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Addio a Mino Reitano, voce degli emigranti

mino-reitano150Quando ho saputo della morte di Mino Reitano, mi sono venute in mente alcune sequenze del film di Visconti “Rocco e i suoi fratelli” dove una famiglia calabrese emigra dal Sud al Nord Italia. Mino Reitano era un emigrante e quel suo atteggiamento un po’ saccente era tipico del calabrese purosangue. Nonostante le decine e decine di sfottò di cui è stato vittima, Reitano ha avuto il pregio di restare in disparte dallo star-system musicale italiano. E’ rimasto il semplice “Ragazzo di provincia” che ha inseguito per tutta la vita una passione, riuscire a fare il musicista di professione nel Belpaese canterino. “Avevo un cuore (che ti amava tanto)” resta il suo cavallo di battaglia ed è una canzone conosciuta con la complicità di mia madre. Mino Reitano era uno senza troppe pretese, il suo canzoniere è composto di piccole melodie, niente di più. Al di là della critica che gli si è scagliata contro – Benimamino parlava senza peli sulla lingua – è forse l’ultimo erede della nostra canzone nazional-popolare, giocata sull’emotività e sui veri consensi della gente. Una volta mi hanno detto che Mino Reitano ha aperto un concerto dei Beatles ad Amburgo (allora i Four Fab si chiamavano ancora Querrymen). Credevo fosse la barzelletta del giorno. Mi sono dovuto ricredere perché è stato lui stesso a raccontarlo. Mi mancherai, caro Mino Reitano, e oggi l’Italia ritrova un pizzico di ottimismo nelle parole di una tua canzone: “Quest’Italia che respira, sempre bella e c’è un perché . Questa gente le vuol bene, questa gente è come me”.

Al supermercato, una cassiera tutta per me!

cassiera150Da bambino non ero affatto servizievole a casa, ma fare la spesa era il mio forte. Ho fatto la prima spesa a mia madre all’età di cinque anni. La salumeria era sotto casa e la signora Buzzo, titolare del piccolo alimentari, erà lì pronta ad aspettarmi. Le consegnavo la lista, le davo 5.000 delle vecchie lire (nel ’78 mi avanzava pure la mancia per il salvadanaio) e me ne tornavo. Poi è arrivata l’era dei supermercati più grandi e le cassiere mi sono diventate subito simpatiche. Alcune mi stritolavano le guanciotte, ma in compenso me ne andavo con una manciata di caramelle. Negli anni degli ipermercati e dei centri commerciali, nonostante la frenesia, resta ancora il tempo per scambiare qualche battuta con la cassiera di turno. Quanto tempo durerà ancora? In diverse catene alimentari ci sono queste maledette casse automatiche. Tutto è computerizzato e se va qualcosa storto arriva un addetto per aiutarti. E il fascino della cassiera? Per favore, voglio fare la fila con un sacrosanto diritto da consumatore: una cassiera tutta per me!

C’era una volta Alitalia, Cai e Malpensa…

alitalia150Il battesimo della Cai, la nuova compagnia aerea nata dalla fusione di Alitalia e Air France, non è stato un felicissimo giorno. Le naturali proteste hanno preso il sopravvento, nonostante pare che si possa tirare un sospiro di sollievo per l’aeroporto milanese di Malpensa. L’odissea legata ad una compagnia “sprecona” come Alitalia è gravata moltissimo sulle tasche degli italiani. Ce ne siamo accorti, sì o no? Adesso abbiamo in ballo pure la preoccupazione sul destino dell’aeroporto internazionale milanese. Solo in Italia accadono certe barzellette. Malpensa aeroporto ha compiuto dieci anni l’anno scorso ed è già finito nella bufera, senza contare il budget di milioni di euro investiti. L’Alitalia lo ha utilizzato come hub fino a marzo del 2008 e adesso con i cambi di gestione restano aperti alcuni punti interrogativi. Fa bene donna Letizia Moratti ad essere “incacchiata” nera, ed in vista dell’Expo poi. Nonostante le rassicurazioni governative, il timore c’è sempre in un Paese barzellettiere come la nostra penisola. Al di là delle previsioni, ci auguriamo che la nuova Cai agevoli i passeggeri con un rapporto qualità-prezzo diverso dalla sua antenata. Ahimè, se il futuro è grigio date pure in pasto l’aeroporto di Malpensa alle compagnie low-cost! Se Ryanair continua a darci ancora l’impressione della corriera da gita scolastica, compagnie come Easyjet possono contribuire a migliorare i nostri viaggi tra le nuvole, con poca spesa, una buona qualità del servizio e un record di passeggeri nei mesi della recessione!

