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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

19 marzo, di papà ce n’è uno!

Non mi ricordo più di chi sono figlio, nel marasma delle famiglie allargate, dei papà che vanno e vengono, nel boom di divorzi e separazioni. Oggi potrebbe essere il legittimo dubbio di un figlio, sì o no? La Festa del Papà se l’è inventata una ragazza americana più di un secolo fa per omaggiare il proprio genitore e così anche l’Italia ha pensato bene di importarla con qualche adattamento in “cattolico style”. La data? il 19 marzo, scomodando dal calendario dei santi il falegname Giuseppe! Penso quanto sia dolorosa questa ricorrenza per chi non ne abbia mai avuto uno. All’asilo avevo un compagno orfano e ricordo il suo viso quando preparavamo il lavoretto da portare al nostro papà il 19 marzo. Lui sorrideva appena la maestra Rosilde gli ribadiva che l’impegno non era inutile, perchè il suo papà lo avrebbe visto dal cielo assieme agli altri angeli. Affittare o noleggiare un papà, anche solo per la festa del papà, è un atteggiamento da evitare. Ho visto mariti e fidanzati che il 19 marzo si sono trasformati in damerini ossequiosi, aderendo al sacrilegio più grande: pronunciare questo nome sacro per il padre della propria compagna. Al Sud Italia accade spesso ed è quasi un obbligo sottinteso. Fa parte delle regole buone per sopravvivere schiavizzato nel clan della famiglia. C’è una minoranza di noi che si sottrae a questo rito, anche perchè un papà può essere associato a ideali, rivoluzioni,utopie e spesso ti ritrovi dinanzi a miserabili muri di gomma. Di papà ce n’è uno – il mio si chiama Antonio – ed io ho iniziato a chiamarlo papà quel dì che l’ho visto difendere i più deboli e i propri ideali e non di certo da posizioni comode. E’ stato un caso che in radio passavano Father and Son di Cat Stevens?

Grande Fratello, Mauro Marin e l’arte del salumiere

Fino a qualche settimana fa pensavo che l’arte del salumiere fosse quella di affettare bene prosciutto e salame. Poi mi sono ricreduto quando ho chiesto tre etti di mortadella e al banco di salumeria mi hanno pesato sulla bilancia “300 grammi” giusti. Caspita, mi sono detto, non sarà mica botta di culo come quella di Mauro Marin, il vincitore della decima edizione del Grande Fratello? Detestato dai compagni di sventura della misteriosa casa e salvato in corner dal famigerato Televoto (tutti lo odiano, ma alla fine tutti lo giustificano!), Mauro mi ha riportato in un flashback remoto, ai tempi dei Tariconi e delle bagnine ossigenate come Cristina. Anche loro costruiti a tavolino, si intende, ma almeno portatori di quella sfacciataggine che li rendeva più reali. Effetto “nostalgie” da prima edizione?  Sarà che non sono bipartisan, ma i salumieri mi stanno simpatici e avrei detto il contrario se nella casa ci fosse stato non so, un tassista o un ausiliare del traffico! Mauro del Grande Fratello è così grezzo e ruspantino da sembrare un verace “terronciello trevigiano”, che spero sappia affettare bene i salumi. Patti chiari e amicizia lunga: del Grande Fratello ne posso fare a meno, ma di una rosetta calda con la mortadella no! Mi resta un’inquietudine. Se avessi fatto un figlio nel 2000, oggi avrebbe la stessa età del reality show di Canale 5. Magari sarebbe stato figlio di una mamma con la psicosi da GF, che gli avrebbe detto: “Stasera a letto presto perchè devo capire come va a finire nella Casa”. I miei non mi hanno mandato mai a letto presto per un egoismo da tubo catodico. Anzi mio padre fingeva di coricarsi per farmi addormentare con una delle sue fiabe strampalate, inventate al momento. Ed è forse per questo che i Marin mi piace incontrarli tutti i giorni in salumeria, piuttosto che vederli scornarsi con gli altri inquilini nel regno del Grande Fratello! 

