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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Elezioni comunali ai tempi di Facebook: Fuori dal gruppo

Dalle mie parti professavano che ‘o paisano era ‘o paisano. Lui sì che si sarebbe fatto in quattro per te e guai a trattarlo male. Soprattutto a ridosso delle elezioni comunali, tutti tornavano a sorridere e non ti negavano una stretta di mano. Era arrivato il tempo di fare scorta di disinfettante, perché acqua e sapone non bastavano come detergente.
Anche chi non aveva mai visto un film di Pietro Germi, aveva imparato a distinguere i burattini della provincia arrivista dell’Italietta di mezza età: i democristiani papponi che ti mettevano in tasca pezzi da 10 e 20 mila delle vecchie lire per allenare l’olfatto al profumo fradicio del potere locale; i socialisti craxiani che inseguivano carri funebri per spargere garofani di prima scelta, mummificando le vecchie glorie; i comunisti cinguettanti che se la menavano con la solita filastrocca che in Russia tutto filava liscio come l’olio; i radicali chic a dieta perenne, perché lo sciopero della fame era un pretesto comodo per fare la cresta sulla spesa; i liberali insicuri che non sapevano mai quale fosse la strada del rigurgito tra libertinaggio e permissivismo; i fascisti piagnucoloni perseguitati dall’ombra del vittimismo plebeo.

I social network hanno cambiato la scenografia – la roccaforte dello sharing e del virtuale sembra più immediata ed incisiva – ma non il vizio. Anzi, hanno contribuito ad incrementare l’illusione ottica di pensare che basti poco per affacciarsi alla politica: un numero consistente di contatti su Facebook, attirati e coltivati nella tana del lupo, con le frasi scemotte che renderebbero interessante anche la peggiore delle bacheche.
Se una volta davamo ai tipografi la colpa per i manifesti osceni da campagna elettorale, oggi non possiamo che bastonare “i photoshoppari” improvvisati. Sono loro a far girare nei nostri feed o bacheche i santini grezzi che spostano una campagna elettorale locale verso una propaganda politica glocal, dimenticando che il voto dovrebbe riguardare chi vive ancora in quel posto.

Di fatto non è così, tanto che l’ultima tendenza è ritrovarsi membro di un gruppo su Facebook senza alcun preavviso o invito. Le notifiche proliferano e ti accorgi di essere contemporaneamente un simpatizzante di Destra, Sinistra e Centro. Come fare a non scontentare il “compagno di gioventù” che ti ha arruolato come supporter alla sua compagna elettorale?

  • Sganciarti dal gruppo, facendo finta di niente.
  • Uscire dal gruppo e postare un messaggio in bacheca che sottolinea la tua posizione netta: incazzatura a mille.
  • Inoltrare segnalazione di spam a Facebook.
  • Allertare il tuo legale per violazione di privacy.

Qualsiasi strada sceglieremo, sarà legittimo rimpiangere i vecchi tempi, quelli in cui erano riconoscibili i volti goffi degli aspiranti consiglieri comunali, assessori o sindaci, oggi moribondi e rifilati in un gruppo del qualunquismo facebookiano, e peggio ancora convinti che basti camuffarsi da piazzista-social per essere un divo volgare, pardon un politico glocal!

La Concordia e Facebook: La beffa burlona del capitano gradasso

Il volto barbuto dell’attore John Hewer, protagonista di un famoso spot dei primi anni ’80, ci fece affezionare bonariamente ai capitani delle imbarcazioni. Ci chiedevamo quali pericoli corressero e se prendessero una paccata di soldi, nonostante di mezzo ci fossero dei bastoncini di merluzzo. Dall’altra parte lo staff della Pacific Princess, la nave protagonista della serie tv Love Boat dell’Abc, appiccicò sul nostro immaginario la crociera come il viaggio verso l’isola della felicità. L’America di Love Boat era la stessa che aveva seppellito gli orrori del Titanic.

In queste ore dell’Italia sta parlando il mondo intero e non è follia pensare che tra una decina d’anni ci gireranno un film sull’ Isola del Giglio. E non solo per il disastro ambientale che potrebbe infognare il mar Tirreno, ma per la “nave-albergo” – così chiama le navi da crociera Aurora, una mia lettrice di otto anni – affondata come sulla pedana da tavolo di una battaglia navale. Tralasciando l’uragano mediatico che sta coinvolgendo emotivamente chi più e chi meno, c’è un piccolo dettaglio “social” su cui mi soffermerei: non tanto la riconoscenza verso Twitter come piattaforma per gli aggiornamenti istantanei, quanto il posizionamento di Facebook sul podio dei confessionali del malcostume nazional-popolare. Finita in soffitta la belle epoque del Grande Fratello, un post su una bacheca di Facebook potrebbe confermare l’ipotesi di un giochetto d’azzardo finito male, quello del capitano gradasso che vuole salutare il luogo natale del cuoco di bordo.

Questa volta non è stato necessario reclutare un bravo sceneggiatore hollywoodiano per (ri)scrivere un film da incasso assicurato o una fiction lacrimogena in puro italian style, passando dall’happy end degli episodi di Love Boat al desolato finale di Titanic. “Elementare Watson!”, avrebbe esclamato in un passato remoto Sherlock Holmes, senza né il benestare di Facebook né il consenso della penna del padre putativo Conan Doyle. Ognuno ha la sua opinione ed ha il diritto di esprimerla, ma l’intervento della giustizia, nel caso accertasse certi fatti, dovrà rimettere in circolazione un vocabolo che noi impropriamente associamo soltanto alle malefatte dei capi mafiosi: Ergastolo.