Gelmini, via i baroni dall’Università!

universita150Il decreto Gelmini è passato alla Camera e non c’è via di scampo neanche più per l’Università. La legge è legge e va si rispettata… Sbirciando il nuovo decreto sull’Università ci sono tutte le buone intenzioni per dare una svolta nel nostro Paese. Tuttavia, non per mettere le mani avanti, bisognerà vedere se i buoni propositi saranno mantenuti. Cosa non facile nel Belpaese pantofolaio che non ne vuole proprio sapere di bandire “i privilegi e le caste” ed allinearsi alla nuova Europa. E’ questa la volta buona per mandare a quel paese i baroni dell’Università? E sia la volta giusta per tornare a ragionare in termini di meritocrazia, per bloccare dottorandi e ricercatori super raccomandati, “leccaculo” o protetti dalla casta, avvolti dai manti ideologici fittizi. Peggio ancora “i figli dei Professoroni” che non hanno mai smesso di campar di rendita. Ho dedicato tre anni della mia vita alla ricerca universitaria ed è stata una palestra perché ho avuto la fortuna di incrociare colleghi e docenti professionisti. Sono andato via perchè certi atteggiamenti non mi andavano giù. Ogni volta che ritorno, constato con amarezza che non è cambiato niente. E sia la volta buona per il rilancio dell’università pubblica, quella che dovrebbe tutelare ogni piano sociale. E sia la volta buona per dirottare il sostegno economico agli atenei più meritevoli. Mi sono laureato con orgoglio alla Federico II di Napoli ed ho difeso con gli artigli la mia università dalle altre minori della zona. Non ne possiamo più di questi piccoli atenei di provincia, dove la laurea arriva con programmi dimezzati, fatti su misura per un branco di “ciucci” che ha contribuito alla svalutatione del titolo di studio.  Questo è un problema che non riguarda Napoli e dintorni, ma tutta l’Italia. L’uragano Gelmini spalerà davvero tutto questo letame?

E fuori nevica…

nevicata_150Il mio compaesano Vincenzo Salemme aveva scritto una commedia dal titolo “E Fuori nevica”. E fuori nevica davvero, perlomeno nel Nord Italia. Dalle mie parti non siamo abituati a queste nevicate: alle scuole medie io e i miei compagni abbiamo rischiato un’espulsione di massa per aver bloccato una noiosa lezione di matematica. Come si fa a frenare lo stupore per i primi fiocchi di neve? La neve porta i suoi disagi, ma ha anche il suo fascino. Stamattina ho attraversato in treno una striscia di Lombardia e mi sono incantato dinanzi a questo manto bianco. Ho rovistato nella mente per trovare un passo letterario a cui accostare questo incantesimo. In aiuto è arrivato un ricordo del mio album familiare. Ad Acerra, un paese della provincia di Napoli, nel 1949 un bambino vide la neve per la prima volta. Il piccolo Antonio era in aperta campagna e rimase a bocca aperta. Voleva condividere questa gioia con i fratelli e così decise di nascondere un mucchietto di fiocchi sotto terra. Quando ritornò poco dopo, non era rimasto più niente. E’ stato così ingenuo e poetico l’incontro di mio padre con la neve. La neve è neve, dovunque sia, al Sud come al Nord, dentro e fuori di noi, soffice persino nella tenerezza dei ricordi!

