Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

10 foto di Mikhail Gorbaciov da conservare

Quelli della mia generazione sono cresciuti sentendo in lontananza il ruggito di Mikhail Gorbaciov, il visionario della Perestrojka a cui i russi non diedero ascolto in tempi non sospetti. Ho scelto 10 foto dall’album della sua vita e voglio ricordarlo così.Prima o poi troverò qualcuno di buona volontà che vorrà musicare le parole sagge di un antico proverbio arabo: “Sui cadaveri dei leoni festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani”.

Le radici, i nonni, la Russia contadina.
Misha e il suo grande amore Raissa, sposi per 46 anni
Misha e Fidel
I sorrisi di Misha e Reagan, la distensione URSS-USA
L’appassionato bacio tra Misha e Heckner della Germania dell’Est
Misha e Sua Maestà Lillibet
Misha e il Papa polacco Wojtyla
Misha fotogenico nello spot pubblicitario di Pizza Hut
Misha, la musica, Bono e il sassofono macato di Clinton
L’amore oltre la morte. L’ultimo saluto straziante alla sua Raissa.

Russia e Ucraina nella guerra dei social media tra fake news e amare verità

Illustrazione Cover di The Daily Beast


La guerra tra Russia e in Ucraina si sta combattendo anche con i social media, da Telegram a TikTok, paradossalmente lanciati da Russia e Cina, i due nemici più temuti dalla NATO. Agli inviati di guerra dei media tradizionali, che in questo conflitto spesso sono stati ostacolati nel reperimento di notizie in loco, si è affiancato il citizen journalism. Da una parte, il giornalismo partecipativo ha fatto della gente comune uno dei protagonisti della narrazione di questa guerra sanguinosa, dall’altra si è assiepato tra fake news e amare verità.

GUERRE INTELLIGENTI

Se faccio un passo indietro e ripenso alle pagine di Guerre Intelligenti, il volume che mi portò a lavorare a fine anni ’90 alla Federico II di Napoli nel team della sociologa Rossella Savarese, sembrano trascorsi anni luce dalla Prima Guerra del Golfo, nell’evoluzione dei sistemi di informazione e delle loro relazioni con la politica locale. La Russia di Putin ha fatto scricchiolare lo slogan “si vince senza combattere” e sta trascinando l’Europa in una guerra che convoglia strategie militari tradizionali.

MOSCA E LO STILLICIDIO DELL’INFORMAZIONE LIBERA

A livello mediatico cosa accade? Se allora Peter Arnett, il celebre giornalista della CNN, si fermò a Baghdad per raccontare le notizie censurare da Saddam Hussein, oggi gli inviati delle maggiori testate del mondo a Mosca hanno dovuto preparare “i bagagli” dopo la decisione della Duma di imbavagliare l’informazione libera.
La Russia è tornata indietro ai tempi del Muro di Berlino con la pena di 15 anni di carcere, voluta per fare uno stillicidio della stampa libera e indipendente.
Al di là dei nostri corrispondenti messi con le spalle al muro, restano i social media a far dannare Putin e il Cremlino. Nonostate la chiusura dei rubinetti di Facebook, Twitter e Instagram al di là degli Urali, l’mbarazzo per gli orchi dell’ex Unione Sovietica è tanto: da una parte l’indignazione per l’uccisione in Ucraina di diversi messaggeri dell’informazione, tra cui l’ex collaboratore del New York Times Brent Renaud, il cameran di Fox News Pierre Zakrzewski e la collega ucraina Alexandra Kuvshynova, dall’altra lo sputo in faccia alla censura della giornalista russa della Televisione di Stato Marina Osiannykova.

GUERRA E SOCIAL: DA TELEGRAM A TIKTOK

Nessuno avrebbe immaginato che proprio Telegram, la piattaforma di messaggistica fondata nel 2013 da un russo, Pavel Durov, sarebbe diventato il principale veicolo di informazioni e propraganda al tempo stesso del governo ucraino nella guerra che sta tenendo il mondo intero con il fiato sospeso.
Gli stessi inviati in Ucraina delle grandi e medie testate giornalistiche hanno dovuto cedere al ripiego della citazione Fonte: Telegram per completare i loro reportage.
TikTok, lanciato in Cina solo sei anni fa e in voga tra i giovanissimi per creare video musicali bizzarri, si è trasformato invece dal social della goliardia allo spacciatore dei video dei crimini di guerra.

