8 marzo, festa della donna: Volevo raccogliere un mazzolino di mimose a L’Aquila

Volevo fiondarmi per le strade diL’Aquila e raccogliere un mazzolino di mimose per questo 8 marzo. Non era una scusa per allontanarmi da Milano e dal solito tamtam, ma il desiderio di riflettere sulla festa delle donna nel capoluogo abruzzese.
Che illuso sono stato. Neanche il tempo di tracciare un itinerario decente che mi ricordo in che Paese io viva: una parte dell’Italia che sa come lavarsi le mani sottobanco, dopo che un terribile sisma ha seppellito i sogni e gli averi di tutta una comunità.

A tre anni dal terremoto che ha messo in ginocchio l’Abruzzo, pensavo di calpestare prati fioriti e invece ci sono macerie. La primavera non arriverà neanche questa volta. E se provassi a scavare come un forsennato, perché mai dovrei trovare l’ultimo ciuffetto di mimosa?
Mi affaccerò nelle case sventrate per raccogliere ritagli di diario delle donne che sono state vittime del terremoto: mamme che scrivevano di come fosse complicato restare punti di riferimento per i figli ; mogli in attesa che i mariti, vittime della scappatella maledetta, tornassero al nido per ammettere che l’amore vero dormiva ancora sotto le lenzuola rinnegate; nonne dagli occhi lacrimanti persi negli scatti di gioventù; bambine, a ridosso dell’ultimo respiro, schiacciate sul volto sfigurato delle proprie bambole di pezza; studentesse universitarie sul terzultimo ripasso prima del grande esame.

Mi sento un uomo inutile in questo 8 marzo. Oggi, spalancando la finestra sotto il cielo di L’Aquila, non vedremo il manto di rose rosse germogliato al posto della memoria oltraggiata. Accadrà tutto sotto le macerie.

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