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Cartolina da Vittorio Veneto: Il sogno di Italo Serafini in un ospedale del Nord-Est

Da una camera dell'ospedale di Vittorio Veneto

Rosario Pipolo“Il nostro amico Angiolino”, che per certi versi assomiglia a quello della canzone di Paolo Conte, sognava di fare il cantante lirico. Da quando gli hanno diagnosticato un buco in gola non ha smesso di sperare. Anzi, lungo il corridoio del settimo piano dell’ospedale di Vittorio Veneto, va avanti e indietro aspettando l’ultimo referto. Il monumento ai caduti della famosa battaglia tra Italia e Impero Austro-Ungarico, posto al centro del paesotto nella landa del Nord-Est veneto, è passato in secondo piano. Più di cinquant’anni fa il compianto Prof. Italo Serafini* sperimentò su cani e scimpanzé nuove tecniche per intervenire sui tumori alla laringe. Da allora ogni giorno c’è un via vai di ammalati, molti dei quali in trasferta dal Sud Italia, che scelgono questa struttura per curarsi, perché la sanità pubblica riesce ancora ad essere eccelsa in alcuni angoli d’Italia.

Basta aggirarsi per i corridoi, sostare ad una macchinetta del caffè o affacciarsi in una stanza per raccogliere tante storie. Pianificare un viaggio volontario in ospedale può trasformarsi addirittura in un’occasione importante. Il viaggiatore che arriva in un reparto ospedaliero non vive l’approccio né dello staff medico né quello del parente dell’ammalato o del volontario. Ha un privilegio tutto suo, quello di soffermarsi e condividere alcuni dettagli che solo a lui sono concessi: le parole di una canzone di Balasevic con la ragazza serba ricoverata lì; il gusto di una cassata con il nonno siciliano che si rianima, raccontando di come la preparava ai nipotini; il profumo del mare della Calabria con la moglie che non lascerebbe solo il marito per niente al mondo; i colori dei vestiti di carnevale che l’ottantenne veneta cuciva per il figlio.

L’infermiere o l’ausiliare che non negano mai un sorriso e fanno il proprio dovere con impegno e meticolosità diventano anche essi “compagni di un viaggio”, che per ogni ospite prende una strada diversa. Mentre fuori c’è chi ostenta lo sfarzo del travestimento carnevalesco per essere ciò che mai potrà essere, all’interno della “scuola della speranza” – perché questo è un ospedale in fin dei conti – il viaggiatore impara a conoscere sé stesso, molto meglio di quanto non abbiano saputo fare gli altri, rincorrendo il misurino del tempo. Su una parete mi ha colpito una riflessione di un medico, Marco Lucioni: “Fare nel miglior modo possibile nel tempo che ci è concesso”. Il tempo è tiranno, davvero. Il peso del mio bagaglio in spalla mi ha distratto quando sono andato via. Mi sono voltato indietro: l’ospedale era una macchia confusa nel paesaggio. Non so se Angiolino ce la farà, ma sono tranquillo. Al settimo piano dell’ospedale di Vittorio Veneto ce la stanno mettendo davvero tutta per realizzare il sogno di un vivo: cantare la lirica. E dietro quel sogno c’è quello del luminare Serafini e di tutta la sua equipe.

* In memoria del Prof. Italo Serafini, luminare della laringoiatria (1936-2010)

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Dottore, il mio Capodanno 2013 in un ospedale lontano da casa

Rosario PipoloDottore, l’anno scorso ero a casa alle prese con il pranzo di Capodanno e, andando a fare la spesa, avevo pensato allo stretto necessario per i miei ospiti. Quest’anno la mia preoccupazione è un’altra: dare indicazioni a telefono a mia figlia. Io non sarò seduta a tavola con loro e dovrò accontentarmi della minestra della vostra mensa.

L’amarezza non è tanto il sapore che galleggia in questa scodella, ma non essere riuscita a farmi curare dove sono nata e cresciuta. Non c’erano strutture pubbliche disponibili e mi chiedevano tanti soldi. Non avevo capito che il valore della vita si riducesse ad un portafoglio. Ho lasciato il mare per le montagne. Signor dottore, è la prima volta che sono arrivata quassù.
Mi dicevano che da queste parti la gente fosse fredda. In questo ospedale ho conosciuto persone e storie che mi hanno riscaldato il cuore. E gli infermieri non mi hanno fatto sentire un’inutile ammalata, ma mi hanno riempito di coccole e di attenzione come faceva mio padre, tenendomi in braccio.

