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L’insolenza di Rino Gaetano contro le lobby 40 anni dopo

Gli anniversari servono a poco se finiscono seppelliti sotto le onde emotive. A quarant’anni dalla scomparsa prematura – me lo ricordo quel 2 giugno 1981Rino Gaetano e le sue canzoni insolenti sono ancora attuali. Nella sua discografia, strizzata in soli 6 album in studio, c’è un fil rouge: l’essenza antilobbista del Rino di allora che oggi torna a scottare. Come le canterebbe le lobby dei giorni nostri tra gay, vegani, influencer politicanti e animalisti incazzati?

LA MIA FIDANZATA DELL’INFANZIA: GIANNA CON UN COCCODRILLO

Ridatemi l’insolenza di Rino Gaetano. Mia mamma fu convocata all’asilo perché raccontavo ai miei compagni della mia fidanzata “Gianna che aveva un coccodrillo”. Nel 1978, da un televisore in bianco e nero sul frigo della nostra cucina, rimasi stregato dall’anarchico Rino Gaetano sul palco del Festival di Sanremo.
Tutti i pomeriggi, su un balcone alla periferia di Napoli, stonavo Gianna e il manico di scopa fregato a mamma faceva da microfono.

Rino diceva che “Ci sono persone pagate per dare notizie, altre per tenerle nascoste, altre per falsarle“. In Italia erano gli anni bui del terrorismo, alla periferia di Napoli della Nuova Camorra Organizzata cutoliana. Io cantavo Gianna alla ringhiera e, a pochi metri in linea d’aria, lo struscio locale mischiato alla politica losca rendeva omaggio a ‘O boss d’o paese circondato dai fedeli scagnozzi.

MA IL CIELO E’ SEMPRE PIU’ BLU

Ridatemi l’insolenza di Rino Gaetano perché fu profetica, lungimirante sotto “il cielo sempre più blu”: dalla disfatta della Prima Repubblica alle ingiustizie sociali, dalle morti bianche al razzismo oltre confine.

Quarant’anni dopo, punto. E ora che si fa “Aida, le tue battaglie I compromessi La povertà I salari…” tra i fantasmi del colonialismo? Ora che si fa, sputando in faccia a chi si sottomette alla routine e esaltando “Mio fratello è figlio unico Perché non ha mai trovato il coraggio d’operarsi al fegato E non ha mai pagato per fare l’amore E non ha mai vinto un premio aziendale“? Ora che si fa mentre Berta filava e “partiva l’emigrante e portava le provviste E due o tre pacchi di riviste E partiva l’emigrante ritornava dal paese“?

Ridatemi l’insolenza di Rino Gaetano perché, persino dando voce ad una cover, ha fatto germogliare la speranza di ricominciare dopo la sepoltura di una storia d’amore sotto la neve, a mano, a mano.

Ci risiamo, quarant’anni dopo. Come canterebbe Rino Gaetano le lobby dei giorni nostri tra gay, vegani, influencer politicanti e animalisti incazzati? Come canterebbe Rino Gaetano l’Italia dell’uscita dal carcere d’U verru, il boss pentito, che oltraggia la memoria della strage di Capaci?

(Nun te reggae più)

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Andrea Pazienza, fumetto rock alla Rino Gaetano

andrea_pazienza

Rosario PipoloCi sono troppi anniversari in giro, troppi compleanni mancati. Qualche volta fa moda, qualche altra volta è puro isterismo collettivo rinchiuso dietro il tanfo nostalgico. La domanda più odiosa resta questa: “Come sarebbe stato se avesse raggiunto la veneranda età di…”.

Andrea Pazienza, il fumettista cult che oggi l’Italia celebra, non li ha vissuti e festeggiati  i sessant’anni. Ne ha vissuti 32 e, per giunta così intensamenti, da lasciarci un riverbero solfeggiato tra la rabbia degli anni ’70, il riflusso del ripiego degli ann’ 80 spinta fino all’omologazione digitale del tempo odierno.

Nessun fumettista è stato così musicale come Paz: La sua matita disegna rock puro e le sue storie, i suoi personaggi, sono i versi delle canzoni di Rino Gaetano tradotti in nuvole parlanti. Ad unirli non è la morte sfacciata che se li è portati via troppo presto, né tantomeno il volto dell’attore Santamaria sia nel film Paz che nella fiction tv Ma il cielo è sempre più blu.

Il ricongiugimento di Andrea e Rino avviene lungo la sottile linea d’ombra di un’opera che non può essere catalogata, che sfugge all’archiviazione post-mortem, rinascendo accanto all’irrequietezza e sofferenza di ogni generazione, pronta a ritrovare nuove illuminazioni a seconda della prospettiva.

