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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Facebook e la sindrome ossessiva del “Mi Piace”

Ognuno ha le sue ossessioni e Internet ci vizia con quelle mode che possono diventare manie. E’ la volta del “Mi piace” facebookiano. I guru dicono che ha cambiato il nostro modo di comunicare, il termometro del business esulta perché misura i nostri gusti, e noi ci sentiamo inorgogliti quando li vediamo moltiplicarsi sulle nostre pagine di Facebook. Nei giorni della Seconda Repubblica di Internet, quella della democrazia dei social network, abbiamo ridotto e mortificato l’indipendenza e la libertà del nostro pensiero in nome dell”iconografia di “un pollice  all’insù”. Insomma il nostro punto di vista è stato stritolato nella riduttiva sintesi della nostra sacrosanta opinione.
I malati della “sindrome del Mi piace” si stanno infiammando nel falò della vanità. Una volta ce ne andavamo in giro a raccogliere pensieri per capire di che pasta fosse fatta la gente. Oggi spalanchiamo la finestra del pc e pensiamo di aver capito tutto dell’altro attraverso la collezione dei “mi piace”, impigrendoci pure a buttar giù un commento decente. Come se poi chi facesse il famigerato clic con la manina su un nostro pensiero, lo avesse realmente letto o compreso! Per la maggior parte è un modo per farsi notare, per manifestare simpatia. Chiediamo pure agli strizzacervelli del web se abusare del “Mi piace” sia una scorciatoia per amplificare un confine, quello tra il personaggio virtuale, convinto di aver seppellito le proprie frustrazioni, e quello reale, colpevole di aver consegnato le insoddisfazioni quotidiane all’agorà finta di Internet.
Durante una recita scolastica del ’78, mi chiesero perché avessi scelto come partner la mia compagna di banco. Io, alzandomi sulla sedia, declamai: “Mi piace perché ha gli occhi a mandarla, il nasino all’insù e divide merenda con me”. Mi avevano insegnato a motivare la mia opinione.Voglio tornare ad esprimere il mio assenso o dissenso perchè penso, senza quel maledetto dito all’insù. E’ ora che il “Cogito, Ergo sum” cartesiano non prenda più sviste, scivolando sul chiacchiericcio della rete.

Il diario del blogger e giornalista Rosario Pipolo sul quotidiano francese Le Corse-Matin

Dopo 16 anni di attività giornalistica, condivido questo traguardo con tutti i miei lettori. Il quotidiano francese Le Corse-Matin pubblica il mio diario di viaggio in Corsica, il mio primo articolo scritto in francese. E il mio pensiero va ad un pezzo della mia famiglia che vive a Tolone nel Sud della Francia e alla memoria delle mie zie Santina e Lilina. Spero che anche gli angeli possano leggere il giornale…

