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Il mio Capodanno 2017 nell’alba della Patagonia

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rosario_pipolo_blog_2Mi stropiccio gli occhi. Apro le tendine dell’autobus. Fuori c’è una distesa immensa di deserto. La Patagonia fila l’alba ed è subito un sussulto. L’Argentina prende la mia anima e la scaraventa tra le persone, lungo la strada principale che attraversa Neuquén.
I viaggi sono fatti prima di tutto di persone, di incontri, di abbracci inattesi che mettono insieme i pezzi della nostra vita, lontani dai bagordi rituali e banali della Notte di San Silvestro.

Ho un tetto in Patagonia, la casa di Beti. Non è un bed & breakfast o un ostello, è l’abitazione a due piani che mi riporta nel Sud della mia Italia. Negli occhi di Beti c’è la Patagonia con le sue mille sfumature e la voglia di stare ad ascoltare le storie di noi viaggiatori che abbiamo percorso più di 1.500 chilometri da Buenos Aires.
Il sole picchia forte a Neuquén e mi fermo in un piccolo bar di una stazione di rifornimento carburante. Daniel mi offre una bottiglia d’acqua, mi fa festa, è colombiano e conoscitore del mio Sud, sua sorella ha sposato un ragazzo di Bari. Squilla il telefono, è la voce della sorella di Daniel, mi sembra di essere tornato a casa.

Sì, sono tornato a casa a Neuquén con questa gente che non è diversa da me: negli occhi di Veronica c’è il taglio della luna di Buenos Aires che restituisce al viaggiatore le sopracciglia dell’amore custodito in sordina; nel sorriso di Lujan c’è il sole della Patagonia che danza liberamente senza afferrare i ritmi del cielo sopra di noi; nella generosità di Victitor, che mi offre un passaggio in auto, c’è il ritrovamento della strada come luogo privilegiato di incontro e della costruzione di un’amicizia come si deve.

Sbuco nella parte alta di Neuquén, sotto chilometri di steppa, sopra di me c’è un Cristo in croce che volge lo sguardo verso il nord della Patagonia, mi sembra di essere finito in Terra Santa.

C’è una strada sotto il deserto della Patagonia, quella che fila diritto in Argentina, lontano dal rumore dei tappi di spumante; dal frastuono dei botti che vorrebbero dare il benvenuto all’anno nuovo; dal fondotinta e dai cappellini rossi che ingombrano selfie a destra e sinistra; da tavole strapiene di cibi e bevande. E’ la strada dell’essenzialità, mappata dalla barba incolta sulla mia pelle da viaggiatore, illuminata da una delle albe più belle della mia vita.

La mia rinascita. E’ già Capodanno in Patagonia, il mio.

Il mio Capodanno 2016 sulla strada di Memphis

Rosario PipoloNon abbassare gli occhi. Me lo ripeto spesso osservando la gente distratta per strada, ipnotizzata da un touchscreen. Nel mio recente vagabondaggio in USA ho staccato la spina dai labirinti virtuali. La mia vita è tornata sulla strada, come quando da ragazzo mollavo il condominio e mia madre puntualmente mi dava per disperso.

A Memphis, pelle nera del Tennessee, sembravo una sentinella. Avevo quaranta minuti a piedi sulla Union Avenue per rincasare. Nell’oscurità della notte non abbassavo mai la guardia, qualcuno aveva tentato di convincermi che quei cinque o sei mendicanti sulla strada, pur di avere un fucking dollar, avrebbero potuto darmi delle grane. Nella città dove fecero fuori il profeta Marthin Luther King, ci sono ancora i graffi dell’odio razziale.

Avevo confessato ad una donna delle pulizie del mio motel che volevo la pelle nera, perchè volevo far parte di quella comunità, mescolarmi, a qualsiasi costo. Le luccicavano gli occhi. Avevo rimproverato il portiere di colore di un lussuoso hotel per aver snobbato il trasporto pubblico perchè la middle class viaggia in taxi. Avevo sbraitato: “Dovrebbe tornare ad appoggiare il culo su un autobus, perchè i suoi genitori hanno battagliato per usare il trasporto pubblico”.

Girovagando a Soulsville, a pochi passi dagli studi di registrazione della Stax, mi sentivo spogliato con gli occhi. Ero entrato a prendere una birra in un supermercato della zona. Ero l’unico bianco in fila alla cassa. Una bimba teneva stretto un bambolotto nero. Ripensavo a mia sorella, in classe con la mia bambola di pezza di colore della Lousiana, che spiegava ai suoi piccoli alunni la ricchezza della diversità.