Valentina Giovagnini, l’ultimo passo silenzioso della neve

valentina_giovagnini150Me la ricordo sul palco dell’Ariston di Sanremo. Me la ricordo scalza come Sandy Shaw e mi sono innamorato in un batter d’occhio della sua voce.  Nel 2002 il secondo posto di Valentina Giovagnini al Festival di  Sanremo ha significato molto. Per una volta un pezzo intenso come “Il passo silenzioso della neve” aveva osato sbaragliare la canzonetta melodica in stile Tatangelo, tanto gradita al Belpaese popolare. La cantante toscana aveva tutte le porte per diventare un fenomeno. Il mercato discografico non sempre va come vorremmo e così adesso è bastata la notizia della sua prematura scomparsa a restituirle un attimo di notorietà. Squallido gioco della fatalità come è accaduto a Rino Gaetano. E’ stato un incidente stradale a far smettere di cantare l’ugola aretina. Mi sarebbe piaciuto incontrarla, passeggiare con lei tra le colline toscane e farmi raccontare cosa si prova a propogare le sonorità celtiche tra un pubblico abituato ad altra musica. Avrebbe compiuto 29 anni il prossimo aprile. La discografia italiana, troppo distratta di questi tempi, perde un cavallo di razza. Al di là della centrifuga mediatica che lascia il tempo che trova, è soltanto porgendo l’orecchio che ci rimettiamo sulle orme del passo silenzioso della neve!

Harold Pinter, quell’incontro mi cambiò la vita

harold-pinter150Alcuni giorni fa è scomparso il Nobel Harold Pinter (1930-2008), astro della drammaturgia britannica del ‘900. In un piccolo teatro di provincia sono stato spettatore di un suo testo, Tradimenti, e me ne sono innamorato. Per Pinter ho fatto follie. Nel 1996 sono andato dal compianto Prof. Franco Carmelo Greco a chiedergli una tesi sul suo teatro. Avevano scritto fiumi di parole. Ho svoltato in direzione cinema, focalizzando sul rapporto tra le sceneggiature pinteriane e il cinema di Joseph Losey. Per Pinter ho rischiato. Nessun professore della Federico II voleva firmarmi una tesi che avevo progettato a mio modo per filo e per segno. Nel luglio 1997 sono partito su un autobus Roma-Londra per andare a raccogliere materiale. Per Pinter ho sfiorato una tirata d’orecchi da parte della polizia londinese. Mi sono messo con le braccia incrociate sotto casa sua per intervistarlo e la povera governante di casa Pinter era lì a ripetermi: “Lo vuole capire che il signore non c’è?”. Io ero lì ad osservare lo studio dalle vetrate, immaginando quell’incontro che sarebbe avvenuto quattro anni dopo. Mi sono laureato con quella tesi, alle mie condizioni, e nel 1999 la Facoltà di Sociologia ne autorizzava la pubblicazione. Per Harold Pinter sono stato davvero cocciuto: avevo in mano il mio primo libro “Harold Pinter sceneggiatore per il cinema di Losey tra letteratura, cinema e multimedialità” e nel 2001 sono stato invitato a relazione ad un convegno a lui dedicato. Quando gli ho consegnato il mio saggio, gli ho sussurrato: “Il suo teatro, la sua scrittura, la sua coerenza politica hanno aperto nuovi varchi nella mia coscienza con prospettive simultanee, innescando nella mia formazione un misto tra ragione e sentimento”. Mi mancherà Harold Pinter così come a tutti coloro che gli hanno dedicato anni di studio. Le passioni non vanno mai barattate con niente, qualsiasi sia il prezzo da pagare. Quei testi sono un grande tesoro, per noi e per le prossime generazioni, a cui potremmo raccontare che ci sono stati uomini capaci di dare un significato profondo alla cavalcata misteriosa della vita.