8 marzo, mimose per la “non” Festa della donna

La mattina dell’ 8 marzo non so se a mettermi più tristezza sono i ragazzi di colore, che cercano di venderti sotto la metropolitana un mazzetto di mimosa, o le macchinette automatiche in cui infili i soldi e ti restiuiscono il fiore simbolo della Festa della donna. Il business c’è e si vede. Chi fa il fioraio di questi giorni lo sa bene. La solita scusa: fa freddo, il trasporto, ce le fanno pagare a peso d’oro e compagnia bella. Al mio paese, i mariti di provincia, facevano a gara a chi usciva dalla bottega con il fascio più grande di mimose, ma pochi si chiedevano il significato di questo giorno. Mio padre era più “selvaggio” da questo punto di vista e andava a raccoglierle direttamente nei campi. Ogni anno l’8 marzo finisce al centro delle polemiche, e non sono poche le donne contrarie: “Alla faccia del nastro rosa, che festeggiamo a fare se poi ci prendono a calci nel sedere tutto l’anno?”, ha replicato un’amica. Io personalmente bandirei la Festa della Donna quando vedo eserciti di femmine, all’arrembaggio di carovane a forma di mega autobus, andarsene a fare le esibizioniste in giro per i locali. Mica il significato storico e sociale dell’8 marzo può ridursi ad un effimero atto goliardico? Ogni donna aspetta comunque il suo ramoscello di mimosa. Io confesso il mio peccato. Il mio cespuglio di mimosa ce l’ho nascosto nella tasca del giaccone, appassito magari, perchè non si sa mai che lei ti faccia la sorpresa, spunti alla fermata del tram e corra ad abbracciarti. Quella sì che è una donna, la tua e di nessun altro.

Jamme Ja, lettera aperta a Nino D’Angelo

Caro Nino,
ti scrivo questa lettera e mi scuso anticipatamente per l’approccio informale, che mi porta a darti del “tu”. Dare del “lei” a chi viene ed è rimasto sempre tra le gente mi sembra davvero inopportuno.  Ho apprezzato la tua polemica contro l’inciucio del Televoto al Festival di Sanremo. La tua canzone non meritava di essere eliminata. Per noi partenopei qui al Nord, “jamme ja” è diventato una sorta di sfottò bonario , che accompagna il nostro entusiasmo, il nostro parlare in faccia. E tu sei uno dei pochi in Italia che può permettersi di parlare senza peli sulla lingua. Chi ti etichetta come il ragazzo col caschetto che si veste con “‘nu jeans e ‘na maglietta” si è perso l’album decisivo della tua svolta: Stella ‘e matina. Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, deve perdonare la mia arroganza napoletana, ma quel pezzo non doveva proprio arrivare all’Ariston così come la tua Jamme ja non aveva bisogno di sottotitoli, perchè il sound la riportava direttamente ai tempi di Stella ‘e matina, quando l’ondulazione musicale rendeva più corposo il messaggio della parola. Siamo riusciti a liberarci delle fantomatiche schedine del Totip, quelle che decretavano i vincitori a Sanremo negli anni’80, e adesso vuoi vedere che non ci riusciamo con questo maledetto aggeggio elettronico chiamato Televoto? Il Business più del valore artistico? Il festival è finito, le polemiche si smorzeranno e noi staremo punto e a capo l’anno prossimo. Ti chiedo: perchè non può partire da te e da altri tuoi colleghi la battaglia verso questo modo scandoloso di scegliere una canzone? Sì, proprio da te che hai riportato in auge il vecchio teatro Trianon nel cuore della città di Napoli. La canzone napoletana è alla radice della canzone italiana, e tu che ne sei portavoce in Europa e nel mondo dovresti prendere in considerazione questa provocazione. Caro D’Angelo, per fortuna i nostri Principi sono altri, quelli come Totò, che hanno guidato il popolo nell’unica corte che dà un senso alla nostra esistenza, vicino alla filosofia eduardiana e non di certo a quella dei Savoia: il palcoscenico.