Federico e la Cicogna, in viaggio verso la vita

La cicogna uscì di buon mattino quella domenica di giugno. Venne giù dalle Dolomiti e il tempo era poco propizio. Il suo viaggio iniziò tra fulmini, temporali e acquazzoni. Appena il bambino le starnutì in faccia, lei sorrise: “Non preoccuparti Federico, entro le nove di domani mattina sarai tra le braccia di tua mamma”. Fino alla Toscana tutto filò liscio, ma il primo contrattempo spuntò ad Orvieto dove fu fermata dai carabinieri per aver bevuto un bicchierino di troppo. E la mamma da Napoli replicò: “Azz !!! Alza pure il gomito ‘sta cicogna! Speriamo che non arrivi tutta ‘mbriaca”. Alle porte del Lazio, la cicogna e il bimbo dovettero fare un atterraggio di emergenza perché pioveva a dirotto. E la mamma tirò un sospiro di sollievo: “Meno male, va’! Così mi dà il tempo di organizzare le ultime cosette”.
Dopo aver ripreso la sua missione, nei paraggi del raccordo anulare di Roma, la cicogna fu multata per eccessi di velocità. E il papà di Federico urlò, facendosi sentire da tutto il palazzo: “Non mi mandate le multe, che io non le pago!”. Arrivata in Campania, cambiò direzione improvvisamente, dirigendosi verso Mondragone. Si fece afferrare per pazza: “Prima della consegna, una mozzarella di bufala non me la toglie nessuno”. Pochi istanti dopo, si fece consigliare dalla ragione, facendo un’inversione verso Sessa Aurunca: “E se mi viene il cagotto dopo tutta ‘sta burrata che ho mangiato stamattina prima di partire? – disse tra sé e sé – Rinuncio alla mozzarella”.
Dopo una luna sosta al passaggio a livello di Villa Literno – era incazzata nera perché il treno locale Roma-Napoli l’aveva superata – sorvolò il litorale domitio e svolazzò beata tra Cuma e Pozzuoli. Anzi, per fargliela pagare a quel maledetto autista indisciplinato, lasciò che il bimbo gli facesse addosso una piccola “cacatella”.
Giunta sul Vesuvio, dopo esserci incantata planando sul Golfo di Napoli, trascorse  lì l’ultima notte assieme a Federico. Poi gli sussurrò: “Ricorda che non sarà il posto dove nascerai a fare la tua persona. Al di là dell’amore delle persone vere che ti saranno accanto, sarai sommerso da tante ipocrisie. Ti sbaciucchieranno in tanti che si credono poeti e invece sono dei miserabili; o quelli che si fanno chiamare Maestro e invece sono dei sepolcri imbiancati; quelli che avranno la presunzione di dirti cosa devi fare. Tu ascolta solo la voce del tuo cuore, della tua coscienza. Viaggia e conosci. E spero che questo viaggio condiviso ti resti addosso, anche quando ti affaccerai alla vita. Caro Federico, questo è il mio ultimo viaggio, vado in pensione. Sono invecchiata anche’io. Non ti dimenticherò mai. E spero che quando un giorno diventerai papà e la tua amata aspetterà la cicogna, ti ricorderai della tua Rosilde. Sì, io mi chiamo Rosilde ed ho portato a destinazione centinaia di bimbi”.
Dicendo queste bellissime parole, la cicogna fece il passaggio di consegna, affidando il bimbo a Martin, il suo angelo custode. Poi, alzand0 lo sguardo al cielo, disse: “Signore, il mio ultimo viaggio è stato compiuto. Dona alla mamma di questo bimbo la forza per allevarlo, consegna nella mani del papà la costanza di sostenerlo in qualsiasi momento. E a me,cicogna da una vita, fammi ritrovare sulla via del ritorno tutti quei bimbi che in questi 32 anni ho consegnato”. La cicogna ripartì e il buon Dio ordinò all’angelo custode: “Vai Martin, è giunta l’ora. Spingilo verso la vita e fallo diventare un bambino vero. E’ lui Federico!”. Martin Rispose: “Signore, l’anestesista è in ritardo. Cosa faccio?”. E il Signore irritato replicò: “A Napoli mi fanno sempre diventare furibondo. Negli ospedali è sempre la stessa storia”. Federico è nato il 21 giugno poco dopo le 10 e sul viso aveva il sorriso dell’estate. Mentre la cicogna Rosilde era in fila all’Inps per verificare i suoi contributi, il buon Dio la fermò: “Non puoi andare in pensione, cara Rosilde. Ho scoperto che sei la stessa cicogna che il 12 aprile di tanti anni fa consegnò Ada, la mamma di Federico, ai suoi genitori. C’è un incantesimo in atto che passa di generazione in generazione. E deve continuare”*.

(*) La fiaba è stata scritta da R. Pipolo in maniera estemporanea e pubblicata a puntate sulla bacheca di Facebook della mamma di Federico Luigi dalle 19.43 del 18 giugno alle 10.15 del 21 giugno 2010.

