Diario di viaggio: Primavera sull’A1 su e giù per l’Italia…

Io e Antonio non ci vedevamo da anni. Ci siamo ritrovati nella stessa auto per attraversare l’Italia dal basso all’alto. Io ero un ragazzino, ma lui già era adolescente e mi ricordo di quando si beccava le ramanzine dai genitori perché studiava poco per correre a giocare a pallone. Dovrebbero sentirlo parlare oggi, papà Gennaro e mamma Clara sarebbero così fieri di lui per come è diventato.
Siamo sull’A1 all’altezza di Caianiello, è quasi l’alba, Antonio va alla guida spedito e mi racconta con orgoglio dei figli, di quanto sia importante il ruolo della famiglia, degli spostamenti per lavoro, di quei pezzi della vita che mi sono perso. Siamo all’altezza di Roma e il condominio Stella Maris, dove abbiamo vissuto, diventa un dolcissimo avanzo della nostra memoria: la ragazza dai capelli lunghi della scala A, la signora del secondo piano, la ciurma dei bambini del quinto piano, l’amministratore baffuto, il nostro vocio nel cortile del palazzo, le litigate dei più grandi e la magia che noi più piccoli creavamo quando rincorrevamo il cielo, quello che ci sovrastava alla fine degli anni Settanta.
Siamo all’altezza di Firenze Sud, c’è traffico e restiamo in silenzio sulle note di una canzone. E’ lì che lascio ad Antonio la mia confessione: la scomparsa prematura della mamma, a cui ero legato particolarmente, ha marcato il passaggio dalla mia infanzia all’adolescenza, perché allora pensavo che gli angeli prima di diventare tali dovessero invecchiare. Siamo all’altezza di Bologna e ci sembra che l’energia della memoria ci abbia fatto ritrovare il significato dei legami, e la certezza che quelli che nascono nella prima parte della vita non si dileguino mai.
Arriviamo ad un Autogrill a Parma. Cambio auto, sono in ritardo, mi aspettano per un’intervista. Io e Antonio ci salutiamo con un caloroso abbraccio, ma appena lui va via avverto la stessa sensazione di quando lascio il mio Sud: quell’indolenzimento che provavo da bambino appena sua mamma mi faceva la puntura. Questa volta però non ci sono le carezze della signora Clara a tranquillizzarmi e neanche una telefonata per sapere come sia andato il viaggio.
E’ Primavera, e me lo ricorda stranamente Milano appena arrivo nel tardo pomeriggio. La partenza di qualche giorno fa è tornata ad essere arrivo. Eppure una milanese atipica cancella quel piccolo livido con un messaggio casuale: “Tutto bene il viaggio?”. Qualcuno è tornato a preoccuparsi di me e quel gesto è stato uno scossone, un pizzicotto che mi ha finalmente risvegliato, forse grazie ad un’Alice, che ha percepito la stanchezza di questo mio viaggio, lei l’unica sopravvissuta “nel paese delle meraviglie”.

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