Da recapitare a
Nino D’Angelo
c/o Teatro Trianon Viviani
piazza Vincenzo Calenda 9
80139  Napoli

Sanremo 2010: fischiati i vincitori Valerio Scanu, Marco Mengoni, Pupo & il Principe

Siamo stati presi tutti per il sedere perché dietro il televoto non c’è il popolo sovrano. Le voci di corridoio che giravano tra gli addetti ai lavori erano profetiche ed io, poco prima delle 21, avevo pubblicato su twitter l’amaro tris finalista: Scanu, Mengoni, Pupo ed Emanuele Filiberto. Ho dato a Valerio Scanu e al suo brano la piena sufficienza, ma Tutte le volte che non era la canzone regina. Ed anche il pubblico dell’Ariston ha manifestato il dissenso per quella che sarà ricordata come l’edizione più contestata. Persino l’orchestra si è ribellata – sembrava di rivedere Prova d’Orchestra di Federico Fellini – all’annuncio che Malika Ayane, la reale vincitrice di Sanremo 2010, era fuori dal gioco. Possiamo continuare a protestare fino all’anno prossimo, ma Valerio Scanu, il pupillo di Maria De Filippi, è il vincitore del Festival di Sanremo per la categoria dei Big. Marco Mengoni, caduto nella trappola degli starnazzi effeminati, si salva comunque rispetto alla canzone-scandalo dell’Ariston: Italia amore mio, dichiarazione d’amore di un principe che vuole cancellare un passato ingombrante, all’ombra di una monarchia che ci ha mortificati, impoveriti, umiliati. Date alla musica quel che è della musica (Emanuele Filiberto ha fallito come politico e cantante), date alla storia quel che è della storia. E Ghinazzi, pardon Pupo, prima di farci il sermone dal palco dell’Ariston, dovrebbe mettere ordine nella memoria. Mentre su blog e social network, Facebook in testa, si scatena l’indignazione, protesto a voce alta ed invito ad alzare la mano chi è con me: o Sanremo cambia pelle, o quando sarà estinto il popolo della tv, noi del Web diserteremo, mettendo fine a questo rito. Siamo concordi tutti che questo è stato il Festival delle donne? Sul podio dovevano esserci Malika Ayane, Irene Grandi e Noemi. Così non è stato. Ogni anno viviamo con la speranza che le cose cambieranno, cercando di non farci travolgere dall’amaro cinismo. Dimentico che siamo in Italia e il Belpaese cialtrone resta la culla dell’inciucio, in politica come nello spettacolo. Lo Show deve continuare, ma è ora che qualcuno spenga i riflettori abbaglianti. Dobbiamo ritrovare il buio e, qualche volta, l’oscurità ci fa capire di chi siamo figli. Ed io mi vergogno.

La mia TOP TEN:

1. Malika Ayane

2. Irene Grandi

3. Noemi

4. Povia

5. Irene Fornaciari

6. Marco Mengoni

7. Simone Cristicchi

8. Nino D’Angelo e Maria Nazionale

9. Valerio Scanu

10. Enrico Ruggeri

Sanremo 2010, Tony Maiello scippa la vittoria a Nina Zilli

Castellamare di Stabia – la città che ha dato i natali a Raffaele Viviani ed Annibale Ruccello – sale sul podio del Festival di Sanremo con la vittoria di Tony Maiello nella categoria Giovani. Il timido cantante campano, sotto l’ala protettiva della scuderia di Mara Maionchi e le magie del Televoto,ha strappato con il brano Il linguaggio della resa la vittoria a colei che meritava lo scettro: Nina Zilli. Vince la melodia scontata, la canzonetta in puro stile sanremese che non ha niente a che fare con il “fattore X”. Maiello fa solo tenerezza, soprattutto quando il padre si fionda sul palco ad abbracciarlo e la serata si chiude secondo il copione della sceneggiata napoletana. Un 2010 che dimenticheremo in fretta perché quelle che dovevano essere le nuove promesse, si sono rivelate davvero un tonfo, a parte la Zilli con L’uomo che amava le donne e qualche timido accenno traversale tra gli esclusi Romeus e La Fame di Camilla. Il varesino Luca Marino può consolarsi perché sono convinto che la sua sarà il tormentone radiofonico dei prossimi mesi. Antonella Clerici e il suo Festival hanno maltrattato i giovani: io avrei mantenuto il tabù dell’inedito, mettendo in gioco più canzoni e dando più visibilità alla vera linfa dell’Ariston. Diciamocelo francamente: questo è il Sanremo dei Big, ma anche il Festival che si piega sfacciatamente ai ricatti del Televoto. Passano in finale Pupo ed Emanuele Filiberto tra i fischi della platea (che caduta di stile l’intervento di Marcello Lippi in loro difesa!), mentre tornano a casa Enrico Ruggeri (simpatico il duetto con i vecchi Decibel) e Fabrizio Moro. Quale brutta sorpresa ci aspetta dietro l’angolo? Lo sapremo stasera, ma io vorrei chiederlo al francese Bob Sinclair, il dj principe dello show di ieri sera.