Ciao Berselli, mi mancherà il tuo giornalismo ironico

Chi vuole fare il giornalista con i tempi che corrono, deve essere prima di tutto un lettore arguto. Non ho incrociato Edmondo Berselli, scomparso ieri in sordina, né nei corridoi di una redazione né nei soliti salotti letterari. L’ho incontrato diversi anni fa sulle pagine del settimanale L’Espresso. La sua penna ironica girava come una trottola, passando con nonchalance dalla politica alla cronaca, dal costume alla televisione. Berselli, classe 1951, è stato un giornalista intelligente, che si è saputo adattare ai tempi e agli spazi: lui era a suo agio anche quando le misure della pagina era di pochi centimetri quadrati. E’ stato tra i pochi ad anticipare sulla carta stampata un appassionato stile da blogger perchè “la passione” è l’unica ancora di salvezza dall’arroganza degli editori. Mi mancherà Edmondo Berselli perchè Internet sta cementificando e omologando questo mestiere, che diventa sempre più amorfo sotto le ascelle dell’improvvisazione. Il cinema non è fatto solo di grandi attori e registi, ma anche di produttori, così come il giornalismo anche di editori, a volte distratti, spesso incapaci di varcare, nella giusta misura, i confini del cambiamento. La scrittura di Berselli è una gran bella lezione di stile e oggi, da lettore, non posso che rimpiangerla.

Santoro il Re-Rai per una notte nell’Italia della censura

Meno male che è finita la campagna elettorale e da stasera in tv tutto torna alla normalità. Ahimè, dobbiamo rivedere Bruno Vespa e il suo salottino per commentare i risultati elettorali, ma facciamocene una ragione. Del resto l’Italia è tornata a censurare come negli anni cinquanta del secolo scorso, sotto il regime democristiano, dove se non eri allineato erano davvero “cacchi” amari. Michele Santoro ha alzato il polverone dopo la contestata decisione di oscurare i talk show nel periodo della campagna elettorale. La Rai accetta le regole, ma Santoro e pochi altri non ci stanno. Così è spuntato l’evento mediatico anti-censura. Raiperunanotte, in poche parole Annozero show dal Paladozza di Bologna, ha fatto boom di ascolti, tra web, emittenti locali e Sky Tg 24. Michele Santoro buca lo schermo, mentre i duetti tappabuchi da palinsesto non funzionano – Dalla & De Gregori revival – perchè non è vero che la jeunesse italiana è disinteressata alla politica e al futuro del Paese. L’uragano Santoro-Luttazzi ha avuto il suo effetto, mentre i risultati elettorali potrebbero essere scapigliati da un voto di protesta. Quello che molti giovani e i blogger di frontiera potrebbero dare a Beppe Grillo, un’altra vittima della censura. Esiste o no ancora il diritto di manifestare in Italia? Mi pare di no: la settimana scorsa dinanzi al Vaticano, la polizia ha bloccato la protesta dell’Associazione delle vittime americane dei preti pedofili. Pardon, dimenticavo che quello è “un altro Stato”!

iPad, Apple e la nuova frontiera del giornalismo on line

Fino all’altro ieri Apple era un brand di nicchia. Ieri ha imposto una filosofia di vita tra iPod e iPhone. Oggi l’iPad (499$), il tablet touchscreen del profeta  Steve Jobs, trasforma Apple in una religione monoteista con un comandamento che non si discute: “Non avrai touchscreen all’infuori di me” perchè le altre due divinità, IBM e Microsoft, sono state cancellate dalla Bibbia dell’informatica. Quella dell’apostolo visionario Jobs è stata una crociata e l’iPad, a metà tra un iPhone e un notebook, potrebbe essere la rivoluzione di Gutenberg del XXI secolo. Infatti, il “giocattolo diabolico”  accelererà la disfatta dell’editoria tradizionale e aprirà una nuova e più pericolosa frontiera del giornalismo on line. Dico più pericolosa perchè sarà, nell’ottica degli addetti ai lavori, un vera e propria macelleria. Quale mercato o futuro avranno i giornalisti che si sono interstaditi a demonizzare Internet e a condannare blogger e colleghi, che hanno trasclocato sul web una decina di anni fa? Facciamoce una ragione: la carta stampata è già un feticcio romantico e sentimentale. Ora sono gli editori a correre dietro alla Apple – come si inserirà Google in questa rivoluzione copernicana? – perchè nessuna testata potrà rinunciare ad adattare le dimensioni allo schermo del tablet magico. La nuova frontiera frutterà a Murdoch il naufragio più rapido verso “la notizia a pagamento” e di certo gli editori italiani non se ne staranno a guardare, facendo finta di niente. Mi sono laureato nel 1998 e  la proposta di una tesi on line ha fatto innervosire il Preside di Facoltà. L’ho fatta franca e mi sono presentato con un desktop ingombrante a supporto delle mie convinzioni sull’evoluzione dei contenuti sul web. Se mi fossi laureato quest’anno, avrei chiesto a Steve Jobs di farmi da sponsor, per consegnare un iPad ad ogni membro della commissione. Cosa sarebbe stato leggere e commentare quelle trecento pagine di carta su un touchscreen! Pura stregoneria? Forse allora.