IN TRAPPOLA TRA FOTO RITOCCATE E VIDEO RICICLATI

Nella guerra tra Russia e Ucraina che impedisce in tutti i modi ai giornalisti inviati di spostarsi con agilità e andare fino in fondo – chissà cosa direbbe il primo inviato bellico della storia William Russell (per The Times nella guerra in Crimea del 1853-1856) – i social media stanno dando un grande supporto.
Il rischio della fake news e della propaganda bellica da entrambi gli schieramenti tra foto ritoccate e vecchi video riciclati – come in ogni conflitto del passato tra l’altro – resta al centro del dibattito e non è l’unico prezzo da pagare per l’informazione. A quasi un mese di guerra sono state prese diverse cantonate, anche dai media più autorevoli, dalla messa in onda di una sequenza di un videogame al posto di un borbardamento ad un missile lanciato nel Donetsk fatto passare per un attacco a Kiev.
Del resto come amava ripetere il saggio Winston Churchill:

Una bugia fa in tempo a compiere mezzo giro del mondo prima che la verità riesca a mettersi i pantaloni.

L’idiozia della censura alla cultura russa, da Dostoevskij a Masha e Orso


La Nato e l’Europa stanno combattendo la ferocia della Russia nella guerra in Ucraina con la sciabola delle sanzioni finanziarie. Quale senso ha l’estensione delle pesanti multe alla cultura russa?

LA CULTURA UNICO BENE COMUNE DELL’UMANITA’

Il bar dei social network, dopo l’exploit del “siamo tutti virologi” della pandemia, è affollato improvvisamente da esperti di geopolitica e tattiche belliche che fanno a scazzottate, in stile Peppone e don Camillo, nel rigoglio di vecchie nostalgie filosovietiche.
Dopo l’abbaglio di associare i tedeschi al nazismo o gli americani ai prepotenti cowboy che ammazzavano gli indiani, mercifichiamo la follia dello zar del nuovo millennio con l’odio per la gente comune e la cultura russa? Come ci ricorda il filosofo tedesco Gadamer “La cultura è l’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande.”

GIU’ LE MANI DALLA CULTURA

La decisione iniziale dell’università Bicocca di Milano di congelare le lezioni su Dostoevskij del professore Nori mi è sembrata idiota e, allo stesso tempo, surreale quanto l’ondata antirazzista d’oltreoceano di qualche anno fa che voleva bruciare sul rogo, come una strega, il film “Via col Vento”.
Senza lo schiavismo degli afroamericani, incorniciato nella storia d’amore di Rossella O’ Hara, che segnò la mia infanzia sulle gambe di mamma davanti a un piccolo televisore in bianco e nero, non mi sarei spinto decenni dopo fino a New Orleans, nella Louisiana prima di Katrina, per approndire, scovare memorie, raccogliere testimonianze tra musica e leggi antirazziali.

TRA CHAGALL E CHECHOV

Tornando alla censura della cultura russa, non riesco proprio ad immaginare la mia crescita orfana delle letture di Dostoevskij, delle sere a teatro con Cechov, del balletto musicato da Cajkovskij, delle composizioni musicali di Prokofiev, del cinema di Ėjzenštejn e Nikita Michalcov, del giornalismo di protesta di Anna Politkovskaja, dei sogni visionari di Gorbaciov tra le pagine della Perestrojka, dei voli pittorici di Chagall, del timbro lirico della Netrebko.
Alcuni dei nomi appena citati, che contribuirono anche ad ispirare il mio viaggio in Russia nel 2014, sono mescolati alla vita di tanti altri. Si tratta delle medesime persone che oggi dicono no al calpestio della cultura al di là degli Urali e, allo stesso tempo, partecipano alla protesta per fermare il seme della follia di un conflitto sanguinoso che ha cambiato già il corso della storia europea.

