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Albero di Natale, tradizione o ossessione?

150x150-albero_natale_blogDopo l’8 dicembre a casa mia scattavano i preparativi per l’Albero di Natale. Io ero più per il presepe, mentre a mia sorella guai a chi le guastava il momento dei preparativi. Nonostante questo abete addobbato mi trasmetteva un’ansia quasi consumistica, ne ero affascianato anche io. Ogni anno aggiungevamo qualche piccolo ornamento, ma di base le palline colorate erano quelle di sempre. Mamma si preoccupava del puntale sulla cima, e papà dell’illuminazione. Quest’ultimo era un punto dolente perché non funzionavano mai con quel dannato sistema ad intermittenza. Alla fine avevamo il nostro albero natalizio e noi bambini ci incantavamo ad osservarlo. Tutti si lamentano che non ci sono soldi, eppure vedo la gente che si scanna nei centri commerciali per gli addobbi dell’albero. Nell’epoca della globalizzazione l’undicesimo comandamento recita più o meno così: “Mantieni l’albero di Natale sempre alla moda come te stesso”. Lo ha capito persino il comune di Palermo, che ha rinunciato ai nuovi uffici per le luci e l’albero di Natale nel capoluogo siculo. La spesa? 330 mila euro per l’ennesimo capriccio che costerà un occhio della testa a tutti i palermitani. Che cavolo è diventato questo abete illuminato, un raccordo con la tradizione o un’ossessione del Belpaese sprecone, che piange “apparentemente miseria” e tira calci nel sedere a chi ne ha bisogno?

Firenze, che canzone triste!

firenze150Mentre il Sindaco di Firenze Leonardo Domenici si incatenava per protesta dinanzi alla redazione di Repubblica, io passeggiavo per le strade del centro del capoluogo Toscano. Lascio perdere il teatrino di Domenici e i casi di corruzione che demoralizzano il Belpaese, e mi soffermo sulla città. Premetto che mi sento fiorentino d’adozione. I miei zii abitano nella zona di Novoli e negli anni novanta ho trascorso lì lunghi periodi. Più passa il tempo e più mi convinco che i fiorentini fanno bene ad essere incazzati con le amministrazioni. Firenze continua a pavoneggiarsi sotto la campana di vetro dell’arte, preoccupandosi del turista e tirando calci in culo a chi ci vive. E’ un atteggiamento ormai cronico che priva i fiorentini di un sacrosanto diritto: la “vivibilità”. Per non parlare dei cantieri aperti (quando metteremo fine alla barzelletta del completamento della linea tranviaria per Scandicci?) e della sporcizia in troppi angoli della città. In più si mette pure Trenitalia che, per l’apertura della linea veloce, ha dirottato gli Intercity su Campo di Marte e Rifredi, ques’ultima poco sicura dopo una certa ora. Interviene la saggezza spicciola di conducente di autobus: “Li abbiamo votati e ce li teniamo”. Io colgo l’occasione al volo e replico: “Perchè l’Ataf mi fa pagare 1 euro e 20 centesimi per una corsa? Troppo caro?”. Lui fa orecchio da mercante. Mentre i turisti stranieri si fanno spellare dagli albergatori e dai ristoranti del centro, fanno bene gli italiani intelligenti ad andare all’astero in stile low cost e per un trattamento migliore. Caro Dante, chissà in quale girone dell’Inferno li metteresti questi padroni della Firenze di oggi. Ed io, viandante di passaggio, non posso che canticchiare il ritornello di una canzone del saggio Ivan Graziani: “Per questo canto una canzone triste, triste, triste, triste come lei”. Firenze, che canzone triste!

Sky o non Sky, l’Iva è il problema?

sky150Ci auguriamo che non diventi un assurdo ed ingiustificato dubbio amletico. Aumentare l’iva a Sky è davvero un capriccio del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi? Portare l’Iva dal 10 al 20% è uno stratagemma per difendere Mediaset dalla recessione di questi giorni grigi? Non voglio soffermarmi su questi due punti di domanda perché lo hanno già fatto in molti. Di tutta questa vicenda c’è una cosa che mi stizzisce. E’ la faccia tosta di Walter Veltroni ad insospettirmi: “E’ un aumento delle tasse sulle famiglie, perchè non parliamo di famiglie ricche ma dei tifosi delle squadre di calcio”. Come cambiano i tempi e quante sono le contraddizioni. Un dì l’ex direttore dell’Unità era un acerrimo paladino della tv pubblica, e mai avrebbe difeso un sistema televisivo privato. E tutto questo teatrino da cortile per un servizio che non è un bene di prima necessità? Siamo in piena recessione, una parte degli italiani non riesce ad arrivare a fine mese, e ci preoccupiamo di non privare il belpaese della pay-tv? “Ma mi faccia il piacere”, direbbe il mio saggio compaesano Totò. Di Sky ne possiamo fare a meno, perché le priorità sono altre: migliorare il servizio televisivo pubblico che pretende un canone ingiustificato per un prodotto sempre più scadente. Tra i due litiganti il terzo gode. Adeguamoci alle normative europee e alziamo l’iva della pay-tv al 50%!