Sanremo 2010 atto III: sconce magie da Televoto!

Non ci sto ai giochi di prestigio del Televoto. Che torni in gara Valerio Scanu (corre in aiuto Alessandra Amoroso!) mi può star bene, ma non accetto il rientro indesiderato di Pupo e Emanuele Filiberto, che hanno la canzone peggiore del Festival di Sanremo 2010. Una ventina di anni fa c’erano le cartoline del Totip che facevano balzare in vetta il peggio della musica italiana, e oggi ci risiamo. La terza serata è stata all’insegna del revival – bella la sequenza di immagini in apertura di 60 anni di Festival – ma con il solito ricatto. Io ti canto la vecchia canzone di Sanremo e tu mi fai promuovere il nuovo album, dalla Mannoia a Bennato. Noioso Cocciante, emozionante Carmen Consoli, strepitosa Elisa con il doveroso omaggio a Sergio Endrigo, ingiustamente dimenticato.  E questa nostalgia canaglia ha raggiunto l’apice con il ritorno in gara – tifavo per Nino D’Angelo e Maria Nazionale – di Pupo & il Principe, come se l’esilio dei Savoia dovesse essere cancellato dalla storia e clonarsi in uno stupido motivetto. Toc, toc! E i giovani dove sono finiti? E chi li ha visti che sono usciti dopo la mezzanotte, tanto da sostenere una scelta scandalosa: mandare in onda la registrazione dell’esibizione di Jessica Brando con il pretesto che era minorenne e quella era già ora di nanna. Scusate, ma i giovani non potevano cantare in apertura? Anche ieri sera la Nuova Generazione Sanremo 2010 ha deluso e così la spuntano Tony Maiello e “la virtuale” Jessica, a cui avrei rinunciato volentieri per Romeus e La Fame di Camilla. Lasciamo perdere Nicolas Bonazzi, figlio illegittimo di Massimo di Cataldo. Pardon, ho dimenticato di nominare Antonella Clerici almeno una volta. Basta e avanza.

Sanremo 2010 atto II: la delusione dei giovani

La seconda serata del Festival di Sanremo l’ho vissuta con un presupposto: Antonella Clerici e la sua goffaggine, farcita di carinerie, c’è e dobbiamo farcene una ragione. Assillo galoppante: perchè questa sessantesima edizione non ha una sigla originale (dobbiamo rimpiangere i tempi del Baudismo?) e ieri abbiamo ricorso alla colonna sonora di Forrest Gump? Misteri della direzione artistica. Ieri a farla da madrina di casa è stata la regina Rania di Giordania con la sua eleganza e savoir faire. E le canzoni? Quest’anno c’è una controtendenza. I giovani hanno deluso le aspettative e i brani dei Big sono di gran lunga superiore. C’è stato un gran parlare della categoria Nuova Generazione e poi i primi cinque emergenti li hanno mandati in onda dopo le 23.30, quando “l’abbiocco” poteva essere giustificato. Mandare in radio le loro canzoni da diverso tempo – a parte Luca Marino io non ho mai sentito nessuno – non è una buona giustificazione per liquidarli in così poco tempo. Nina Zilli e Luca Marino hanno passato il turno: la prima ha un brano stuzzicante e riesce a modularlo bene; il secondo si gioca tutto con una ballata vecchio stile molto orecchiabile. Gli altri dimentichiamoli. I Broken Heart College sembrano la copia riuscita male dei Sonohra; Mattia De Luca un clone di Tricarico con manie di un pop acustico; Jacopo Ratini gioca a fare il giovane impegnato scimmiottando lo stile di Simone Cristicchi e Daniele Silvestri. Tra i big sono usciti  i Sonohra (era ora!) e Valerio Scanu, che invece avrei tenuto al posto di Arisa, perché la Pippa non può pretendere di salire sul podio con la solita filastrocca scemotta. Speriamo che i cinque giovani della terza sera diano un senso alla “Nuova Generazione Sanremo 2010”, altrimenti siamo proprio messi male.

