LP come superfluo.

Negli anni ’60 la musica era pura “monofonia” e le prime apparecchiature in  “stereofonia” erano davvero lusso. Ricordo quando da Liverpool mi portai una delle prime stampe di With the Beatles in mono e provai a metterla sul mio giradischi e percepirne le variazioni d’ascolto. Non si restaurano solo i film, ma anche la musica. Rispetto agli errori fatti sui remasters dei Pink Floyd, per i Beatles la faccenda è diversa. Tuttavia, la versione CD di the Beatles in Mono del 2009 aveva solo una pecca: il suono mono aveva come fonte i master digitali, perdendo fragranza e spontaneità.
Su questi vinili 180 grammi di oggi i Beatles tornano a cantare “nel mono di allora” grazie agli ingegneri del suono. Questa volta hanno lavorato al mastering sull’analogico.

A cosa serve tutto questo? A ricordare che un disco allora non era fatto soltanto di ascolto ma anche di tatto:  l’artwork, la copertina apribile, i testi delle canzoni. A ricordare che, lungo il marciapiede dei vent’anni dei miei genitori, bastava un disco per essere felice, lontano dall’ingordigia dei giorni nostri. A ricordare che sono in tanti quelli come me che hanno calcato i passi della propria vita sulle canzoni dei Beatles.
A me succede dall’età di 14 anni. Allora chiesi a mia madre i soldi per comprare tutti gli album dei Beatles. Fu un prestito mai restiutito che si trasformò in un regalo: quello di aver messo una passione legittima sul piedistallo della mia vita.

50 anni con i Beatles oggi: Perchè un minorenne scappò a Liverpool

Non c’è nessuna icona della musica contemporanea che sia legata ai luoghi natali come i Beatles. In giro ci sono tante città-santuario, come la Graceland di Elvis Presley, ma non fanno altro che imbalsamare il mito. Per Liverpool invece è tutt’altra storia: quei posti sono vivi, Penny Lane o Strawberry Fields concimano nel territorio urbano la working-class di un tempo, tra dock e “ red bricks on the wall”.
Almeno lo erano fino a vent’anni fa, prima dell’invasione dei pellegrini del low cost di Ryan-air, prima che il comune optasse per la scelta infelice di cambiare alcune strade, di abbattere edifici fatiscenti, di dedicare ai Beatles tributi kitch qui e lì.

Io mi sono perso invece proprio tra quegli edifici fatiscenti, nell’estate del 1990, ancora minorenne, alla ricerca di posti e persone che avevano ruotato attorno ai quattro ragazzotti di provincia anglosassone: dalla vicina di casa di Paul alla birra con Williams, il primo manager; dall’abbraccio con un fantomatico zio di John alla passeggiata assieme ad una donna, figlia di una Anne che in gioventù aveva pomiciato con Pete Best.
Mezzo secolo fa, proprio oggi con il singolo “Love me do”, i Beatles entrarono nella storia personale di più generazioni; venticinque anni fa bussarono alla porta della mia adolescenza: ci sono entrati, ci sono rimasti per sempre, con costanza.

Sono stati la colonna sonora di gran parte della mia vita, ma non mi sono bastate le canzoni, gli album, i cimeli racolti nel tempo. Volevo guardarli da vicino, da giovanotti grezzi di periferia, prima che la Londra di Abbey Road li risucchiasse, trasformandoli in quattro baronetti metropolitani e sofisticati.
Mi accaparrai una mappa e scovai una cinquantina di posti, anche minori, che spesso parlavano più di quanto magari facessero Menlove avenue o il Cavern Club: una scalinata dove John e George si era fermati; il letto di un ospedale pubblico dov’era nato Ringo; un incrocio qualunque che aveva strappato via a John la madre Julia.

Le canzoni dei Beatles sono venute prima e dopo. Giusto in mezzo però c’è Liverpool, quella di vent’anni fa, che aveva raccontato un miracolo avvenuto nella Gran Bretagna del secondo dopo guerra: la classe operaria andò in paradiso con quattro sbarbatelli, cresciuti nell’Inghilterra “cafona”, che mischiarono sogni, poesia e musica come se fosse un gran bel gioco, destinato per volontà degli dei a non finire mai.

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Ringo Starr a Milano e Roma: Io scassinavo salvadanai per i tuoi dischi!

Sono una minoranza gli adolescenti che si fanno travolgere dalla musica fuori dal proprio tempo. Mi sentivo parte di questo branco ristretto quando alla fine degli anni ’80 me ne andavo nei paesotti di provincia a cercare i tuoi dischi, caro Richard. Una volta girando a Liverpool – ero ancora minorenne e lasciai i miei in preda alle palpitazioni – nei posti in cui sei cresciuto, mi sono detto: cosa avevamo in comune? Anche tu eriun ragazzotto di periferia e non penso che, picchiando forte sulla tua batteria, avresti mai immaginato di attraversare il mondo.
La casualità, la mia compagna di viaggio prediletta, mi portò allora ad incontrare alcune persone a te particolamente legate, quelle che bussando alla porta di casa tua trovavano il cognome Starkey. Beh, rovistando in un negozietto di anelli poco distante da Penny Lane, mi sono chiesto come facessi ad andarne matto. Quella non era robetta da femminucce? Perlomeno ti sei trovato un buffo nome d’arte, Ringo, che ti confonde con un pistolero del Western.
L’epopea del vecchio West era passata da un pezzo, ma non quella delle navi che trasportavano sogni verso l’oltreoceano. E’ lo stesso tragitto che fanno i sogni incollati alle parole e alle note delle canzoni, formando i piccoli segreti della vita: “Every soul has a secret, give it away or keep it”.
Io l’ho tenuto il mio segreto: quello di aver fatto lo scassinatore di salvadanai per acquistare i tuoi dischi e sentire dal profumo del vinile l’ebbrezza del tempo che non passa mai. Avevo fatto la maturità quando sei venuto in Italia l’ultima volta. Mi dicevano che ero un matto ad assistere ad un concerto alla vigilia della prima partenza per gli Stati Uniti. Che rabbia, quando gli organizzatori fecero saltare la data di Roma!
Sono passati quasi vent’anni, ma resto la “capa tosta” di allora. E con lo spirito di chi si batte affinché la musica sia una gioiosa “festa sociale”, sono sicuro che in questa domenica e lunedì di luglio restituirai a Milano e Roma una carica di energia, mancante in questo momento. Gioco a fare il finto tonto: più invecchi, più assomigli un sacco a Ringo Starr, il batterista del Beatles!