Strage di Erba, Ergastolo sia!

erba150Volevano farla franca come accade qualche volta nel nostro stivale. La Giustizia del Belpaese vacilla e gli ergastoli sono emanati con il contagocce. Ergastolo sia per Olindo Romano e Rosa Bazzi, i vicini di casa che non vorresti mai avere, i due mostri della strage di Erba. Dopo la morte del piccolo Samuele e la soap opera di Anna Maria Franzoni, il caso di Erba è stato tra quelli più vissuti dagli italiani “poltronai”. Intere pagine di giornali e salotti televisivi hanno dato eccessivo spazio al caso, qualche volta affrontato con lo spirito del “petteguless”, raramente con un’analisi seria e professionale in stile Lucarelli. Ergastolo sia per i due protagonisti di un romanzo criminale tutto da scrivere (o riscrivere?) che potrebbe cogliere di sorpresa lo spettatore sprovveduto e giocarsi il jolly in appello. Ergastolo sia per Olindo e Rosa che continuano a difendere la loro innocenza. E se fossero davvero “gli angeli della porta accanto”? Il delitto di Erba è l’ennesimo teatrino delle piccole stragi della nostra provincia, uno spargimento di sangue che farebbe gola ai fratelli Cohen per una nuova sceneggiatura. Speriamo che Erba, ridente cittadina a pochi passi da Como, non diventi un luna park per curiosi, facilitando il gioco dell’assassino e trasformando in cult luoghi da cancellare, ora e per sempre.

Cassinelli, il salva-blog e la democrazia di Internet

cassinelli150Il Governo Prodi aveva ritrattato sull’ipotesi che tutti i blog e i siti erano obbligati a trasformarsi in testate giornalistiche. Il popolo del web è insorto e abbiamo scampato un bel pericolo. Mai dire mai perché all’orizzonte ci sono altre sorprese in vista: Roberto Cassinelli, membro della Commissione Giustizia della Camera, ha messo a punto una nuova proposta di legge che potrebbe mettere a repentaglio la libertà e la democrazia del web. Cassinelli si presenta come il paladino della “salvaguardia dei blog”. Peccato però che alcuni punti della proposta risultino alquanto ambigui. Sono obbligati a registrarsi tutti i siti Internet che abbiano come scopo “la pubblicazione o la diffusione di notizie di attualità, cronaca, economia, costume o politica”. Inoltre, sbirciando tra le righe, balza all’occhio che l’obbligo è per qualsiasi sito “il cui gestore tragga profitto di qualsiasi genere (non solo economico) della propria attività”. E i siti che hanno come unica fonte di sostegno gli Ad Sense di Google? E questo blog? Non trae un guadagno economico, ma magari “un profitto di immagine” a favore del suo autore. Cassinelli si è fatto vivo in rete ovunque, anche sul suo blog, per tranquillizzare gli internauti e mostrarsi disponibile ad accogliere suggerimenti per rivedere la bozza. Ci sono parecchi punti di domanda e un dato di fatto. Internet è l’unica isola felice della democrazia. E’ vero che occorre tutelare gli eccessi e il libertinaggio della rete, ma senza privare nessuno del diritto di esprimersi liberamente e senza peli sulla lingua! E’ questa la via per disciplinare Internet?

