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Ciascuno di noi è stato terremotato almeno una volta nella vita

terremotati

rosario_pipolo_blogCiascuno di noi è stato terremotato almeno una volta nella vita. Chi più, chi meno, perché questa diventa una condizione dell’essere che va oltre un sisma. Dalle mie parti lo fummo dopo il terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980. Nel napoletano ce la cavammo con crepe nelle mura di casa e noi bambini riuscimmo a mettere in salvo l’unico bottino dell’infanzia, la scatola di giocattoli che numerava una per una le nostre Befane.

Ciascuno di noi è stato terremotato almeno una volta nella vita. I miei coetanei di allora furono seppelliti sotto le macerie di Sant’Angelo dei Lombardi – sarebbero potuti essere i papà e le mamme dei bimbi dell’Amatrice o della Norcia di oggi – e quello sterminato fazzoletto di terra della Campania fu condannato ad essere per anni landa desolata uscita da bombardamenti.

Ciascuno di noi è stato terremotato almeno una volta nella vita. Quando le scosse di assestamento andarono scemando e ci fecero dimenticare la nostra condizione di precarietà, iniziammo ad additare come “terremotati” il flusso migratorio che da Napoli si era trasferito in provincia.
Ancora oggi in paese li chiamano quasi con disprezzo “i terremotati”, perché ai paesani integralisti e leghisti del Sud non è mai andata giù l’invasione del territorio e dei castelli di cemento dei palazzinari locali.

Ciascuno di noi è stato terremotato almeno una volta nella vita. Io mi sono sentito terremotato decenni dopo in visita alle zone del sisma dell’Irpinia: c’erano ancora le baraccopoli con la gente in attesa di una casa in contrasto con le ville con piscina o le superstrade su misura nell’avellinese, che i feudatari della vecchia e ingorda Balena bianca si erano fatti costruire con parte dei finanziamenti mai giunti agli sfollati.

Ciascuno di noi è stato terremotato almeno una volta nella vita. Io mi sento ancora terremotato oggi ascoltando il sermone radiofonico di un vecchio prete stantio e indiavolato: “Il terremoto nel Centro-Italia è il castigo di Dio per le unioni civili”.

Ciascuno di noi è stato terremotato almeno una volta nella vita, chi più, chi meno.

Cara Amatrice, mi fa tremendamente orrore…

disegnorosario_pipolo_blogMi fa tremendamente orrore tornare dal Giappone, un Paese che fatto della prevenzione un cardine della sua civiltà, e trovarmi nell’Italia ferita dal terremoto micidiale di Amatrice.

Mi fa tremendamente orrore osservare ai funerali di Stato le stesse facce provenienti dalle fila delle istituzioni che hanno consentito, sottobanco, che si speculasse sulla vita della gente.

Mi fa tremendamente orrore riprendere la vita di tutti i giorni nell’Italia fatta da sciacalli che costruiscono case e scuole di cartone, senza vergogna, in una penisola sismica come la nostra.

Mi fa tremendamente orrore appoggiare gli occhi su queste bare, riascoltando il playback dei medesimi sermoni che le istituzioni hanno tirato fuori dopo i recenti terremoti di L’Aquila e Finale Emilia.

Mi fa tremendamente orrore pensare di appartenere a questa Italia che, senza un minimo di vergogna (dimenticavo che anche quest’ultima stata barattata tra le fila dei corrotti), si è disfatta del ricordo degli angeli di Umbria e Marche del sisma del ’97 o dei bimbi dello sfacelo di San Giuliano di Puglia, in Molise, del 2002.

Mi fa tremendamente orrore vederli sfilare con gli elmetti e quell’aria spavalda da campagna elettorale, perché questo Paese non ha più bisogno del cliché del presidente operaio e dei suoi simili.

Mi fa tremendamente orrore pensare che ci saranno altri sismi di questa portata e noi saremo impreparati, perché abbiamo permesso a miserabili assassini di più generazioni politiche di sperperare il nostro denaro pubblico.