Sanremo 2010 atto I: giù il Principe dall’astronave!

L’edizione numero 60 del Festival di Sanremo meritava un inizio diverso:  siamo nel classico polpettone serale dei palinsesti Rai o sul palco dell’Ariston? Troppo televisivo: nel prolungato siparietto d’apertura di Bonolis e Laurenti (extended version del solito teatrino pubblicitario?), nella goffaggine di Antonella Clerici, che pensa di stare ancora a La Prova del cuoco tra Cassano, che gioca a fare il simpaticone, e il fantasma di Morgan, l’esluso omaggiato con la lettura dei versi del suo pezzo.  La scenografia è salvabile, se non fosse per quell’astronave oscena che ci prepara a “gli incontri ravvicinati del terzo tipo”: chi sono i marziani? Pupo ed Emanuele Filiberto, in coppia per la canzone più brutta di questo primo atto,  la cui squalifica è segno che le coppie fatte a tavolino non funzionano più e i venti nostalgici del Belpaese monarchico soffiano in soffitta. Avrei tenuto Nino D’Angelo e Maria Nazionale per il sound pseudo folk – senza essere filopartneopeo – e mi sarei liberato volentieri dello zucchero filato dei Sonohra e Arisa. Il principe di “Amici”, Valerio Scanu, raggiunge la sufficienza, ma la sua canzone sembra una traduzione in italiano di un mieloso brano napoletano, fatto su misura per un neomelodico. Enrico Ruggeri, Toto Cutugno e Fabrizio Moro si autocitano e fanno autogoal, mentre si inizia a respirare con la satira spigolosa di Simone Cristicchi e l’inno istrionico di Povia, dedicato ad Emanuela Englaro (le polemiche sull’eutanasia lasciamole fuori dall’Ariston, per favore). Funziona Irene Fornaciari con i Nomadi perchè dietro Il mondo piange c’è lo zampino di papà, mentre si avviano in vetta gli energici  Irene Grandi, Marco Mengoni e Noemi. In alto al momento c’è una sola ninfa, la cui voce è sospesa tra cielo e terra con la delicata Ricomincio da qui: Malika Ayane.  E’ ancora troppo presto per parlare, perchè la giuria sanremese ci riserva brutte sorprese. Stiamo a vedere, tanto la vera regina della prima serata è stata Susan Boyle, la migliore invenzione di un talent show!

Carnevale su eBay, senza maschere né coriandoli

Mio nonno paterno era conosciuto in paese come Pietro ‘e l’Orso. Nei piccoli centri andavano perlopiù i soprannomi. Roba di novant’ anni e passa, o forse più. Da bambino pensavo che nonno Pietro avesse uno sguardo d’orso, ma poi  ho scoperto che aveva indossato una pelle d’orso in un Carnevale del secolo scorso. Il Carnevale di mio padre era fatto di scherzi improvvisati, farina e ingegno per mascherarsi. La mia generazione è diventata vittima di vestiti preconfezionati, bombolette spray, scherzetti prefabbricati da merceria e stelle filanti. A parte un vestito bellissimo – Goldrake era il mio eroe – ero tra coloro che organizzava il travestimento con cose fatte in casa. Devo ammettere che, col passare degli anni, sono diventato apatico nei confronti di questa ricorrenza, e non di certo perchè penso sia roba da mocciosi: ho un bel ricordo nei quartieri di Viareggio e la condivisione con una famiglia di Putignano, a cui ebbi la faccia tosta di chiedere “ospitalità” sul balcone per la sfilata dei carri.  Adesso che il Carnevale è stato affossato dall’esterofilia per la febbre da Halloween e i costumi si acquistano su eBay, ditemi voi cosa ci resta in mano: una manciata di coriandoli e stelle filanti, magari made in China, acquistati su Internet? Da quando vivo nella parte nord dello stivale italiano, litigo pure con il rito ambrosiano, dove il Carnevale trasloca nel giovedì della settimana. Anche in questo l’Italia è divisa in due! Ho un unico rammarico, pur non avendo mai avuto quel phisique du role: non essere riuscito a vestirmi mai da principe azzurro e andarmene con la mia principessa a nascondermi dietro una collina di coriandoli, fatti di tutte le parole che non ci siamo mai detti!