Signor dottore, mi hanno assicurato che la terapia finirà in tempo e miei capelli ricresceranno. Torneranno ad essere lunghi. Voglio essere bella al matrimonio di mia figlia. Si sposerà il 13 giugno, nel giorno di S. Antonio. È una vita che aspetto questo momento. A quanti pacchetti di sigarette ho rinunciato per farle un bel corredo, con quelle lenzuola color d’avorio che avvolgeranno due corpi innamorati.
Signor dottore, a volte ho paura, ma mi trattengo. Volgo lo sguardo e mi nascondo nel tramonto oltre le montagne. Mi chiedo quanto sarà fitto il buio. Mi consolo tutte le volte io la chiamo semplicemente Signor(e) e lei si volta.

Dedicato a tutti coloro che in queste ore stanno lottando contro il tumore. Non basteranno neanche queste parole a far sentir loro la mia presenza.

Accanto a zia Giulia: l’amore piega il Parkinson

Rosario PipoloSono seduto in una stanza soleggiata. E’ il primo pomeriggio. Lei è lì, distesa immobile nel suo letto, mi fissa. Le prendo la mano e le dico: “Zia Giulia*, sono tornato”. I suoi occhi diventano lucidi. Scippo all’amaro destino l’ultima speranza per convincermi che forse mi abbia riconosciuto. Le mani sono immobili. Eppure sono le stesse che un tempo impastavano una soffice torta, che puntualmente mi ficcava nello zaino prima di ripartire.

Dove abita il Parkinson? Lì, sul suo volto, sugli zigomi e fa di tutto per portarsi via le ultime briciole della mimica facciale. Mi torna in mente Isabelle Allende, accanto alla figlia malata, che scrive un profondo diario: Paula. Allora tiro fuori l’iPad, lo accendo e faccio finta di scarabocchiare. Non sono parole, sono segni come i disegnini che dedicavo a zia Giulia una trentina d’anni fa. Mettevo assieme, nel riquadro dello stesso foglio, i personaggi dei suoi telefilm e telenovelas preferite: J.R. di Dallas mi veniva benone, ma Veronica Castro di Anche i ricchi piangono era complicata per la capigliatura. Lei sorrideva, li conservava, mi accarezzava e mi premiava con qualche goloseria.

Scrivo, appunto. Lei farfuglia qualcosa come “treno”. Si è svegliata dal torpore all’improvviso e forse mi sta chiedendo con quale fossi arrivato. Zia Giulia conosce i miei vagabondaggi, perchè si era abituata alle mie improvvisate, quando sbucavo dalla stazione di Firenze Santa Maria Novella o da Campo di Marte nel bel mezzo della notte.

Il mutismo della morte vegetale ha ceduto la parola alla lotta per la vita. Mi sono convinto che il Parkinson si piega dinanzi all’amore. Non dovremmo mai precluderci una grande opportunità: visitare una persona ammalata che amiamo. Riempie lo spettro dell’inutilità che il più delle volte vagheggia nelle nostre esistenze e ci trasforma in piccoli angeli custodi. Solo così saremo capaci di restituire l’amore impagabile a chi ha contribuito a dare un significato ai nostri giorni felici.

 Parkinson.it

 100 risposte sul Parkinson

 Julia di John Lennon & Paul Mc Cartney 

*Mia zia Giulia si è liberata degli anni di prigionia del Parkinson nel pomeriggio del 1 maggio 2014.

Riforme e Sanità, svolta storica negli USA

“Ama il medico come te stesso e metti mano al portafoglio” poteva essere uno dei comandamenti dell’America graffiata dalle lobby e dalle compagnie assicurative. Giù le mani della Sanità privata perchè dopotutto “la salute non è un diritto di tutti” e nella lotta alla sopravvivenza si salvi chi può. E dei 50 milioni di americani senza copertura sanitaria? Per decenni l’America ha sentito fiumi di parole al Congresso;  ha sperato nell’indignazione di alcuni Presidenti che promettevano, ma poi cedevano al ricatto delle lobby;  ha messo a tutto volume le canzoni di Dylan e Baez, illudendosi che la musica potesse essere ancora l’unica arma di protesta; ha cacciato dalla Casa Bianca il guerriero George W. Bush dopo gli sprechi enormi di velleità belligeranti e colonizzatrici. E venne un uomo, lui il primo Presidente afro-americano, che di fegato ne ha avuto. La riforma voluta da Barack Obama non è più l’ombra di un manifesto da campagna elettorale sotto il tormentone “Yes, we can”, ma è il primo passo di una svolta. Non illudiamoci che gli USA si convertano ad una Sanità Pubblica sul modello europeo. Scordiamocelo, è utopia, pura demagogia.  La Camera dice sì ad una legge che partorisce finanziamenti pubblici e incentivi rivolti a oltre 30 milioni di cittadini che non possono permettersi di sottoscrivere una polizza. Obama e i Democratici fanno bene a festeggiare perchè questa è una data storica, ma con le dovute cautele:  il percorso è ancora tortuoso e le insidie sono dietro l’angolo perchè potrebbero venire dal basso.