Corteggiare una ragazza ai tempi di Facebook

Non so se esista ancora il privilegio di “fare la corte ad una ragazza”. Lo ammetto: io non sono mai stato tra quelli che andava subito al sodo, perchè si croggiolava sui preliminari. Correvo il rischio che lei si stufasse e mi mandasse al diavolo! Fare il filo ad un ragazza un ventina di anni fa, in un paesotto di provincia del Sud Italia, significava gironzolare qua e là per capire cosa facesse durante il giorno: a che ora uscisse per andare a fare i compiti dall’amica, se frequentasse la piazza dove ritrovavi la combriccola il sabato sera, o se fosse il caso di offrirle un passaggio in motorino all’uscita da scuola.  Adesso c’è Facebook e anche noi trentenni siamo finiti stritolati nel social network. Il dilemma è un altro.  A che ora è in chat? E se ha il profilo invisibile? Questa si chiama “sfiga” da queste parti e “mala sciorta” al mio paese! Escluso l’utilizzo della bacheca – perchè gli altri dovrebbero sapere che lei ti piace un casino! – si cade nella tentazione di scriverle messaggi in posta. Scatta l’allarme: il testo dovrebbe essere massimo 300 caratteri spazi inclusi, mentre il tuo è una prosopopea. L’ultima spiaggia facebookiana è il poke (la paccata virtuale) o un appello disperato alla folla degli amici per un consiglio al volo: mollo o vado avanti?  E poi rispunta la solita massima wildiana, “Le donne vanno amate e non capite”, che in un certo senso si sposa con i saggi consigli di mia nonna Lucia: “Nun cagnà mai a via vecchia pa nov”.  Si ritorna alle vecchie maniere, sotto casa sua all’alba, con la speranza che esca in anticipo per portarla a fare colazione in un baretto lì vicino e canticchiarle la sua canzone preferita (l’ha pubblicata in bacheca con un video da YouTube). Male che vada hai fatto solo la figura del pesce lesso, vedendola uscire con un altro, il rivale facebookiano che la martellava in chat senza farsi troppe menate  (ecco perchè non rispondeva ai tuoi messaggi!). Ahimè, il più delle volte vince “l’abbordaggio sfacciato” e ti ritrovi come il povero Charlie Brown, che nelle strisce poetiche dei Peanuts tenta ancora di conquistare la ragazzina dai capelli rossi.

Aggressione Berlusconi: Internet è in pericolo?

A sentire i chioschi attorno a piazza del Duomo a Milano, pare che la vendita delle cattedrale in miniatura abbia subìto un’impennata. Dopo la disgustosa aggressione al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di domenica scorsa, c’è chi si porta a casa come souvenir una riproduzione dell’ “arma dell’assalto”, quella che ha trasformato l’anonimo Massimo Tartaglia in un personaggio del web. Augurandoci che la triste vicenda non diventi il soggetto di una lunga soap opera mediatica, va fatta una riflessione sul pericolo che corre Internet in Italia. Il Governo sta lavorando ad un ddl sulla rete, per evitare che prendano il sopravvento istigazioni contro la violenza. Si mette un freno così all’ascesa di blog e social network? Apprezziamo lo staff di Facebook per aver oscurato quei gruppi e quelle pagine di cattivo gusto, chiunque fosse stato il soggetto del bersaglio! Tuttavia, questi giorni di tensione – che non sono minimamente paragonabili a quelli degli Anni di Piombo –  non possono ricadere su l’ultima spiaggia di “democrazia” e “libertà” di una comunità globale: Internet. Perché dovremmo pagare tutti  per  le offese di qualche testa calda? Per fortuna sul web ci sono ancora blogger e utenti che manifestano dissenso con decoro, senza infangare o demonizzare nessuno.  L’appello di Pierferdinando Casini è lucido: “Mettere le mani su Internet è pericolosissimo”. In Italia, Internet non ha bisogno né di filtri né di censure, ma siamo noi a dover essere meno arroganti, tutti, senza distinzione.  Un pensiero è volgare o offensivo in qualsiasi modalità:  strillato attraverso un megafono, per mano di un graffitaro sul muro dietro casa nostra, in grassetto nel sottotitolo di un quotidiano  o sceneggiato in un salotto televisivo. E Internet non può essere il capro espiatorio! 

