Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Selfie e privacy in spiaggia: il Garante ha visto mai gli italiani sotto l’ombrellone?

Rosario PipoloApprezziamo lo sforzo del Garante della Privacy per la pubblicazione delle “buone regole in spiaggia a difesa della nostra sfera privata“, ma con le pinne, fucile ed occhiali ci viene un dubbio: ci siamo mai guardati noi italiani sotto l’ombrellone? Con questa smania vanitosa dei social network sarà davvero dura metterci a regime in materia di discrezione o riservatezza.
Figuriamoci se rinunceremo mai al selfie di turno per far vedere a tutti la nostra meta vacanziera. Basta buttare gli occhi nei feed di Facebook per catturare il trash di questa  ingordigia nazional popolare, di cui le maggiori vittime sono i bambini. E se nel nostro selfie finirà il vicino d’ombrellone, per giunta “incazzoso”, il povero Garante si troverà sulla scrivania una pila di lettere di protesta.

Correremo volentieri il pericolo di trovarci  i ladri in casa, pur di non rinunciare al check-in che  compone la lista di ristoranti e locali “fighi” che frequentiamo. L’epidemia del food è così contagiosa che prima o poi dovrà toccare pure a noi finire su Real-Time? Questa è la massima aspirazione delle vecchie massaie del Belpaese in bianco e nero, oggi trasformate dalla globalizzazioni in nevrotiche donne bioniche.
Alcuni hanno la sveltezza di geocalizzarsi persino alla toilette o nella location creata ad hoc su facebook “A casa mia”. La sfiga ci mette del suo e, a furia di scroccare Wi-Fi da un lido ad un altro,  beccheremo pure il virus nello smartphone che ci farà sentire sconnessi dal mondo. Se non abbiamo fatto il backup dei dati prima di partire, possiamo dire addio ad una buona parte della nostra vita, destinata ormai a finire spiaccicata sull’isolotto dell’icloud.

Morale della favola sotto l’ombrellone: il Garante ci suggerisce di “gestire le nuove tecnlogie con cautela”, soprattutto di non essere sbadati a lasciare password e accessi a destra e sinistra. Ah, ecco dimenticavo. Mia moglie, incallita spendacciona in questi giorni di saldi, me lo aveva detto che in fondo il pin del mio bancomat è più al sicuro se lo impara a memoria lei. Perché memorizzarlo su uno smartphone?

Tempo scaduto e non perché sia finito il numero di battute a mia disposizione. Devo andare a fare il selfie di questa mia giornata vacanziera, altrimenti poi dicono che sono poco “social”. Lo dite voi al Garante?

 

 

 

La prima vibrazione del telefonino: Quando gli sms scandiscono il tempo dei sentimenti

Rosario PipoloQuando acquistai il primo telefonino nel gennaio del ’97, gli sms cominciavano l’ascesa per troneggiare la comunicazione in 160 caratteri durante l’exploit della rete GSM. Nel boom di WhatsApp e di app simili, il destino dei Short Message Service sembra avviarsi verso il viale del tramonto. Secondo dati recenti, nel 2012 il numero di messaggi inviati attraverso una chat è stato superiore a quelli tradizionali e, entro l’anno prossimo, il divario potrebbe essere di 50 contro 25 miliardi di invio.

Mentre in versione online questi fiumi di parole sguazzano chissà in quali server, i messaggini finiscono nella nostra sim o smartphone. Alcuni li cancelliamo, altri li teniamo in archivio, senza renderci conto che, ricucendoli, potrebbero scrivere un diario di bordo. Qualche volta sono sgrammaticati, spesso sono frettolosi, il più delle volte così incisivi da scatenare fraintendimenti, soprattuto se ne riceviamo uno non destinato a noi.
Sì è vero gli sms non hanno il calore, sono così freddi che sembrano arrivati dallo spazio, ma sequestrano un lato di un’umanità quando, sbirciando data e orario, li associamo all’evento a cui appartengono.

Accade soprattutto per i sentimenti e riguarda ogni fascia di età.  Non abbiamo scuse. Tutti almeno una volta  nella vita telefonica abbiamo digitato “TVB” o “Mi manki”. Finiamola di dire che gli affari di cuore via SMS sono robetta da adolescenti o studentelli dal cuore traballante.  Gli sms hanno scandito il tempo della nostra vita sentimentale, accompagnando il corso della giornata, nella naturale trasformazione da appuntamento “inaspettato” nella fase di corteggiamento a quello “fisso” della quotidianità, dal buongiorno alla buonanotte.