Mentre la Russia di Putin usa le forbici della censura per tagliare Facebook e Twitter, facendo della Duma il boia della libertà di informazione, io continuo a guardare, in compagnia di mia nipote, i simpatici personaggi dell’animazione russa Masha e Orso, a mangiare un buon piatto di insalata russa con il ronzio nella mente di una perla di saggezza di Tolstoj:

L’Arte deve sopprimere la violenza.

La Russia dei complotti di potere, da Anna Politkovskaja a Boris Nemtsov

Rosario PipoloIeri anche Milano, laggiù nel piccolo angolo dei giardini Politkovskaja, era unita spiritualmente alla Russia indignata per l’uccisione di Boris Nemtsov, vicepremier del governo di Eltsin e instancabile oppositore del governo di Vladimir Putin.
Le fiammelle, i fiori, i canti e i messaggi lasciati dall’Associazione AnnaViva ci hanno aiutati a non essere distratti, a non permettere al vortice della nostra banale routine di schiacciare la riflessione.

Sì, perchè dopo il misterioso assassinio della giornalista Anna Stepanovna Politkovskaja, penna scomoda al Cremlino, il complotto del potere si rianima in quello che in tanti proclamano un omicidio politico.

Nei giorni complicati della crisi ucraina, che ha riportato i venti della Guerra Fredda al centro dell’Europa, l’assassinio di Nemtsov ha convinto migliaia e migliaia di moscoviti ad uscire dal torpore, marciando a viso aperto e sbandierando voglia di libertà e verità, grande illusione al di là degli Urali.

Cosa ci fanno a pochi passi, in un cimitero alle porte di Mosca, Anna e Boris? A quest’ora dovrebbero essere ancora tra noi: la Politkovskaja armata di inchieste giornalistiche affilate alla ricerca della verità; Nemtsov portatore di entusiasmo civile e infaticabile spirito riformatore, cardini della sua politica il fronte di una vita spesa a favore della comunità.

Je suis Nemtsov è stato più di uno slogan per la marcia nel cuore di Mosca, perché quei passi lenti avevano lo stesso rumore delle rivolte del secolo scorso contro il regime zarista. Dallo scettro del sovrano al potere di un ex Kgb ne è passata di acqua sotto i ponti della storia sovietica.

Tuttavia, è arrivato il momento che i russi legalizzino la necessità di pretendere la verità, perché nessuno sia più complice di un destino infame. Gli errori e fallimenti politici non hanno più bisogno di claque. Oggi, dopo la martire Politkovskaja, Boris Nemtsov è un’altra scintilla immensa nell’oscurità che nessun complotto di potere spegnerà.  

Selfie da Mosca: Roman e i sogni di due generazioni lontane

Rosario PipoloUn autoscatto sul confine dell’anello di Mosca, lontano dal tam tam dei turisti e dei loro discorsi da “macchinetta del caffè”: ci siamo io e Roman, moscovita, classe 1987. Due generazioni diverse, lontane geograficamente e divise da quella cortina di ferro che andava ben oltre l’ideologia. Quando Roman piagnucolava nella culla, io ero trai banchi del liceo a chiedermi che cosa ne sarebbe stato di noi se fosse caduto il Muro di Berlino.

In quegli anni Mosca era così lontana per me da farmi credere che i monti Urali fossero le colonne d’Ercole del XX secolo. Roman era troppo piccolo per ricordare quel 25 dicembre del ’91: fu la fine della Perestrojka, il Cremlino perse l’inquilino sognatore e illuminato Michail Gorbacev e la Russia acclamò il populista Yeltsin.

Roman è un ragazzo sveglio, un gran lavoratore. Dopo aver viaggiato e vissuto anche nel Nord Europa, ha deciso di ritornare nella sua Mosca, perché ha voglia di vivere nel suo Paese. Dalla gestione di un lavaggio d’auto è passato a quella di un ostello, dove si sforza di far sentire tutti a proprio agio.
Impiega poco a capire che non ho niente a che fare con gli italiani in viaggio qui per allacciare relazioni sentimentali con le ragazze russe.: “Non ho mai visto un divoratore di città come te con questa voglia matta di mescolarsi alla comunità locale”.