“No Change”, Obama si vende alla lobby dei Clinton

hillary-clinton-caricature150Preso dall’euforia per la vittoria di Barack Obama, ho scritto di recente che la vera sfida del neo Presidente degli Stati Uniti era aver messo a tappetto la lobby dei Clinton. I sostenitori di Obama devono fare i conti con la cruda realtà perché la famiglia Clinton è pronta a traslocare di nuovo alla Casa Bianca: Hillary Clinton è il nuovo Segretario di Stato. E’ un modo per riunire le fratture dei Democratici e mettere tutti d’accordo? Caro lettore, non dimenticare che le ultime elezioni presidenziali americane non sano state vinte dal partito democratico, ma dal carisma esuberante di Barack Obama. Quale è il prezzo da pagare per avere a Washington il primo presidente nero della storia americana? Continuare a piegarsi alla lobby del potere ed avere come figura chiave una donna fantoccio, falsaria e figlia del viscido fidanzamento tra politica e marketing? Una donna arrivista e senza scrupoli, molto abile in un trasformismo che appartiene all’America di ieri e l’altro ieri, paraddossalmente a quella a cui si sono ribellati i giornalisti Bernstein e Woodward, accendendo la miccia dello scandalo Watergate. Gli USA devono recuperare in politica estera, soprattutto in Medio Oriente, e il Segretario di Stato è una pedina delicata. Barack Obama non può e non deve dimenticare che una parte dell’elettorato lo ha votato perché ha visto in lui “il volto dell’altra America”, l’unica via d’uscita dal cono d’ombra della Clinton e dei suoi cortigiani. Speriamo che la permanenza di Obama a Washington non sia il solito teatrino a cui gli americani ci hanno abituati, perché il neo presidente ha già mandato in soffitta il suo slogan “Change”. Sarebbe davvero difficile mandarla giù!

23 novembre 1980, l’Irpinia trema

Il 23 novembre 1980 era una domenica. Abbiamo avuto il tempo di aspettare mio padre per cena. Alle 19.25 la terra ha iniziato a tremare con prepotenza, mentre io e mia sorella vedevamo i giocattoli saltare da un punto all’altro della nostra cameretta. Mio padre ci ha collocati sotto l’arco di una porta, ma non mi sono reso conto che la nostra vita era in pericolo. In quel preciso momento, l’Irpinia, la parte centrale della mia regione, veniva seppellita da un catastrofico terremoto. Per fortuna a Napoli i danni sono stati contenuti, mentre migliaia di persone sono rimaste senza tetto per tanti anni, piangendo il lutto di una tragedia mai dimenticata. Da allora il 23 novembre alle 19.25 mi fermo in silenzio: ricordo, prego, rifletto. Mi sono messo alla ricerca di “una preghiera laica” e l’ho trovata nei versi di un’intensa pubblicazione: Irpinia chiama del poeta Guerino Levita. Ho avuto la fortuna di conoscerlo in una scuola media di Acerra, in provincia di Napoli, in una mattinata autunnale del 1986. Mi ha donata una copia del libro, da cui non mi sono più separato. Levita è un poeta da antologia, la cui scrittura semplice e immediata raggiunge un impatto emotivo davvero sorprendente. Attraverso quelle poesie mi sono cucito addosso piccole storie tra l’amicizia di un cane e un bambino o i piccoli sogni di alcune ragazze di Sant’Angelo dei Lombardi. Ho capito quanto fossi stato fortunato a ritrovare i miei giocattoli allo stesso posto. Ancora oggi, sarò puntualmente con le pagine di Levita tra le mani per frugare in quel ricordo e per convincermi sempre di più che cantori come “il poeta di Acerra” non hanno bisogno di popolarità editoriale, ma di lettori predisposti a raccogliere lapilli di memoria, per non dimenticare.

Castelvolturno, l’ultimo canto di Miriam Makeba

makeba-miriam-150Ho trascorso a Castelvolturno le prime due vacanze della mia vita. Nonostante avessi 2 anni, ho ancora qualche sprazzo di quelle estati. Nei primi anni Settanta il nome di questa località balneare della provincia di Caserta era meta vancanziera per una parte delle famiglie napoletane. I tempi cambiano e oggi Castelvolturno finisce sempre sulle prime pagine dei giornali come una roccaforte di malavita e criminalità. Dall’altra parte, Miriam Makeba, una delle voci più intense del jazz e della world music, è tra i  miei rimpianti: non la ho intervistata né ascoltata dal vivo. La adoro da sempre per l’impegno tenace contro l’Apartheid in Sudafrica. Una parola che mi fa ancora rabbrividere così come me la spiegò la mia professoressa Rosalba alle Medie. Vallo a spiegare a un tredicenne che anche dinanzi al pericolo di morte i bianchi sono da una parte e i neri dall’altra! Mama Africa è morta a Castelvolturno  per un arreasto cardiaco, dove era venuta per un concerto di solidarietà per lo scrittore di “Gomorra” Roberto Saviano, minacciato dalla camorra. Non è mai casuale che musica, impegno sociale, denucia e il desiderio legittimo di avere un territorio nuovo si incontrino in un misto di rabbia e coraggio. Il Sudafrica e il Sud Italia non sono mai state così vicine per una guerriglia sociale, trait d’union simbolico tra Johannesburg e Castelvolturno. L’ultima volta “Cristo si è fermato ad Eboli”, ma l’ultimo canto di Miriam Makeba si è smorzato in una terra che vuole riavere indietro la sua dignità. Speriamo che gli ultimi passi di Mama Africa non si fermino qui.

