Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

8 marzo senza mimose: alla (mia) donna i versi di “Te recuerdo Amanda” di Victor Jara

8-marzo-festa-donne

rosario_pipolo_blog_2Quintali di mimose che profumano l’8 marzo e sotterrano il tanfo della memoria. Ripenso al mio ultimo viaggio a Santiago del Cile e alla violenza sulle donne negli anni bui della dittatura di Augusto Pinochet. Ritrovo i versi della poesia musicata Te recuerdo Amanda di Victor Jara, cantautore cileno ammazzato pochi giorni dopo la caduta di Salvador Allende.

Te recuerdo Amanda
la calle mojada
corriendo a la fábrica
donde trabajaba Manuel.

Di buon mattino, in Italia, lei sulla strada verso il lavoro intravede diversi ambulanti che dispensano mazzetti di mimose. Sul posto di lavoro le regalano un bel bouquet di fiori, ma del mio neanche l’ombra. Non se lo aspetta dopo tutto questo tempo. Nel frattempo, io sono in viaggio appuntando la traduzione della canzone di Victor.

Ti ricordo, Amanda,
nella strada bagnata
mentre correvi alla fabbrica
dove lavorava Manuel.
Col tuo largo sorriso,
la pioggia nei capelli
non t’importava niente
correvi a trovarti con lui,
con lui, con lui.

Inciampando in questi versi ripenso alle ragazze cilene che non fecero più ritorno dai loro cari.
Intanto, lei torna a casa, mette il bouquet in un vaso e lo depone in soggiorno, a centro tavola. Si accosta alla finestra e di sbieco vede un uomo che regala un pacco di cioccolatini alla sua donna. Sbuffa. Poi si prepara per la serata insieme alle amiche.

Sono cinque minuti,
la vita è eterna
in cinque minuti.

Termino la traduzione. L’aereo è arrivato in ritardo. In auto sono invaso da migliaia di batuffoli di mimose che hanno riempito le botole storiche lasciate alle spalle, convinti che l’8 marzo sia il risciacquo delle nostre coscienze.
Lei, dopo la serata con le amiche, bivacca sul lettone. Un’ultima occhiata al PC. Scioglie i  capelli e lancia il fermaglio sulla cassettiera. Spegne la luce e sprofonda con la guancia sinistra sul cuscino.

Suona la sirena,
di nuovo al lavoro,
e tu, camminando,
illumini tutto.
Quei cinque minuti
ti hanno fatto fiorire.

Pochi minuti prima della mezzanotte, arrivo fuori casa sua. Citofono, non sente. Ci riprovo, niente. Mi sposto oltre il cancello e provo a ripetere sottovoce queste parole:

Correvi a trovarti con lui,
che partì per la sierra,
che mai fece male a nessuno,
che partì per la sierra
e in cinque minuti
fu trucidato.

Mi riconosce. Viene ad aprire in camicia da notte. I soliti capelli scompigliati. Sembra infastidita vista l’ora tarda e senza preavviso. La prendo per mano e ci incamminiamo nella sua stradina. Non è scorbutica come mi sarei aspettato. Dimentica persino di avere le ciabatte ai piedi. Le anticipo che non ho mimose con me, ma soltanto dei versi tradotti per lei. Che sbadato ho perso il foglietto, niente più traduzione, tanta fatica per nulla durante il viaggio.

Te recuerdo Amanda
la calle mojada
corriendo a la fábrica
donde trabajaba Manuel.

Canticchio questi versi, gli unici che ronzano nella mia mente. Nelle pozzanghere a terra galleggiano mimose sprecate e appassite tra i soliti luoghi comuni della ricorrenza.
Il rumore dei nostri passi ci fa ritrovare, come se fossimo a Santiago del Cile, io stremato da un viaggio intercontinentale, lei in tenuta da nottambuli, con una comune convinzione: nessuna dittatura potrà mai cancellare gli orrori della violenza sulle donne, lasciando che il tempo sorvoli sui dettagli di quello che oggi trasuda di maschilismo, annidatosi sotto false spoglie nel quotidiano.

#NessunotocchiMilano, dalle griffe ai graffi del No Expo

Rosario PipoloI pregiudizi ci hanno abituati a guardare Milano tatuata di griffe, perdendo di vista la società civile che disegna l’anatomia di qualsiasi metropoli che si rispetti. I graffi del No Expo, lasciati dall’azione vandalica dei Black Bloc in piazzale Cadorna di qualche giorno fa, hanno fatto risvegliare il senso di comunità che non dovrebbe mai spegnersi in ciascun cittadino.

I singoli quartieri, spesso vittime dell’isolamento spacciato dallo stress metropolitano, hanno reagito scendendo in strada a ripulire la città, trasformando così l’hashtag #NessunotocchiMilano in uno slogan di civiltà e socialità.

Sui social network è stato commesso un errore. Anzichè dare visibilità con una cascata di sfottò al “bamboccione incappucciato”, oroglioso dell’ignobile gesto, o alla “goffa ochetta” che si è fatta fotografare accanto all’auto bruciata, avremmo dovuto condividere le foto dei ventimila milanesi che in maniera volontaria si sono ritrovati per ripulire la città devastata.