Io e Roman ci ritroviamo in piena notte sotto le stelle dell’area periferica di Tishinsky. Io, stanco morto dopo le mie scorribande nella capitale russa, e lui, sul ciglio della porta con la birra, condividiamo ritagli di vita vissuta. Roman ride a crepapelle quando gli racconto che, nella mia Italia degli anni ’50, i preti diffondevano la notizia che “i comunisti in Russia mangiavamo i bambini”. Su un punto io e Roman concordiamo: i “luoghi” non li fanno “i governanti” ma le “persone” che ci vivono.

Roman rappresenta la nuova gioventù russa che ha voglia di rimboccarsi le maniche, di costruire un futuro diverso, duellando contro quella corruzione che insidia il sistema. Un giorno chissà i nostri figli si incontreranno sulla piazza Rossa a Mosca, culla di una memoria storica di cui non si può far finta di niente, senza sentirsi così distanti. Toccherà a loro liberarci dall’odioso pregiudizio che ha impedito alla mia generazione di far famiglia con quella dell’Est Europa? Il nostro selfie è di buon auspicio.

Diario da Mosca: il mio 41° compleanno alla Novaja Gazeta per Anna Politkovskaja

Insieme a Vitalij Jaroshevskij, vicedirettore di Novaja Gazeta, nell'ufficio di Anna Politkovskaja.

Rosario PipoloMosca è sveglia e il sole è spuntato da un pezzo. Butto l’occhio in un’edicola della stazione dei treni di Belorusskaja. Guardo la data dei quotidiani: è giovedì 17 luglio. Lo stesso giorno di quarantuno anni prima ero sbucato fuori dal pancione di mia madre. E’ il mio compleanno. Sono irragiungibile. Niente auguri, niente regali, niente candeline. Mi congedo giusto una doccia pr togliermi di dosso la stanchezza del viaggio e poi subito a vagabondare tra le strade della capitale russa.

Al numero 3 di Potapovskiy Pereulok c’è un volto scolpito accanto a una targa che mi indica l’arrivo a destinazione. E’ il viso sorridente di Anna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata nel 2006 che, attraverso le pagine del periodico della Novaja Gazeta, si fece notare per l’impegno civile, per le scomode inchieste sulla Cecenia, facendo tremare il Cremlino di Vladimir Putin. Ad accogliermi nella redazione del famoso giornale moscovita c’è Nadehzda. Lo sguardo si posa su ritagli di giornale, su i colleghi in riunione con la porta semiaperta, su una vecchia foto in bianco e nero che ritrae un’intervista a Michail Gorbačëv.

Nadehzda apre la porta di una stanza. Mi coglie di sorpresa. Mi trovo accanto alla scrivania di Anna. Tutto è rimasto come allora: gli attrezzi del mestiere, alcuni postit attaccati alla parete, il telefono in un angolo. Appoggio i gomiti su quella scrivania, resto in silenzio e mi tornano alla mente alcuni passaggi del bel libro Anna è viva di Andrea Riscassi, a cui l’Italia deve tanto: fondando l’Associazione AnnaViva, il giornalista milanese custodisce la memoria della Politkovskaja e ci mette in condizione di lasciarci a più riflessioni.

Poi arriva Vitalij Jaroshevskij, vicedirettore di Novaja Gazeta. C’eravamo conosciuti a Milano l’anno scorso in occasione dell’inaugurazione dei giardini dedicati da AnnaViva e Comune di Milano alla giornalista moscovita.  Mi abbraccia, mi fa gli auguri di compleanno e, regalandomi un libro che raccoglie tutti gli articoli di Anna, sottolinea: “Questa è una buona occasione per imparare il russo”. Io e Vitalij chiacchieriamo in privato per più di un’ora. Elena ci fa da interprete. Sembra un’intervista ma in realtà non lo è. Parliamo di Anna, del suo lavoro, delle sorti dell’editoria al di là degli Urali, ripercorriamo a stralci gli ultimi quarant’anni di storia di quella che oggi chiamano Federazione Russa.