Barack Obama, il Presidente dell’altra America

obama150Negli ultimi anni qualcuno ci ha ricordato sottovoce che l’America non era solo quella guerrafondaia di George Bush, del potere dei petrolieri che si erano giocati a dado le sorti di John Kennedy, della superpotenza che voleva imporre a tutti costi il suo “regime democratico” ovunque e a qualsiasi costo. Avevamo dimenticato l’America di Joan Baez, Bob Dylan e Bruce Springsteen, quella dei raduni sotto il cielo utopico di Woodstock, quella che aveva protestato conl megafono per fermare il genocidio del Vietnam, quella incantata per “I have a dream” di Martin Luther King, quella letteraria della Beat Generation tra le pagine irriverenti di un Kerouac o un Bukowski. C’era e c’è un’altra America: è quella che oggi entra alla Casa Bianca con l’elezione di Barack Obama a Presidente degli USA. La vera vittoria non è nei confronti del soldato McCain e della sua spalla Palin, ma verso la lobby della spietata Hillary Clinton, simbolo fallico dell’ipocrisia democratica statunitense. Nessun candidato alla presidenza ha attirato così l’interesse dei giovani di mezzo mondo. La raccolta di fondi sul web, l’uso calibrato di You Tube e Facebook hanno trasformato Obama nel “Cavaliere di Internet”. Nel giorno dell’euforia, non tralasciamo un particolare. Barack Obama è il primo afroamericano, il primo “nero” ad entrare nella camera del potere americano. Un riscatto storico e sociale per “i neri” di tutto il mondo, quelli schiavizzati dall’America contradittoria che mise contro Nordisti e Sudisti, quelli discriminati dall’America razzista che fece del colore della pelle il passepartout per avanzare o retrocedere. La vittoria di Obama cambia il destino di questa America, nonostante siano tante le ferite da rimurginare in Medio Oriente, in Economia, nell’Ambiente, in Politica Estera con l’espansionismo minaccioso di Russia e Cina.  Gli americani si aspettano dal nuovo Presidente la fine di un sistema sanitario che non tutela i deboli, facendoli divorare dalla brama delle compagnie assicurative. Per adesso godiamoci l’aria di festa perché la sfida è davvero più difficile di quello che immaginiamo.

‘A livella e gli eccessi del 2 novembre

“Ogn’anno, il due novembre, c’é l’usanza per i defunti andare al Cimitero. Ognuno ll’adda fà chesta crianza; ognuno adda tené chistu penziero.” Per chi non li avesse riconosciuti, questi sono i primi versi di ‘A livella, meravigliosa poesia scritta da Antonio De Curtis, in arte Totò. Il Principe del sorriso ci ha donato una suprema riflessione in versi: volendo o non, dinanzi alla morte torniamo ad essere tutti uguali. Per me il 1 e il 2 novembre sono giorni particolari. Nella mia famiglia li dedicavamo ai nostri defunti, non tanto per fare “lo struscio” al cimitero, ma per pensare ai nostri cari che non c’erano più. Nei cimiteri del Sud vivevo quasi un’aria di festa, vedendo fin da piccolo migliaia di persone assiepate ovunque. Peccato però che poi durante l’anno c’era il deserto. Non sono qui per discutere sulla scelta di visitare un defunto al cimitero, piuttosto sulle lotte inutili per acquistare la cappella di famiglia, per avere la lapide più bella o svuotarsi il portafogli a tutti i costi per il sovraccarico di fiori. Questo atteggiamento tra folclore e mania di protagonismo – per non parlare dei titoli ed appellativi che notavo sulle lapidi- mi ha sempre stizzito, anche oggi che vivo lontano da Napoli. De Curtis concludeva così: “Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”. Nel piccolo cimitero della provincia di Napoli, dove sono sepolti i miei nonni paterni, ho osservato anno dopo anno gente che voleva affermare il suo ruolo sociale anche al di là di quel cancello. Alla faccia di quella mentalità feudale e delle famiglie borghesotte e provinciali, io preferisco ancora un petalo di rosa e un crisantemo per ricordare che la morte è una cosa troppo seria. Smettiamola di trasformare il 2 novembre in una farsa carnevalesca!