Presepe, napoletanamente souvenir

MICHELA BRAMBILLA, SILVIO BERLUSCONIAl di là della storia ufficiale del Presepe, diciamo pure che la rappresentazione della Natività per un napoletano è qualcosa di speciale. Senza essere troppo bigotti o moralisti, ognuno sul presepe ci mette chi ci vuole, arrivando persino ad affiancare Pulcinella ai Re Magi. E’ così perché la magia del Natale partenopeo è la convivenza tra sacro e profano. Per me l’allestimento del presepe è stato sempre un atto magico ed emozionante. Nonno Pasquale mi ha insegnato a posizionare i pastori e mi spiegava il ruolo di ognuno. Lui aveva una passione per Gaspare, Zuzzurro e Baldassare e per Benito, il pastore dormiglione. Mi ripeteva: “Non fare come Benito, perché chi dorme non piglia pesci”. Tornando tra i vicoli di San Gregorio Armeno a Napoli ho ritrovato i miei presepi preferiti, anche se non mi entusiasma troppo il folk che fa a cazzotti con la religiosità. Per una statuetta di Barack Obama, divo del presepe 2008, mi hanno chiesto quasi 400 euro. E se Eduardo De Filippo ritornasse con l’assillo “Te piace ‘o presepio?”, cosa risponderei? Mettendo le mani in saccoccia, mi convincerei che anche l’artigianato locale è diventato un bene di lusso.

Treni AltaVelocità, che figuraccia!

FRECCIA ROSSAE’ una vita che facciamo questo benedetto conto alla rovescia per i treni ad alta velocità. Tanta attesa per niente. L’amministratore delegato delle FS Mauro Moretti avrebbe fatto di tutto per convincere gli italiani che adesso è più conveniente viaggiare in treno che in aereo. La Freccia Rossa ha fatto subito ritardo: nella tratta Roma-Napoli l’attesa è stata così estenuante che i passeggeri hanno protestato. E poi alla faccia delle tariffe flessibili. Milano-Napoli in AltaVelocità costa davvero un occhio della testa. Inizia adesso il lungo calvario dei pendolari, che si sono visti tagliare diverse tratte locali per dare spazio ai treni supersonici. Insomma, qui si tratta di sganciare soldi e rassegnarsi a diventare “pendolari di lusso”? Per fortuna c’è Internet, l’ultima spiaggia della democrazia e la rivolta parte proprio da siti come www.pendolari.org o www.ilpendolare.com. In Lombardia stringono i denti e sono pronti a bloccare la Freccia Rossa se non si prendono i dovuti provvedimenti. Nel Belpaese tutto sta diventando un bene di lusso e i nostri vagoni si fanno strapagare per un servizio che non c’è. Una volta ho litigato con un controllore, che mi ha detto di non lamentarmi perché nei Paesi dell’Est la situazione era disastrosa. Le Ferrovie dello Stato dovrebbe dire ai dipendenti di non parlare “a vanvera” perché i collegamenti locali in nazioni come Polonia o Ungheria ci sorpassano di gran lunga!

Roma allagata, si salvi chi può!

La settimana scorsa il maltempo si è abbattuto su Roma, provocando morti e feriti. In Italia, il “Paese dei Balocchi”, succede così. Non preveniamo mai, lasciamo che le catastrofe atmosferiche accadano e poi ci concediamo il lusso di fare a scaricabarile. Mi ha innervosito l’aggressività da scena di Lucia Annunziata nei confronti del Sindaco di Roma Gianni Alemanno nella trasmissione In mezz’ora.

Un atteggiamento da professionista della tv pubblica che mi ha riportato ai tempi del regime della lottizzazione Rai con le zuffe di democristiani, socialisti e comunisti. Ognuno si assuma le proprie responsabilità e quindi non voglio prendere le difese del neo sindaco della capitale. Mi scappa una riflessione dopo questa catastrofe. Nell’era da vertrina veltroniana, dove era l’amministrazione? Sotti i riflettori del Festival del Cinema o sulle passerelle delle Notti bianche (non quelle di Dostoevskij)?

Ho sentito alcuni romani e sono con il sangue agli occhi, consapevoli della caduta di stile anche della seconda époque rutelliana. Che si fa mentre lo stato d’emergenza è ancora alto? Abbiamo mandato in esilio le maggiori menti italiane che hanno ridisegnato e ristrutturato le grandi capitali europee. Da noi il rendiconto è politico e così persino architetti dallo spessore di Renzo Piano li troviamo a Berlino e non a Roma. Acqua alta sul Tevere. Si salvi chi può!