Facebook, sia febbre da telefonino!

L’oracolo Censis ha detto la sua. Il 2009 è l’annata dei social network e gli italiani mostrano un attaccamento morboso per Facebook con quasi il 62% di adesione. Potrebbe essere una moda passeggera secondo i disfattisti del Belpase: i social network tolgono tempo alla lettura. Questa cantilena va avanti da una vita e, ai tempi del mio liceo, dicevano che i videogame sottraevano tempo a cose più utili, leggere appunto. Sappiamo che non siamo “un popolo di lettori” e  mi sono convinto che le demonizzazioni servono a poco. La crociata contro Facebook è partita da un pezzo, senza contare che i social network hanno convertito al Pc persino quelli come mio cugino Massimiliano, che fino all’altro ieri sogghignava: “Che caspita ci faccio con quel mostriciattolo tecnologico”. A questo punto la riflessione è un’altra. Facebook sta già vivendo una seconda giovinezza, ma sui cellulari degli italiani. Ammettendo che siamo allergici all’innovazione, traghettiamo pure l’utilità di Facebook e simili sul mobile. Persino i nostri operatori telefonici lo hanno capito: Wind vi offre 50 ore al mese di connesione al costo di 9 euro,  in una versione smart per la vostra ricaricabile. A Natale manderemo in soffitta gli sms e tutte le promozioni ad essi legati? Sempre connesso, perchè no! Senza diventare vittime di un’ossessione,  può essere stimolante  confrontarsi con conoscenti o amici geograficamente “lontani”. E’ ora che il termometro del grado di “socializzazione” cambi unità di musura!

Stalking, se lo conosci lo eviti!

Stalking telefonico

Rosario PipoloDa ragazzino sono rimasto colpito da una notizia di cronaca locale: un uomo ha iniziato a martellare di telefonate e a pedinare l’ex compagna perché voleva ritornare con lei. Quella volta di mezzo c’era una figlia. Nei primi anni ’80 il termine stalking assomigliava più a un residuo di un film di fantascienza che al reale significato: perseguitare in inglese. In questi giorni se ne torna a parlare perché il Ministero delle Pari Opportunità ha lanciato la campagna di comunicazione per promuovere il numero gratuito antiviolenza e antistalking 1522 (attivo 24 ore su 24) con lo slogan “quando le attenzioni diventano persecuzioni”. Una volta c’erano le lettere anonime, le telefonate sul fisso o i pedinamenti sotto casa. Adesso lo stalking si adegua ai tempi del villaggio golbale tra squilli dal cellulare, fastidiosi sms e email, nonché raggiri sui social network. Lo stalker, che oggi rischia da sei  mesi a quattro anni di reclusione, monitora la tua pagina di Facebook o chiede agli amici virtuali in comune di diventare suoi complici.  Credo che l’allarme non debba scattare quando si arrivi ai casi estremi (l’uomo che ha accoltellato l’ex moglie davanti a un asilo nido di Milano), ma è necessario un intervento preventivo. Ci sono diversi livelli di stalking, di cui alcuni anche inconsapevoli, ma insopportabili per la vittima. La campagna di comunicazione voluta dalla Carfagna mi lascia perplesso su un punto: perché porre l’accento sulla donna preda proprio adesso che crescono le segnalazioni di uomini tra le vittime dello stalking? E’ difficile ammetterlo, ma anche il gentil sesso può essere rapace!