#Laquilasiracconta e il coraggio di cinque videomaker italiani

Rosario PipoloAbbiamo memoria corta in Italia e ne siamo consapevoli. I social network come Facebook ci ricordano “il selfie cazzuto” scattato esattamente un anno prima e gli algoritmi stritolano la reminiscenza legata allo storytelling della catastrofe finita nel dimenticatoio.

A sei anni dal terremoto di L’Aquila, il capoluogo abruzzese, oltre a piangere le vittime finite sotto le macerie, subisce e patisce il dramma di una ferita aperta ancora. Se una parte della politica italiana sfruttò la tragedia a livello mediatico per fare ai tempi campagna elettorale, oggi si sa poco o niente.

Una comunità si ricostruisce anche facendo in modo che le sequenze di un documentario siano il riflesso  della voglia di ricominciare. Aldo Ricci, Paolo Baccolo, Riccardo Andreaus, Fulvio Greco ed Emanuel Paliotti, cinque talentuosi videomaker italiani, si sono messi insieme per portare avanti il progetto #Laquilasiracconta.

Il mese scorso le loro videocamere hanno iniziato ad invadere L’Aquila per raccogliere testimonianze, storie di vita, ricordi che faranno parte di una serie di videoclip, disponibili sul sito Laquilasiracconta.com. I cinque moschettieri videomaker ricuciranno il girato che, nell’aprile del 2016, diventerà un docufilm, seguendo le orme di un giornalismo d’inchiesta che ahimè in Italia diventa ogni giorno una rarità.

Leo Longanesi scrisse: “Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione”. Questa riflessione affila nel suo sarcasmo un aspetto tragico del nostro Paese, rimasto immutato nel tempo. Purtroppo non solo gli aquilani sono vittime di questa arretratezza culturale che serpeggia in Italia e che sa come farci sentire, di fronte all’ennesima tragedia, mediocri sbandieratori di inciviltà.

Terremoto in Emilia-Romagna: La sicurezza si paga con il sangue

La prima nozione di geografia appresa alle scuole elementari fu: L’Italia è un paese sismico ed quindi soggetto a terremoti”. Questa pappardella mise la pulce nell’orecchio a tutti gli scolaretti che come me vissero il disastroso sisma dell’Irpinia del 1980. Io fui un bambino fortunato rispetto a tanti coetanei: la mia casa subì soltanto qualche lesione e non ci furono vittime tra i miei familiari.

Vivo in un paese smemorato e di questo ne sono consapevole ogni giorno che passa. Ci piangiamo addosso? All’occorrenza. Non sono bastati i campanelli d’allarme degli ultimi trent’anni – i terremoti in Umbria, Marche, Molise e Abruzzo – a farci prendere coscienza di prevenzione ed intervento.

Nei giorni bui che stanno facendo tremare l’Emilia-Romagna, sarà tornata agli ambientalisti la pappardella fatta inghiottire dalle nostre maestre e continuano a civettare per la messa in sicurezza del suolo italiano. Ci vorranno 15 anni, giusto la metà del tempo che i precedenti governi hanno utilizzato per sperperare soldi e portare avanti opere pubbliche inutili. Senza contare il peso sulle coscienze dei vecchi gendarmi della Prima Repubblica, che misero i terremotati dell’Irpinia per vent’anni tra le mura impietose di una baraccopoli, mentre loro se la spassavano in ville lussuose.

Infine, però lasciamoci con un appunto in merito a “la sicurezza”: il buio era già oltre la siepe quando gli operai sono tornati sul posto di lavoro e hanno trovato la morte. Non era stato fatto alcun controllo sull’agibilità delle strutture dove erano in corso attività produttive. E non raccontiamoci frottole: chi è tornato a lavoro lo ha fatto per scacciare il terrore di restare disoccupato ancora una volta ed essere vittima dell’ennesimo ricatto sociale.
Sembra azzeccata la riflessione di John Lennon: “Lavoro è vita. E senza quello esiste solo paura ed insicurezza”. E questa volta per aiutare i terremotati dell’Emilia-Romagna non basterà un sms da 2 euro o acquistare una forma di Parmigiano che stava andando a male. Gli aquilani ne sanno qualcosa.

Il diario di Mascia del terremoto in Emilia-Romagna:”Pensavo di morire!”