Abbiamo impiegato anni per capire che la vibrazione di un sms della nostra lei o lui coincideva con quella del battito del cuore. L’iPhone e l’ultima generezione di smartphone hanno sbiadito questo pizzo di romanticheria, uniformando i vecchi sms allo stile di quelli online, dove a farla da padrone sono i touchscreen e il tempo istantaneo della chat di Facebook. I messaggini a cui faccio riferimento sono quelli digitati con la tastiera, generati da uno schermo grezzo di un telefonino, in cui la classidra del tempo batte l’invio della bustina.
Custodire gli sms in una vecchia sim significa ripetere il gesto dei nostri nonni, che tenevano nel primo cassetto del comò le loro lettere d’amore. Tutte le coppie che si separano dovrebbero rimetterli assieme perchè, persino sul filo di 160 caratteri, può restare sospesa la più bella storia d’amore. Imperdibile resta l’sms del primo apputamento: “Dove sei, non ti vedo?”. E lei: “Girati, sono accanto a te. Non mi sono mai mossa”.

iPhone low cost: Se la Apple conquista il ceto medio-basso

Rosario PipoloIl profeta Steve Jobs se n’è andato all’altro mondo e gli apostoli infedeli hanno deciso di fare a meno della sua spiritualità visionaria e raffinata. Siamo in tempo di crisi, anche per la “Mela” di Cupertino. Con la scusa di aggredire il mercato indiano e cinese, la Apple abbandona il pubblico di sempre, quello smanettone ed elitario, possibilmente chic, tecnologicamente inserito, fanatico all’occorrenza e qualche volta con la puzza sotto il naso, per non dire sotto il touchscreen! Strizza l’occhio al ceto medio-basso e chissà che non vedremo persino in Italia un metalmeccanico cassintegrato o un pensionato andare a zonzo con il primo iPhone low cost.

L’iPhone 5 è stata “una mezza sola”, come direbbe un venditore ambulante romano, e in più il suo prezzo si è rivelato un insulto, se pensiamo a quanto prende mediamente un operatore call-center in Italia. Il luminare Jobs si starà rivoltando nella tomba, ma la Apple ormai è sulla via del lowcost: i rumors del 2012 sono confermati e possiamo cominciare il conto alla rovescia per l’iPhone a basso costo, il melafonino semi-plastificato per la tasca nazional popolare, che dovrebbe oscillare tra i 200 e i 300 dollari.

Direi che possiamo dargli anche il nomignolo di iPhone giocattolo. Finirà prevalentemente nelle mani degli stessi cinesi, che avevano intrapreso indirettamente la crociata contro Apple con i cloni del phone più ambito del pianeta. E chissà che la stessa sorte non tocchi prima o poi anche ai MAC, sui quali sventola la bandiera bianca di un’antica leggenda: pur di non dar via a prezzi stracciati i modelli andati fuori produzione, la Apple li seppelliva in chissà quale angolo sperduto del pianeta.
La mela “morsicata” non è più l’oscuro oggetto del desiderio in tempo di crisi. Se la Apple di Tim Cook conquisterà il ceto medio-basso, riuscirà a compensare la perdita di Jobs? I profitti non sono tutto, almeno non sempre. E questo il predecessore di Cook lo teneva a mente.

Tutto pronto per l’iPhone low cost

Per il CES di Las Vegas un 2013 tra smartphone e tablet. E l’anima?

Rosario PipoloIn questi giorni al CES di Las Vegas “i Maya della tecnologia” stanno mettendo nero su bianco la profezia per questo 2013: Smartphone e tablet affolleranno le nostre vite e i netbook, sostituiti dai phablet (phone+tablet), ci sembreranno diavolerie preistoriche. Ovunque mi giri vedo adulti, adolescenti e, spesso anche bambini, con gli occhi abbassati. Non ti degnano più di uno sguardo curioso perché sono rapiti in preda al panico da touchscreen. Durante le ultime vacanze natalizie mi è capitato di assistere a episodi imbarazzanti: una chiacchierata in cui ogni membro in quella stanza aveva l’occhio rivolto al pc, telefono o tablet. Da una parte le illuminazioni stradali ridotte ai minimi storici dalla spending review, dall’altra le palline verdi della chat di Facebook in aumento come su un albero di Natale gigante.

Mentre gli indigeni digitali come me si crogiolano con il giustificativo alla mano – chi lavora nel digital deve essere un “animale social ad ogni costo”? – gli altri sono imprigionati dalla nuova tendenza che “la socializzazione” debba scendere allo sporco compromesso con il virtuale. Non siamo contenti del posto in cui ci troviamo e cerchiamo la fuga. Nei buoni propositi dell’anno nuovo mettiamo a capo lista l’impegno di ridurre il tempo da dedicare al totem touchscreen. Lo ripetiamo in mille salse, ma poi facciamo un buco nell’acqua. In fin dei conti “la piazza digitale” ci ha consegnato il superpotere più illusorio dell’epoca social: lo “sharing” del nostro piccolo mondo come pozione magica per essere ciò che nella realtà non riusciamo ad essere.

Lo storytelling nel più grande reality che sia mai stato visto sarà ancora la strada maestra che ci ostineremo a percorrere nel 2013? I guru del CES ci vedono come esseri bionici dall’anima “phablettizzata”; gli strizzacervelli ci mettono in guardia perché questa dipendenza ci condannerà a svuotare la nostra personalità per far spazio ad ansia e frenesia. E noi come ci vediamo? Il primo passo del cambiamento sarebbe schiacciare il bottone della nostra interiorità. Spegnere l’interruttore di uno smartphone non significa morire, ma riprenderci il vero superpotere che ci è stato donato dalla vita: accettare noi stessi con difetti e virtù, recuperando la bellezza di un legame vero – sentimentale, amichevole, familiare – e lottare perché resti testimone nella realtà del significato delle nostre esistenze*.

  In vetrina al CES la tecnologia del futuro


*Con questo post il 10 gennaio 2013 Autore del Giorno su Paperblog Italia!