Giorgio Gaber cantava: “Un uomo solo che grida il suo no, è un pazzo. Milioni di uomini che gridano lo stesso no, avrebbero la possibilità di cambiare veramente il mondo”. Aggiungerei: ventimila persone che gridano “lo stesso no” abbattono gli avversi clichè e luoghi comuni che sfigurano l’anima di Milano.

La Milano popolata dalla gente ha sbandierato, in un gesto concreto, la perla di saggezza di Isaac Asimov: la violenza‬ è davvero l’ultimo rifugio degli incapaci.

La coppa della vergogna di Fiorentina-Napoli: “un vincitore vale quanto un vinto”

Bastardi Dentro.it

Rosario PipoloSe un trofeo deve finire sotto il letame per la violenza che ha incorniciato la finale di Coppia Italia Fiorentina-Napoli dello scorso 3 maggio, allora tenetevelo pure. All’occorrenza i social network sanno come piegarsi per essere amplificatori di vergognose giustificazioni, perché il motto è il solito, anche se ci scappa il morto: The show must go on.  Godiamoci lo spettacolo, pappiamoci la coppa, calcoliamo gli incassi, il dopo si vedrà.

Facciamo una premessa una volta e per sempre: il gemellaggio violenza e stadio non riguarda la tifoseria napoletana. E’ un problema di tutta l’Italia. Se il J’accuse si fermasse all’ombra del Vusuvio, peccheremmo di miopia, alla maniera becera dell’anglosassone The Guardian, che ha liquidato sulle sue pagine “Napoli come roccaforte della Mafia”.

Mentre la rabbia ci fa rimpiangere le misure che replicherebbero le ombre del thatcherismo contro gli hooligans in Gran Bretagna, il pressapochismo all’italiana ci fa ripetere a denti stretti: “Tiriamo a campare” . E dovrebbe saperlo anche il nostro Premier Renzi, che era sugli spalti dell’Olimpico a Roma a supporto della sua Fiorentina. Se le rispettive tifoserie non hanno avuto la dignità di far sospendere la partita, lo avrebbero dovuto fare le società calcistiche. Non è successo niente di tutto questo e siamo punto e a capo. Il solito copione, le solite frasi fatte, i noiosi slogan in vista della prossime elezioni e l’indifferenza dei “tifosi onesti” a cui interessava ammortizzare con lo show il costo del biglietto.

E se chi ci governa non è in grado di dare una bella lezione ai delinquenti del calcio italiano, intervenga la Comunità Europea. Questa volta però non ci accontentiamo di una multa salata e neanche della “daspo a vita” annunciata dal Ministro Alfano. Vogliamo la resa dei conti e qualcuno che ci aiuti a capire perché “i controlli prima di accedere allo stadio” non sono uguali per tutti: le bombe di carta sono alla portata dei soliti all’occorrenza.

La trattativa con gli ultras va verificata ma sia immediata la rimozione dei vertici del calcio italiano che strizzano l’occhio a questo scempio. Rubo dai versi di una canzone di Dalla: “un vincitore vale quanto un vinto” dopo questa “coppa delle vergogna”. Restituire il trofeo non sarebbe una vigliaccata così come disertare spalti e tribune per ammaccare il controverso business delle carogne e l’oltraggio alla memoria dei Raciti di turno.

Stop alla violenza: “donna come l’acqua di mare, c’è chi invece la prende a botte!”

Tina Turner

Rosario Pipolo“Donna come l’acqua di mare, chi si bagna vuole anche il sole, chi la vuole per una notte, c’è chi invece la prende a botte”, cantava Mia Martini. Oggi 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, ci ricordiamo che una donna può finire al macello, con o senza il benestare del maschilismo vigliacco. Ci sono modi e modi per ferire e spesso gli schiaffi vanno oltre le ferite fisiche.

In Italia le riflessioni hanno bisogno delle ricorrenze per far rumore. Stamattina, prima di uscire a lavoro, sono sbucate dal mio archivio delle fotografie che mi hanno riportato a due incontri significativi degli anni ’90: Tina Turner e Franca Rame. Tina glissò in conferenza stampa, ma il film autobiografico What’s Love Got to Do with It accennava alla figura del marito “cattivo” Ike. Franca invece avrebbe condiviso il dolore della deplorevole violenza nell’intenso monologo Lo stupro.

A distanza di tempo ho ancora impresso lo sguardo di quei due temperamenti diversi, due donne così distanti che si saranno incrociate nel grembo della sofferenza. Quanto facciamo in Italia per la prevenzione? La scuola investe poche risorse per affrontare questo argomento a più livelli, senza un fattivo contributo per eliminare l’ignoranza in cui sono affogate le generazioni precedenti: le stesse che misero “il burka sociale e culturale” alle donne, che dovevano subìre senza fiatare. Ne ho sentite di storie, appartenenti alla generazione dei miei nonni, che con il passare del tempo hanno preso la piega dell’indifferenza infame.