Una foto del municipio di S. Agostino scattata alle 6 di questa mattina

Alle 4.05 una forte scossa di terremoto ha messo in ginocchio l’Emilia-Romagna. Paura anche nelle regioni vicine, inclusa la Lombardia dove la terra ha tremato. Mascia L., educatrice, lascia sul nostro blog un ritaglio di questa notte terribile, vissuta a pochi chilometri da Finale Emilia, l’epicentro. Questa è una foto del municipio di Sant’Agostino scattata alle 6 di questa mattina. Se avete altre testimonianze, lasciatele pure su questo blog.

Abito a Renazzo, una frazione di Cento, in provincia di Ferrara. Sono praticamente a 6 chilometri dall’epicentro. Alle 4 ero a letto che dormivo. La scossa e il boato sono stati fortissimi. Si è mosso il letto, si sono aperte le ante degli armadi, in tre secondi siamo scesi al piano terra e per le scale non tenevo l’equilibrio, sbattevo a destra e sinistra.
Sono caduti i quadri, un lampadario, tutto ciò che c’era sulle mensole. E’ andata via la luce qualche secondo. Ci siamo riversati in strada, ma la terra continuava a tremare. Saranno stati quasi 20 secondi.
Dopo una mezzoretta ci sono state altre piccole scosse. Nel giardino dei miei vicini c’è una crepa che va da parte all’altra. L’hanno vista crearsi sotto i loro piedi. Mi sono sentita completamente impotente. Sembrava che la terra si volesse sollevare.
Una paura del genere non l’ho mai provata in tutta la mia vita. I telefoni non funzionavano, per cui sono corsa a Cento dai miei genitori. Stavano bene e li ho trovati per strada. Abbiamo fatto un giro intorno. La chiesa qui di fianco è mezza crollata. Due aziende ad una manciata di chilometri da casa mia si sono accartocciate. E pare che ci siano tre morti in una delle due.
Per fortuna la mia casa è antisismica e non ci sono danni. La paura è tanta ancora. Continuiamo a stare per strada ”.
   (Mascia L.)                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

8 marzo, festa della donna: Volevo raccogliere un mazzolino di mimose a L’Aquila

Volevo fiondarmi per le strade diL’Aquila e raccogliere un mazzolino di mimose per questo 8 marzo. Non era una scusa per allontanarmi da Milano e dal solito tamtam, ma il desiderio di riflettere sulla festa delle donna nel capoluogo abruzzese.
Che illuso sono stato. Neanche il tempo di tracciare un itinerario decente che mi ricordo in che Paese io viva: una parte dell’Italia che sa come lavarsi le mani sottobanco, dopo che un terribile sisma ha seppellito i sogni e gli averi di tutta una comunità.

A tre anni dal terremoto che ha messo in ginocchio l’Abruzzo, pensavo di calpestare prati fioriti e invece ci sono macerie. La primavera non arriverà neanche questa volta. E se provassi a scavare come un forsennato, perché mai dovrei trovare l’ultimo ciuffetto di mimosa?
Mi affaccerò nelle case sventrate per raccogliere ritagli di diario delle donne che sono state vittime del terremoto: mamme che scrivevano di come fosse complicato restare punti di riferimento per i figli ; mogli in attesa che i mariti, vittime della scappatella maledetta, tornassero al nido per ammettere che l’amore vero dormiva ancora sotto le lenzuola rinnegate; nonne dagli occhi lacrimanti persi negli scatti di gioventù; bambine, a ridosso dell’ultimo respiro, schiacciate sul volto sfigurato delle proprie bambole di pezza; studentesse universitarie sul terzultimo ripasso prima del grande esame.

Mi sento un uomo inutile in questo 8 marzo. Oggi, spalancando la finestra sotto il cielo di L’Aquila, non vedremo il manto di rose rosse germogliato al posto della memoria oltraggiata. Accadrà tutto sotto le macerie.