Che strano modo di festeggiare un compleanno, da solo in una città che non mi appartiene. “L’unico dovere di un giornalista è scrivere quel che vede”, ribadiva Anna Politkovskaja. Quanti si sforzano di farlo davvero nel tempo in cui il giornalismo politico è colluso con il gossip? Camminando per le strade di Mosca, mi chiedo perché mai ci sottomettiamo al gioco crudele dei poteri forti, pronti a corromperci per tagliare il filo che ci lega agli eroi invisibili. Perciò ho scelto di dare un significato a questo mio 41° compleanno e condividerlo con il ricordo di Anna, nella stessa Mosca che dovrebbe calpestare l’omertà. Piantare un alberello dedicato alla Politkovskaja in ogni angolo della città mortificherebbe il mandante di questo pietoso delitto politico e culturale.

Per fare il futuro ci vuole impegno civile; per fare impegno civile ci vuole memoria, per fare memoria ci vuole il coraggio di uomini e donne come Anna Politkovskaja. Non ho più paura di questa fitta solitudine a Mosca, perché è una forma di strana libertà.

 

I giardini Politkovskaja a Milano: Da oggi Corso Como non è più l’oasi dell’happy hour stantio

Rosario PipoloOggi 12 giugno è tornata l’estate a Milano. Da stasera corso Como non sarà più l’oasi dei bagordi, della nightlife meneghina e della solita pappa degli happy hour. C’è un pezzo di verde che cambia la fisionomia della zona Garibaldi. Sono i giardini dedicati ad Anna Stepanovna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata il 7 ottobre del 2006. L’impegno dell’associazione AnnaViva e dei suoi militanti, capeggiati da Andrea Riscassi, ha fatto sì che Milano avesse una zolla di terra su cui riflettere.

Riflettere e onorare la memoria di uomini e donne che hanno difeso la libertà di pensiero pagandola a caro prezzo: perdere la vita. Gli articoli della Politkovskaja, pubblicati sulle pagine del quotidiano russo Novaja Gazeta, sono stati un atto d’amore verso il suo Paese, quella Russia tornata in ostaggio dello zarismo tra delitti, pene, misteri irrisolti. Come la questione in Cecenia, di cui si occupò proprio la giornalista ammazzata nello stesso giorno del compleanno del Presidente Putin.

Stringere la mano al figlio Ilya e alla sorella Elena ha rappresentato per chi fa il mio mestiere un grande significato. In un’Italia incappucciata dall’omertà e dalla volontà di dare spazio al giornalismo al femminile “da velina”, il ricordo di Anna Politkovskaja smaschera tali oscenità. Anna è stata una donna contro il regime, nella terra di frontiera del vecchio maschilismo alle falde del Cremlino che la liquidò in questa maniera: “Se l’è cercata. Non le sarebbe accaduto niente se avesse svolto le faccende domestiche come ogni donna”.

Da oggi Milano non sarà più la stessa. E non perché sotto i riflettori ci sono passerelle, paninari e yuppies nostalgici, aperitivi stantii o la frenesia da movida. Oltre i riflettori del divismo della metropoli, ci sono i giardini Politkovskaja che colorano di verde la memoria grigia di questa città, fatta di tante ingiustizie irrisolte come piazza Fontana.
Ogni sera che passerò alla stazione Garibaldi a rincorrere il treno per rincasare, mi fermerò in questi giardini. Da scalzo calpesterò l’erba e sentirò sotto i talloni dei piedi il peso della libertà.

Anna verrà perché la Politkoskjava è viva!

“Anna verrà col suo modo di guardarci dentro, dimmi quando questa guerra finirà, noi che abbiamo un mondo da cambiare”. L’inizio di questa canzone sembra scritto apposta per Anna Politkoskjava, la giornalista russa ammazzata a Mosca il 7 ottobre del 2006. Me lo ricordo quel giorno. Rincasavo con alcuni pasticcini perché festeggiavo assieme ad amici il mio onomastico. Fu un giorno amaro.
Nel videoclip del brano di Pino Daniele si intravede una sequenza del film Roma Città Aperta: se al volto di Anna Magnani sostituissimo quello della Politkoskjava, restituiremmo a quelli spari un alto valore simbolico.

