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Greta e Vanessa, oggi ostaggi dell’Italia cinica divisa a metà

Rosario PipoloChe i social network siano la piscina in cui galleggiano le frustrazioni di più della metà degli italiani non è il tender del 2015. E’ qualcosa che ci trasciniamo dietro da diversi anni ed ora, dopo il polverone sulla liberazione di Greta e Vanessa, ne abbiamo la prova.

Per una ristretta minoranza le due giovani lombarde sono cooperanti partite per la Siria insanguinata dalla guerra civile.
Per la maggior parte Greta e Vanessa sono “le due puttanelle padane” che gliel’hanno fatta vedere pure “ai guerriglieri”; che hanno strizzato l’occhio al Jihadismo terroristico; che potevano farlo a casa loro questo “maledetto volontariato”, perché potrebbe esser costato un riscatto di 12 milioni di euro.

E chi tira le pietre a Greta e Vanessa è per lo più il popolo dei social network, che si arroga il diritto di commentare qualsiasi notizia come fosse il più autorevole cronista.
Chi è senza peccato, scagli la prima pietra, anche se vittima di fancazzismo e odioso qualunquismo. Sarebbe da dire che, con tutta la disoccupazione straripante in Italia, ritrovarci più “volontari” risulterebbe più dignitoso anziché proteggere una ciurma di parassiti, che tira le cuoia all’assistenzialismo statale o pratica assenteismo dal posto di lavoro, senza sapere neanche dove sia localizzata Damasco.

E chi tira le pietre a Greta e Vanessa è anche il politico che strumentalizza la “misteriosa faccenda” per la prossima campagna elettorale. E qualche volta – quasi fosse una beffa alla cialtroneria del Belpaese – capita pure che il J’accuse parta dalla stessa classe politica, che tempi addietro, fu trovata con le mani nella marmellata ad inserire tra i rimborsi di lavoro vacanze esotiche, carta igienica e fumetti.

Dopo aver stretto la cinghia per pagare Tarsi e Tasi, vuoi vedere che ogni abitante della Lombardia non sia così generoso da aggiungere 1,20 euro in un anno, il costo di un cappuccino, e contribuire così a saldare l’eventuale riscatto pagato per liberare Greta Ramelli e Vanessa Marzullo?

Italia-Germania 30 anni dopo: Mario Balotelli e il riscatto dell’Africa nella vittoria azzurra

La partita Italia-Germania di ieri sera sarà ricordata come il match del riscatto: da una parte la generazione over 40 che voleva l’attacco nostalgico dei Mondiali di Spagna dell’82; dall’altra la generazione degli over 20, pronta a dare una bella lezione alla Germania della Merkel, che tiene in pugno l’amaro destino della nostra economia.

Eppure il vero riscatto sta nei due goal di Mario Balotelli, l’italiano adottato, figlio di immigrati ghanesi. Trent’anni fa il nazionalismo del Belpaese era tutto lì, nei tiri di Paolo Rossi. Oggi nel 2012 tra le fila della nostra Nazionale c’è un ragazzotto della pelle nera, che è un italiano vero.
Qualche anno fa, in un giro notturno a Brescia, mi ritrovai in mezzo ad una comunità di giovani ghanesi. Pensavo tra me e me agli scherzi bizzarri che fa la storia: una delle città più razziste nei confronti dei meridionali era completamente abitata dagli stranieri. Del resto, basta poco per vomitare la nostra anima razzista, fare di tutta un’erba un fascio.

L’abbraccio di Mario alla mamma Silvia, dopo il passaggio degli azzurri alla finale degli Europei 2012, fotografa una paginetta da romanzo d’appendice, che avrebbe fatto gola a Charles Dickens e agli scrittori vittoriani simili: il bimbo africano abbandonato in un ospedale e affidato ad una coppia di italiani che lo alleva, lo circonda d’amore e gli ricorda che nella vita basta restare se stessi per essere campioni.

Sono tornate tutta una serie di coincidenze, proprio lì nella Varsavia – una delle capitali europee che hanno segnato i miei vagabondaggi – che affila la lama nel laccio che unisce l’Europa dell’Est a quella dell’Ovest. Nell’ultimo giovedì di giugno, in quello stadio, il Belpaese ha ritrovato la sua anima di paese meticcio, riconoscendo all’Africa, che scorre nel sangue di Mario Balotelli, tutto il merito di questa vittoria. E sarebbe bello che a Brescia, ad aspettare Super Mario, si ritrovassero in festa abbracciati bresciani e ghanesi: saremmo tutti più italiani.

  Orgoglio d’Italia

La domenica e il riscatto del Sud con la Coppa Italia al Napoli

Erano troppi anni che la Coppa Italia non tornava alle falde dal Vesuvio. C’era arrivata l’ultima volta nel 1987 tra le mani di Maradona, con la buona parola di San Gennaro e prima che la città di Napoli entrasse nell’epoca del bassolinismo illuminista. Mentre la città risorgeva nella culla della più grande bolla di sapone degli anni ’90, la squadra calcistica finiva sotto terra per colpa di una cattiva gestione, che poi altro non era che il riflesso di chi amministrava lo stesso capoluogo campano.

De Laurentiis ci ha creduto e ha riportato il Napoli ad essere il grande Napoli, quello che sa farti traballare con l’ostinazione di un allenatore come Mazzari, che all’Olimpico però ha saputo fare. Il Napoli di Mazzari ha messo all’angolo la Juventus Campione d’Italia. Lo ha fatto purtroppo in una domenica in lutto per l’Italia: da una parte lo choc per la strage di Brindisi, dall’altra il timore che il maltempo complichi il disagio dei terremotati in Emilia-Romagna.

Tuttavia, sforando i perimetri delle curve antropologiche e sociologiche di una comunità, il pallone segna da sempre il riscatto dei popoli del Sud: accade a Napoli come a Buenos Aires o a San Paolo. I vincitori di questa Coppa Italia sono tutti i napoletani che tornano a riscattare, attraverso la loro squadra, la città dagli scempi della cronaca degli ultimi tempi. Sui volti di coloro che sfileranno sul lungomare Caracciolo fino alle luci dell’alba troveremo per l’ennesima volta la dignità del Sud, di chi riesce a fare di una “speranzella” – come avrebbe cantato Renato Carosone – il sellino per cavalcare il futuro.

Fa sempre un effetto strano pensare che “’O Surdato ‘Nnammurato”, composta quasi un secolo fa da Cannio e Califano, continui ad essere un inno di gioia e festa conosciuto in tutte le parti del mondo. Eppure il celebre brano racconta tutt’altro: la lontananza di una coppia nei giorni della guerra perchè lui è al fronte. I napoletani sono riusciti a stravolgere con la loro personale interpretazione persino il testo di Califano, forse in maniera legittima, perchè dopotutto una partita di pallone è la metafora più appropriata della vita: i vinti possono trasformarsi all’ultimo istante in vincitori, con la consapevolezza che solo il domani legittima la meritata vittoria di oggi.