Arrivato sulla McLemore Avenue, mi sono fiondato su un marciapiede. Senza GPS, senza le mappe di google, senza gli occhiali virtuali che ti fanno vedere l’agorà sulla timeline di un social network, ho spotato in avanti le lancette dell’orologio fino al 1 gennaio 2016. Ho aperto la lattina, l’ho alzata verso il cielo. Era il brindisi di Capodanno anticipato. In fine dei conti non ero solo: dalle finestre di fronte c’erano occhi che curiosavano. Da quanto tempo non si vedeva a Soulsville un bianco ammattito?

Sulla strada finalmente avevo la pelle nera, senza per forza bisogno di sbiancare la coscienza con il soul indiavolato di Otis Redding o con lo slogan presidenziale “Yes, We can”. I pantofolai da resort sono convinti che Sulla strada sia il titolo di un romanzo del fancazzista Kerouac.

Sulla strada è la prospettiva per vivere il tessuto reale del mondo. Spero che il mio calzolaio legga quest’articolo e giustifichi la riparazione delle mie scarpe bucate a Memphis. Riparto da qui. Cin, cin.

Il mio Capodanno 2015 con E.T., l’extraterrestre del futuro

Rosario PipoloNel 1982, qualche mese dopo il trionfo della Nazionale ai Mondiali di Spagna, incontrai E.T., l’extraterrestre che non mi impressionò per la navicella da cui scese, ma per l’aspetto buffo e poetico che lo rese famoso qui sulla terra, al di là della magia del film di Steven Spielberg.
Dopo oltre trent’anni è ritornato per festeggiare il Capodanno insieme a me e a tutti coloro che appartengono alla generazione in cui la fantasia può condizionare in parte le scelte della vita.

Ai tempi E.T. mi propose di aggregarmi alla slitta nostalgica di “Telefono casa” e trasferirmi sul suo pianeta. Ero troppo piccolo allora per fare una scelta così coraggiosa. Oggi sono abbastanza “grande” per rifarmi dell’occasione perduta.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì non esiste la smania di apparire, che ha fatto della cornice dei social network un grande circo con pagliacci volgari che svendono ogni valore, inclusa l’immagine innocente dei propri figli, per cercare di essere ciò che in realtà non sono.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì non c’è alcun codice, alimentato dall’ipocrita subcultura, che regolamenta i legami sulla base delle imposizioni della comunità che vorrebbe schiavizzare scelte e i tempi di tutto, dal passo nuziale a quello di un corteo funebre.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì la bellezza di Dio non è filtrata con tutti quei fronzoli che ci fanno privare dello stupore di chi dovrebbe accostarsi con gli occhi di un bambino.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì il qualunquismo non ha contagiato la politica, quella che da noi è invasa da predicatori di ogni genere, così ciechi da calpestare i presupposti per essere protagonisti in un paese civile.

Il mio Capodanno 2015 con E.T. Mi trasferisco sul suo pianeta perché lì non ci sono coni d’ombra a seppellire i tanti genocidi che ogni giorno si alimentano miseramente sotto i nostri occhi; la giustizia è uguale per tutti e i clandestini non vengono imbarcati per poi bruciare come topi.

Il mio Capodanno 2015 con E.T., il buffo extraterrestre che mi fa affacciare alla finestra di questo 2015 con la chiave per aprire la memoria del futuro.

Dottore, il mio Capodanno 2013 in un ospedale lontano da casa

Rosario PipoloDottore, l’anno scorso ero a casa alle prese con il pranzo di Capodanno e, andando a fare la spesa, avevo pensato allo stretto necessario per i miei ospiti. Quest’anno la mia preoccupazione è un’altra: dare indicazioni a telefono a mia figlia. Io non sarò seduta a tavola con loro e dovrò accontentarmi della minestra della vostra mensa.

L’amarezza non è tanto il sapore che galleggia in questa scodella, ma non essere riuscita a farmi curare dove sono nata e cresciuta. Non c’erano strutture pubbliche disponibili e mi chiedevano tanti soldi. Non avevo capito che il valore della vita si riducesse ad un portafoglio. Ho lasciato il mare per le montagne. Signor dottore, è la prima volta che sono arrivata quassù.
Mi dicevano che da queste parti la gente fosse fredda. In questo ospedale ho conosciuto persone e storie che mi hanno riscaldato il cuore. E gli infermieri non mi hanno fatto sentire un’inutile ammalata, ma mi hanno riempito di coccole e di attenzione come faceva mio padre, tenendomi in braccio.