Anna verrà, perché alcuni di noi se ne vanno in giro sottobraccio con il libro di Andrea Riscassi “Anna è Viva” per perdersi nei sentieri della giornalista russa ammazzata crudelmente. Basta la scrittura immediata e tagliente di Anna a raccontarci il regime russo, quello che schiacciò la rivoluzione della Perestroika di Gorbacev per fare spazio all’orrenda restaurazione. A qualsiasi prezzo, anche con il sangue, bisognava ricomporre le assuefazioni dello zarismo e mescolarle ai crimini e i misfatti degli ex KGB.

Anna verrà nei giorni in cui c’è un potente passaparola per dedicare alla Politkovskaja una strada in questa grigia Milano, che ogni tanto vive l’euforia del cambiamento per poi tornare nel torpore. Facciamo finta di niente, perchè tutti noi subiamo nel nostro piccolo lo squallore di una dittatura invisibile, che ricatta la nostra esistenza ai tempi di una crisi spaventosa. Si trova sempre l’escamotage per togliere agli indifesi e proteggere le lobby, dove si accampano i potenti malfattori.

Anna verrà, appena nei teatri e nei palcoscenici delle piazze troverà attori e attrici dallo spessore di Ottavia Piccolo, che una ventina d’anni fa mi raccontò in un camerino del Sud Italia: “Chi fa il mio mestiere deve assolvere anche un impegno civile”. Ottavia, nella sostanziosa prefazione al libro di Riscassi, ci mette una volta per tutte la pulce nell’orecchio e smaschera chi si era convinto che la Politkoskjava fosse “presa da una baldanza donchisciottesca”.

Anna verrà, nel giorno in cui penne dall’inchiostro rosso sangue, asservite ai ricatti del potere mediatico, torneranno a mettere nero su bianco come stanno veramente i fatti. E questo accade anche sotto l’ombrello di “quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia”, sussurrerebbe l’apostolo Gaber.
“Anna verrà col suo modo di sorridere per questa libertà, noi che abbiamo un mondo da cambiare, noi che guardiamo indietro cercando di non sbagliare”. Anna, ti sto aspettando. Anna, ti stiamo aspettando. Fai presto.

Anna Viva

Il blog di Andrea Riscassi

Anna verrà di Pino Daniele

Tallin, compagna taciturna dai piccoli particolari

tallin150Arrivando a Tallin, capitale dell’Estonia, mi ha colpito l’atteggiamento della maggior parte degli abitanti: cordiale nei confronti del turista, ma allo stesso tempo riservato e taciturno. In questa terra baltica ho avvertito in maniera prepotente la presenza sovietica. Del resto siamo ad una manciata di chilometri dal confine con la Russia. Ho dovuto calmare i miei bollenti spiriti che mi suggerivano di spingermi fino a San Pietroburgo. Chiacchierando con un passante nel centro storico, mi ha rassicurato che c’é qualche “capoccione” russo intenzionato a far abolire il visto. E sia benedetto, chiunque sia! In una mezza giornata vi girate tutto il centro storico, mettendo in conto il rischio di interrogarvi: “Che cosa ci sono venuto a fare?”. A noi italiani se non offrono su un vassoio d’argento un piatto di spaghetti e un bella opera d’arte, col cavolo che parliamo bene di quella città. L’italiano medio all’estero è critico e piagnucoloso, inclinazione che mi fa leggermente “incazzare”. Cosa c’è a Tallin per cui vale la pena ritornare? Minuscole suggestioni e piccoli particolari dello scorrere del tempo che ci sono sfuggiti di mano. Lì ho apprezzato la piacevole fatica di cogliere la legna per accendere il fuoco; il cammino lento come una tartaruga di una coppia anziana che si scambiava piccole effusioni; una zuppa ai funghi che mi ha riportato alla Masseria dei miei nonni paterni; un imbarazzante litigio tra due uccellini; un canto antico che veniva da lontano. Da Tallin mi riporto a casa un suggerimento: bisogna fermarsi piu’ spesso perchè la nostra vita nella centrifuga della metropoli ci fa perdere le radici del nostro destino. Predico bene e razzolo male. Sulla nave del ritorno, ero già a battibeccare col mio pc!