Tutto il resto è noia: via in fretta da Sanremo 2014 senza né vinti né vincitori

Abbiamo smaltito già il colpo basso del televoto del Festival di Sanremo. Neanche più ci ricordiamo chi è arrivato in cima all’Ariston. Non ricordiamo né vinti né vincitori di questo Sanremo 2014, riflesso del Belpaese in una pozzanghera che vorrebbe sotterrare “contro vento” la musica sotto la melma.
Dimenticheremo in fretta le canzoni dei Big – che poi BIG non sono stati – nonostante Spotify e Deezer si facciamo la guerra ai tempi della “musica liquefatta” e isolino la singola canzone dalle compilation sanremesi a cui eravamo abituati ai tempi di cd e vinile.
Dimenticheremo in fretta le canzoni di questo Sanremo che si è ostinato a cercare la bellezza tra la puzza dei vagoni della cronaca, della storia televisiva del Servizio Pubblico, negli sketch noiosi che scimmiottavano i bei tempi del varietà.
“Grazie dei fior” che non abbiamo ricevuto perché anche le rose e le margherite sanremesi sono state epurate dal Festival così come le canzoni che non hanno avuto tempi e spazi giusti. Siamo un paese governato dal giovanilismo di cartone politico e poi all’Ariston i giovani vedono un microfono dopo mezzanotte. Per fortuna le Nuove Proposte hanno energia e spaccano lo schermo.
Dimenticheremo in fretta le canzoni di questo Festival di Sanremo. A far rimbalzare questa volontaria smemoratezza ci sono un inatteso flashmob musicale, la triste notizia della scomparsa del “Grande Joe” del Banco o la poetica ninna nanna di un songwriter americano convertito all’Islam. Salviamo almeno queste tre polaroid.
Dimenticheremo in fretta il rapper, che ha rivestito “la terra dei fuochi” di “terra del sole”, se nel giro di qualche anno il suo pubblico lo trasformerà da ranocchio nel bel principe dei “neomelodici”.
Dimenticheremo in fretta il buonismo o l’acidità social che gironzola sui tacchi a spillo nei giorni festivalieri. Tanti sono convinti che per giudicare una canzone basta essere ciò che non siamo.
Non ci resta che piangere? No, perché Sanremo è Sanremo. E se tutto il resto è noia? Ci siamo fregati con le nostre stesse mani, perché non c’è Franco Califano a cantarci il refrain.




Oggi non ho voglia di scrivere, non mi va. Ho piuttosto voglia di scriverti perché, quando sono partito per Milano otto anni fa, avevo in valigia una tua canzone: Sogna, ragazzo, sogna. In quelle rare occasioni in cui ci siamo incrociati, continuavo a ripeterti che al liceo sognavo di avere un professore come te. In fondo è come se tu lo fossi stato, perché attraverso i tuoi dischi ho imparato a guardare il mondo diversamente, facendo sempre intromettere il cuore nel cervello. A volte mischiare i sentimenti col pensiero non è un’idea così malvagia.



I duetti non sono una novità all’Ariston, fanno parte del dna sanremese fin dagli albori. Tuttavia, Paolo Bonolis gioca una carta vincente per la terza serata del Festival di Sanremo, musicalemte la migliore delle tre. Finalmente spazio ai giovani subito, senza dover aspettare fino a tarda notte e meno siparietti comici inutili. Il ritorno di qualche “figliol prodigo” sanremese come Riccardo Cocciante, Massimo Ranieri, Zucchero, Gino Paoli e Lucio Dalla hanno creato una bella atmosfera, costruento un ponte tra vecchia guardia e giovani promesse. La migliore performance resta quella di Karima, accompagnata dal piano raffinato di Burt Bacharach e la voce indecifrabile di Mario Biondi. Delicata l’accoppiata Malika-Paoli, insuperabile Simona Molinari con o senza Vanoni (E se fosse “Egocentrica” la canzone regina della sezione nuove proposte?), mentre Irene se la gioca in famglia, accompagnata da papà Zucchero e la sua combriccola! Fa uno strano effetto vedere il professor Vecchioni leggere sul gobbo il testo della canzone di Chiara Canzian o Pino Daniele strizzare l’occhio alla Napoli bassoliniana. L’unica nota stonata della serata è l’apertura con la musica di Giovanni Allevi, che magari ha fatto rivoltare nel sofà di casa Uto Ughi (“La sua musica mi offende!”, da Panorama del 19/02/2009). Insomma, la musica è tornata protagonista del festival, senza risparmiare a Bonlis la grana del televoto “truccato”. Il mistero a Sanremo fa parte della genetica della manifestazione. Vecchie leggende ci riportano indietro all’Ariston del Pentapartito, nel Belpaese spartito tra socialisti e democristiani, dove si investivano soldi per comprare schedine Totip e stravolgere all’ultimo minuto la classifica dei vincitori.