“Donna come l’acqua di mare, c’è chi invece la prende a botte”. Qualcuno lo sta facendo in quest’istante, mentre sopravviviamo nella ricorrenza. Il 25 novembre non scade a mezzanotte.

Io, “indignato”: a Roma bruciano i sogni tra violenza e orrore

Ci vuole poco per bruciare un sogno. Basta un guerriglia come quella di sabato 15 ottobre a Roma per seppellire sotto terra il sacrosanto diritto di manifestare con aria pacifica. Non c’è pensiero, non ci sono ideologie, non ci sono sogni nell’anima degli “Indignati arrabbiati” che hanno devastato il cuore della capitale. Il movimento di radice ispanica, che sta remando ovunque contro le ingiustizie e gli orrori della globalizzazione, rischia di scomparire in una bolla d’aria per colpa di una minoranza criminale e violenta, che va condannata senza mezzi termini.

Sì, è vero. Occorre impugnare il megafono per farsi sentire, soprattutto in un paese come il nostro dove governo e istituzioni non tutelano più le fasce deboli ed indifese, ma senza finire nella scialba trappola dell’aggressività e della violenza. Quando si ripetono questi orribili episodi, l’Italietta provinciale si risveglia dal torpore e riesuma i fantasmi vaganti degli Anni di Piombo e delle Brigate Rosse.
Allora sotto il passamontagna della strategia della tensione c’era una progettualità ideologica che aveva coinvolto anche gli intellettuali. Oggi dietro questa ciurma di teppistelli c’è soltanto polvere, nient’altro. La maggior parte di loro conosce la storia per sentito dire, non sa neanche la differenza tra marxismo e il liberalismo, non si è mai messa alla ricerca dell’autorevolezza che ci riporta alla memoria dei De Gasperi, dei Nenni, dei Berlinguer o dei Togliatti.

Oggi c’è terreno fertile per i social network, per farci assalire dal solito sobbalzo emotivo che in molti casi ci trasforma in capre mediatiche. Ognuno dica la sua, retweetti o incolli sulla bacheca di Facebook ciò che ritiene più opportuno, ma senza appoggiare tacitamente l’imbecillità che trasforma un guerriero in un eroe. Sarebbe imperdonabile, anche nel rispetto di chi si è ritrovato l’auto o il negozio distrutto.
A subire il danno non sono stati i mostri in doppio petto blu che svolazzano nei cieli con il proprio jet privato, ma la gente comune. La stessa gente che nel corteo pacifista degli Indignati ci ricordava che i sogni sono come l’acqua santa.

 Black bloc in azione, 5 ore di guerriglia

Rome counts cost of violence

Occupy Rome turns violent

Inter-Napoli, a San Siro con Napoli Fans Club London

Pensavo che la Befana mi avesse lasciato a mani vuote, senza neanche una briciola di carbone. Invece mi sbagliavo. Quella vecchia signora mi ha riportato allo stadio dopo vent’anni in una serata surreale: a San Siro ospite dell’Inter, ma con il cuore pulsante per il Napoli in corsa alle vette della classifica. Con me c’era Marco La Nave, un trentenne tifoso napoletano che è cresciuto sugli spalti dello Stadio S. Paolo di Napoli. Da diversi anni Marco vive a Londra ed ha fondato il Napoli Fans Club London, che raccoglie centinaia e centinaia di tifosi partenopei in Gran Bretagna e sulla Facebook Fan Page conta già più di un migliaio di sostenitori: “Ci raduniamo nei bar londinesi e ci godiamo le partite della nostra squadra del cuore. Di tanto in tanto organizziamo anche trasferte in autobus perché il tifo è una passione e non ha niente a che vedere con la violenza circolante negli stadi”.
Ieri sera a Milano per l’atteso incontro Inter-Napoli era tutto sotto controllo, anche se un ragazzo ha subìto una coltellata. Cose che capitano? No, non devono accadere, anche se ci premuniamo della “tessera del tifoso”. Io ero assieme agli interisti in tribuna a commentare la partita. Questa è vera sportività perché un pallone non può essere motivo di una guerriglia fratricida. Ho visto un ragazzo con una sciarpa del Napoli accerchiato da un gruppo di teppistelli, già pronti all’attacco. E’ intervenuta la polizia, tutto è finito lì. Quei quattro mocciosi si sono allontanati, ma ritorneranno in veste di aggressori perché non hanno capito la spiritualità che anima il calcio.
Forse l’ha capita Aniello, un meridionale adottato cinquanta anni fa da Milano, che di professione realizza merchindising per l’Inter. “C’è crisi – mi racconta alla fine della partita – ma i miei gadget li faccio con passione perchè in una sciarpa o nella riproduzione di una coppa trasmetto la voglia di stare assieme. E in giro non vedo più”.
La Befana se n’è andata e, come ogni anno, si è portata via tutte le festività natalizie. Ci lascia per fortuna la convinzione che una partita di pallone sia un bel modo di ritrovarsi, come fanno Marco e tutti i sostenitori del Napoli Fans Club London, anche quando lontano dalla tua terra natia gli altri cercano di convincerti che resterai per sempre “un miserabile emigrante”.