Oggi tutti scrivono e parlano di Pazienza, anche quelle penne che una volta erano ideologicamente sulla sponda opposta dei quotidiani che gli davano asilo, raccontando Paz e il suo mondo. Accade quando l’omologazione sottrae le parole di una canzone o i graffi di una matita dall’investitura di sciabola che difende utopie, rivendicazioni sociali.

Possiamo fare a meno di questa ricorrenza perché, come urlava il fumettista nato a San Benedetto del Tronto, “non bisogna mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa”. Vi siete convinti che Rino Gaetano “non è figlio unico”? Ha un fratello gemello riconosciuto in Andrea Pazienza.
Le parole musicate di Rino ritagliano i contorni delle storie di Andrea; i disegni di Paz danno fisicità all’immaginazione del canzoniere di Gaetano.

“La verità è sempre nuda, basta questo per capire che razza di zoccola è”. Paz dixit.

Diario di Viaggio: Shalom Gianna, sotto gli occhi del mare…

Nel 1978 Rino Gaetano cantò “Gianna Gianna Gianna sosteneva tesi e illusioni Gianna Gianna Gianna prometteva pareti e fiumi, Gianna Gianna aveva un coccodrillo”. Di Gianna mi affascinava il fatto che avesse un coccodrillo e così da bimbo occhialuto mi misi alla sua ricerca.
L’ho trovata quest’estate, in spiaggia, dopo 35 anni, scoprendo che forse Rino Gaetano aveva sbagliato in qualche verso della celebre canzone.

Gianna non aveva “un coccodrillo”, ma un vecchio certificato ingiallito in una soffitta di Roma su cui era scritto “di razza ebraica”. Gianna aveva fatto bene a sostenere tesi e illusioni per ritrovare brandelli della sua vita in riva al mare.
Che strano, sotto l’ombrellone siamo soliti parlare del più e del meno, condividere banalità, invece può accadere che il bauletto della memoria si scuota a ridosso di Ferragosto: una sorellina scomparsa tra le braccia del ‘900 e un fratellino nascosto in un convento per sottrarlo alle persecuzioni che nel Belpaese fascista toccavano a chi fosse di un’altra razza.

Attraverso gli occhiali scuri di Gianna ho risfogliato alcune belle pagine di Giorgio Bassani, quelle di Il Giardino dei Finzi-Contini, dove alla narrazione non sfugge la peccaminosa catena delle leggi razziali, applicate in Italia nel 1938 contro la comunità israelita. Sembra roba di altri tempi, ma soprattutto roba che non riguardi l’Italia, perché Aushwitz era geograficamente lontana dalla nostra penisola. Mettiamo da parte l’insostenibile leggerezza di chi vorrebbe far passare i governanti di allora come chi avesse poco a che fare con la lucida follia della Germania nazista.

Le nuove generazioni provano rancore per alcune scelte ingiustificate dello stato di Israele. Che l’errore di politici e capi di stato non ricada sui singoli individui, sul loro vissuto, sul tappeto del loro dolore.
Ho cercato Gianna per mare e monti. Sarebbe bastato andare in una sinagoga in Italia. Me l’ha restituita il mare. Shalom, Gianna.

Valentina Giovagnini, l’ultimo passo silenzioso della neve

valentina_giovagnini150Me la ricordo sul palco dell’Ariston di Sanremo. Me la ricordo scalza come Sandy Shaw e mi sono innamorato in un batter d’occhio della sua voce.  Nel 2002 il secondo posto di Valentina Giovagnini al Festival di  Sanremo ha significato molto. Per una volta un pezzo intenso come “Il passo silenzioso della neve” aveva osato sbaragliare la canzonetta melodica in stile Tatangelo, tanto gradita al Belpaese popolare. La cantante toscana aveva tutte le porte per diventare un fenomeno. Il mercato discografico non sempre va come vorremmo e così adesso è bastata la notizia della sua prematura scomparsa a restituirle un attimo di notorietà. Squallido gioco della fatalità come è accaduto a Rino Gaetano. E’ stato un incidente stradale a far smettere di cantare l’ugola aretina. Mi sarebbe piaciuto incontrarla, passeggiare con lei tra le colline toscane e farmi raccontare cosa si prova a propogare le sonorità celtiche tra un pubblico abituato ad altra musica. Avrebbe compiuto 29 anni il prossimo aprile. La discografia italiana, troppo distratta di questi tempi, perde un cavallo di razza. Al di là della centrifuga mediatica che lascia il tempo che trova, è soltanto porgendo l’orecchio che ci rimettiamo sulle orme del passo silenzioso della neve!