Signor dottore, mi hanno assicurato che la terapia finirà in tempo e miei capelli ricresceranno. Torneranno ad essere lunghi. Voglio essere bella al matrimonio di mia figlia. Si sposerà il 13 giugno, nel giorno di S. Antonio. È una vita che aspetto questo momento. A quanti pacchetti di sigarette ho rinunciato per farle un bel corredo, con quelle lenzuola color d’avorio che avvolgeranno due corpi innamorati.
Signor dottore, a volte ho paura, ma mi trattengo. Volgo lo sguardo e mi nascondo nel tramonto oltre le montagne. Mi chiedo quanto sarà fitto il buio. Mi consolo tutte le volte io la chiamo semplicemente Signor(e) e lei si volta.

Dedicato a tutti coloro che in queste ore stanno lottando contro il tumore. Non basteranno neanche queste parole a far sentir loro la mia presenza.

Signor Giudice, il mio Capodanno 2012 con i bambini “senza famiglia”

Signor Giudice,
non voglio aprire il nuovo anno, affetto dal solito morbo di festeggiamenti a tutti i costi: panettone, spumante, stordimento festaiolo, botti e magari sbadigliando accanto a persone che a mala pena conosco. Voglio condividere l’inizio di questo 2012 con migliaia di bambini che affollano in Italia istituti e case famiglia, perché sono finiti nel grembo di donne non all’altezza di essere madre.

Signor Giudice, busso alla sua porta poco dopo la mezzanotte, perché vorrei che me li desse in affido nel giorno di Capodanno. Voglio preparare un tavolo lungo da Reggio Calabria a Milano e osservarli festeggiare tutti assieme. Non ho alcun requisito né per l’affido temporaneo né per l’adozione, ma mi è bastato inciampare in una storia per farmi avanti:travestito da Babbo Natale, ho conosciuto A***C***, 30 mesi, e F***, 8 anni. Al momento sono in attesa di una famiglia che si prenda cura di loro, per sempre. Mi sono sentito un Santa Claus impotente perché non ho potuto restituire loro la mamma naturale. Per quel bimbo e la sorellina sognavo una mamma come la mia.

Quanto tempo ho dovuto aspettare per crescere e rendermi conto che i genitori non sono tutti uguali. Quanta vita buttiamo via per niente. Signor Giudice, mi lasci entrare in tutti gli istituti e case famiglia. Svegliarli dal sonno per cercare qualcosa di più del solito Capodanno. Voglio cercare assieme a tutti questi bambini l’insolito e formare un grande girotondo, rotolandoci in riva al mare, assaggiare la prima alba. Solo attraverso le loro storie di vita mi spoglierò delle banalità con cui ci trucchiamo agli inizi di un nuovo anno.

Ad A***C*** e F*** ho regalato una penna, perché spero un giorno mi scrivano. Tornerò da loro senza il travestimento per mostrare il mio volto, che fino a poco fa era di uno qualunque. Signor Giudice, è arrivato il 2012. Sono pronto, ma lei mi prometta che non li separerà mai.

Felice Anno Nuovo, a modo mio, a tutti gli educatori che in questa notte vegliano e difendono queste anime innocenti.

Ecco il 2011: il mio Capodanno con il bimbo lottatore per la vita

Botti, spumante, euforia, brindisi, abbracci e baci per dare il benvenuto all’anno nuovo. Come sarà il 2011? E chi lo sa, mica noi blogger abbiamo la sfera magica.
Io voglio muovere i primi passi in questo nuovo anno assieme ai “lottatori per la vita”. Sono essere minuscoli che, dentro o fuori il grembo materno, combattono a denti stretti per restare qui con noi. Il miracolo della vita è qualcosa di incredibile e me lo sta ricordando un essere piccino piccino che in questo momento è in un’incubatrice. Lui sta lottando perché quel micro spazio diventi una culla. Voglio condividere con lui questo passaggio. Il mio sguardo si appanna sullo scivolo del Capodanno. I suoi occhietti semichiusi sono rivolti al soffitto di chissà quale ospedale, di chissà quale nido, mentre un filo di latte lo alimenta goccia dopo goccia. Lui non sa chi sono io e nemmeno io conosco il suo nome.
Attraverserò in silenzio tutte le corsie degli ospedali italiani per scovare quei bimbi come lui che non mollano la presa. Voglio festeggiare il Capodanno con tutti loro, perché appena nati sono stati capaci di darmi una gran bella lezione: resistere. Non ci sono avari sorpassi sociali, lavorativi, economici che tengano a confronto del miracolo della vita. Correndo correndo non ne abbiamo più tenuto conto.
Voglio resistere al tuo fianco, piccolo bimbo, affinché il miracolo della vita trasformi quell’incubatrice in una splendida culla. Buon Anno e tieni stretto il tuo orsacchiotto!