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Festa della Mamma: Un petalo di margherita a Micol Fontana

“Son tutte belle le mamme del mondo”, cantava Giorgio Consolini all’alba degli anni ’50. Sono ancora più belle “le mamme” che hanno deciso di esserlo in tutto e per tutto, comprese quelle lavoratrici. E ancora oggi qualche volta sento palleggiare il solito luogo comune da chi punta il dito e giudica: “Tu donna in carriera? Lascia perdere l’idea di avere un figlio, non fa per te”.

Mi è tornata in mente una scena in bianco e nero dell’Italia del ‘900. Una donna imprenditrice che non dimenticò mai di essere madre. Micol Fontana, che da sartina di provincia si trasformò in una delle più grandi stiliste del mondo, non sacrificò mai l’amore sterminato per la figlioletta Maria Paola.
Rivedendo la fiction riproposta dalla Rai su una parte della sua vita, mi ha colpito la scena in cui va a riprendersi la figlia a casa dei suoceri. Il primo marito voleva liquidarla così: “Tu dedicati ai tuoi abiti, a Maria Paola ci penso io”. Micol non si separò più dalla bimba fino al giorno in cui la piccola fu strappata prematuramente alla vita, per aver preso il tifo.

Nel giorno della Festa della Mamma ho scelto Micol Fontana per restituirle un pezzettino della sua maternità, anche se non sono suo figlio. Non ho mai avuto una bisnonna e Micol potrebbe esserlo. Le offro un petalo della prima margherita che raccolsi per mia madre in un campo alla periferia di Napoli trentacinque anni fa. Quel petalo non colmerà il vuoto per la perdita di Maria Paola, ma le ricorderà di essere madre per l’eternità,  la più tenera.

 Fondazione Micol Fontana

Diario di viaggio: ancora una ninna nanna per Miriam

A San Colombano a Lambro ci sono finito per caso. Il solito vagabondaggio a seguito di quell’innata malattia che è in me: scendere e salire da un posto senza spiegarti come ci sei capitato. E lì non c’ero andato per braccare Gianluca Grignani – tutti pensano che chi faccia il mio mestiere sia sempre alla ricerca di storie – ma per il tipico fuori programma, che trasforma ogni mia tappa in una sorpresa. Non mi ero soffermato né sulle bancarelle del paesotto ai confini del milanese né sulle mura suggestive del castello. Osservavo lei che sorseggiava il suo drink, con le sue unghie smaltate di verde, con una ciliegia rossa che danzava tra le sue dita.
Puoi impiegare una vita a dimenticare, ma un attimo a ritrovare un ricordo: quella sera di quasi venti anni fa restai a cena dal mio migliore amico. Arrivò la notizia che un brutto male aveva strappato la cugina dalla giovinezza. Io e lui eravamo convinti che la vita non potesse sbatterti la porta in faccia nel bel mezzo dei vent’anni. Un grido di dolore e rabbia arrivò così in fretta dalle montagne di Domodossola che noi non smettemmo di chiederci: “Cosa ne sarebbe stata di quella bimba che sgattaiolava per casa? Come glielo avrebbero spiegato che la mamma non sarebbe tornata più?”.
Prima che il sole calasse a San Colombano, guardandola negli occhi ho capito che la ragazza di fronte a me era la stessa bimba a cui avevano strappato la mamma. Mentre attraversavamo in auto il lodigiano, ho avvertito quanto la bassa padana le avesse restituito a mano a mano  la maternità smarrita, attraverso un legame speciale con la terra in cui è cresciuta.
Lei si faceva chiamare scherzosamente “magotta”, ovvero con quella parola che accentua il campanilismo tra lodigiani e piacentini. Sul suo collo era tatuato un verso di una vecchia canzone dei Platters che faceva più o meno così: “I’m wearing my heart like a crown pretending that you’re still around”.
In quel verso era conservata la sua vita. La mia magotta era tutta sua madre, in quel suo modo di rivestire l’anima, in quella sua smisurata dolcezza e combattività che avevano trasformato una domenica qualunque nel giorno in cui mi sono convinto una volta e per sempre: prima o poi qualcuno tornerà a cantare con amore una ninna nanna per Miriam.

Ecco il 2011: il mio Capodanno con il bimbo lottatore per la vita

Botti, spumante, euforia, brindisi, abbracci e baci per dare il benvenuto all’anno nuovo. Come sarà il 2011? E chi lo sa, mica noi blogger abbiamo la sfera magica.
Io voglio muovere i primi passi in questo nuovo anno assieme ai “lottatori per la vita”. Sono essere minuscoli che, dentro o fuori il grembo materno, combattono a denti stretti per restare qui con noi. Il miracolo della vita è qualcosa di incredibile e me lo sta ricordando un essere piccino piccino che in questo momento è in un’incubatrice. Lui sta lottando perché quel micro spazio diventi una culla. Voglio condividere con lui questo passaggio. Il mio sguardo si appanna sullo scivolo del Capodanno. I suoi occhietti semichiusi sono rivolti al soffitto di chissà quale ospedale, di chissà quale nido, mentre un filo di latte lo alimenta goccia dopo goccia. Lui non sa chi sono io e nemmeno io conosco il suo nome.
Attraverserò in silenzio tutte le corsie degli ospedali italiani per scovare quei bimbi come lui che non mollano la presa. Voglio festeggiare il Capodanno con tutti loro, perché appena nati sono stati capaci di darmi una gran bella lezione: resistere. Non ci sono avari sorpassi sociali, lavorativi, economici che tengano a confronto del miracolo della vita. Correndo correndo non ne abbiamo più tenuto conto.
Voglio resistere al tuo fianco, piccolo bimbo, affinché il miracolo della vita trasformi quell’incubatrice in una splendida culla. Buon Anno e tieni stretto il tuo orsacchiotto!