Come fare per donare soldi ad Haiti

Il terremoto ad Haiti è stato devastante e  fanno sapere dall’altra parte dell’oceano “non mandate coperte, perchè qui servono soldi”. Ognuno di noi può dare il suo piccolo contributo per aiutare le popolazioni colpite. La Caritas Italiana, molto attiva sul territorio, raccoglie contributi attraverso il C/C postale n.347013 (causale: emergenza terremoto Haiti), mentre l’Unicef, oltre al C/C postale 745.000 (causale: emergenza Haiti), ha messo a disposizione  il numero verde  800745000. Per chi vuole farlo attraverso la Croce Rossa il modo più semplice è il numero verde 800.166.666 o un sms dai numeri Wind e 3 al 48540. Per Agire, che unisce le organizzazioni non governative più note, vi segnalo le donazioni on line o il conto corrente postale n. 85593614 (causale Emergenza Haiti), mentre per Medici senza Frontiere sito o c/c postale 87486007 (causale Terremoto Haiti). Infine, vi segnalo anche le iniziative di solidarietà del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Uniti e la Fondazione Rava.  Se avete altri canali minori attendibili di raccolta fondi, segnalateli pure lasciando un commento a questo post.

Terremoto in Abruzzo, si dimetta Bertolaso

terremoto150In Italia siamo pronti a piangerci addosso quando il guaio è fatto. Il terremoto in Abruzzo è sicuramente un altro brutto colpo che riporta a galla una nozione dimenticata. Io me la ricordo ancora la mia maestra in cattedra a ribadire che “l’Italia era un paese sismico”. C’è stato qualcuno a ricordarcelo per evitare la catastrofe ed è stato pure denuciato. E’ un paradosso in stile Belpaese da far rabbrividire. Giampaolo Giuliani, ricercatore sul Gran Sasso, aveva annunciato un “sisma disastroso” e il capo della protezione civile Guido Bertolaso lo aveva etichettato tra “gli imbecilli che si divertono a diffondere notizie false” (la notizia è sul Corriere.it del 6 aprile).  E’ davvero grave se un terremoto si può prevedere e non si fa niente per tutelare i cittadini, nemmeno in un disastro di così larga misura. Mentre l’Abruzzo piange le vittime, l’Italia dovrebbe indignarsi di fronte a questa vicenda spiacevole  e il capo della protezione civile chiedere le dimissioni. In un paese civile succede così, ma nel Belpaese cialtrone la tendenza è incollare “il culo” sulle proprie poltrone.

23 novembre 1980, l’Irpinia trema

Il 23 novembre 1980 era una domenica. Abbiamo avuto il tempo di aspettare mio padre per cena. Alle 19.25 la terra ha iniziato a tremare con prepotenza, mentre io e mia sorella vedevamo i giocattoli saltare da un punto all’altro della nostra cameretta. Mio padre ci ha collocati sotto l’arco di una porta, ma non mi sono reso conto che la nostra vita era in pericolo. In quel preciso momento, l’Irpinia, la parte centrale della mia regione, veniva seppellita da un catastrofico terremoto. Per fortuna a Napoli i danni sono stati contenuti, mentre migliaia di persone sono rimaste senza tetto per tanti anni, piangendo il lutto di una tragedia mai dimenticata. Da allora il 23 novembre alle 19.25 mi fermo in silenzio: ricordo, prego, rifletto. Mi sono messo alla ricerca di “una preghiera laica” e l’ho trovata nei versi di un’intensa pubblicazione: Irpinia chiama del poeta Guerino Levita. Ho avuto la fortuna di conoscerlo in una scuola media di Acerra, in provincia di Napoli, in una mattinata autunnale del 1986. Mi ha donata una copia del libro, da cui non mi sono più separato. Levita è un poeta da antologia, la cui scrittura semplice e immediata raggiunge un impatto emotivo davvero sorprendente. Attraverso quelle poesie mi sono cucito addosso piccole storie tra l’amicizia di un cane e un bambino o i piccoli sogni di alcune ragazze di Sant’Angelo dei Lombardi. Ho capito quanto fossi stato fortunato a ritrovare i miei giocattoli allo stesso posto. Ancora oggi, sarò puntualmente con le pagine di Levita tra le mani per frugare in quel ricordo e per convincermi sempre di più che cantori come “il poeta di Acerra” non hanno bisogno di popolarità editoriale, ma di lettori predisposti a raccogliere lapilli di memoria, per non dimenticare.