E non se la prenda a male la beata del 13 agosto se non battezzerò mia figlia con il nome di “Concordia”, ma è la rabbia soffocata per rispettare il lutto di chi ha perso la vita. Purtroppo qui non si tratta della faccia bonaria di un capitano da spot pubblicitario, ma del volto mostruoso dell’imperdonabile leggerezza dell’essere.

Facebook: Tra poco passerà vicina vicina…

L’equipaggio e la rete difendono il comandante

Post e pagine Facebook sul comandante…

Facebook, l’osservatorio “osservato” delle amicizie quaquaraquà

Facebook è la gogna per smantellare le finte amicizie, quelle che sono state allevate con l’abuso del codice del clan: la parità regge la calma apparente. Per riflesso è la bacheca del social network più insidioso a diventare il ring dello scontro. Prima era il baretto lounge del paesotto dove ci si incontrava, sorseggiando drink e ripetendo a pappardella la filosofia buonista di “Eravamo quattro amici al bar”.

Ecco la trappola bella e pronta, quella del social: il fine giustifica il mezzo. Gli status smielosi di un dì, le chattate notturne, le fotine con le facce da bell’inbusti hanno ceduto il posto a frasette acide, inciuci nottambuli e nuovi scatti, che raccontano di nuove alleanze. Non bisogna essere uno strizzacervelli smanettone o un sociologo web-oriented per capire che è Facebook a scrivere le nuove regole del gioco e non gli ambasciatori inviati su commissione, che se ne tornano off-line con la coda tra i tasti del Pc.

Basta un pò di chiacchiericcio dai toni accessi e il branco è spacciato (“gruppo ristretto” secondo il glossario social). Chi se ne va cresce, perché fuori dal gioco della “comunella infantile” diventa osservatore privilegiato della meschinità, sintomo di fragilità e inferiorità degli illusi capoclan, ammazzati dalla vergogna per l’umiliazione da bacheca. Chi rimane isolato nel branco è condannato ad essere l’osservato sconfitto che canticchia “Adesso siamo pochi amici al bar”.

E quando quest’ultimo staccherà la spina dal social network, sarà la lealtà  – l’unica allevatrice delle sane amicizie – ad infastidire l’olfatto con quel puzzo di piscio, che renderà ancora una volta l’osservato sconfitto un servo di plagi, ventriloquo di libri mai letti. E’ arrivata l’ora. I messaggeri di pace si rassegnino: il branco é davvero spacciato. Pardon, “il gruppo ristretto degli ex compagni di merendine da discount”.

 Facebook, dunque sono.

 Amicizie su Facebook…

 Così finisce l’amicizia su Facebook

 

Colazione da Tiffany 50 anni dopo: Paul le scrive parole d’amore sull’iPad e Holly canta “Moon River” su Facebook!

Al di là delle celebrazioni che lasciano il tempo che trovano, i 50 anni del film “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards stanno spopolando su i social network. A fare tanto rumore non è il restauro della famosa pellicola con la raggiante Audrey Hepburn e lo scanzonato George Peppard. Più o meno è la voglia di intrufolarsi tra le pagine del romanzo di Capote. Persino le ragazzine di ultima generazione sognano di assomigliare ad Holly.

Tuttavia, un modo originale per spegnere queste 50 candeline, potrebbe essere riadattare “Colazione da Tiffany” ai tempi nostri, nelle ore in cui l’Italia è allo sbando su tutti i fronti e si trova per giunta senza un Governo. Lo scrittore è lì che cuce pensieri e parole sul touchscreen del suo iPad e Holly non sente più il tic tac dei tasti della macchina da scrivere. Non sapendo che lui è a pochi metri, accende il PC e lancia sulla bacheca di Facebook la melodia di “Moon River”. Paul non vede il video, esce di casa e dimentica l’ombrello. Holly sbuffa, non resiste, sbatte la porta e girovaga nella notte.

Mentre il diluvio ricopre Genova di fango, Paul e Holly si incrociano sotto un acquazzone. Non si tratta di New York, ma dell’ennesimo paesotto di periferia, che fa da sfondo ad un lungo bacio tra i due, dopo che Holly si é lasciata alle spalle dubbi, delusioni, dolori. Il miagolio di un gattino ricorda a Paul che è il 9 novembre. Mette le mani in tasca, ma gli ultimi soldi sono diventati carta straccia dopo la chiusura della Banca d’Italia. Sul ciglio della strada si ferma in una bijoutteria, che di “Tiffany” non ha un bel niente. Baratta il suo iPad per una collanina di perline. La mette al collo di Holly e le sussurra: “Buon compleanno tesoro, oggi in due festeggiamo cinquant’anni”.

Hollywood non fabbrica più sogni così come quest’Italia cinica e cialtrona, che li ha chiusi a chiave in un cassetto. Allora ce li costruiamo noi, impugnandoli per restituire consistenza ai sentimenti. Perciò nella notte del 9 novembre prossimo non ci sarà un party, i soliti dolcetti e una torta gigante. Da qualche parte ci sveglieranno dal sonno i passi di un uomo e una donna, mano nella mano tra cinquanta candeline. E sarà “Colazione da Tiffany” come la prima volta, tra il ticchettio della macchina da scrivere di Paul e la voce di Holly che canta “Moon River”.

sos privacy: bambini in pericolo con il nuovo facebook

Mentre il popolo social è curioso per lo sbarco del nuovo profilo Facebook, c’è chi si interroga sul grosso pericolo che corrono i bambini frequentatori di bacheche e diavolerie varie. Nonostante Zuckeberg e compagnia bella abbiano fissato come età di accesso i 13 anni, il numero dei baby navigatori aumenta in modo spropositato.

Puntualizziamo tenendo in disparte i bla bla bla degli strizzacervelli o degli esperti: un bambino non ha bisogno di un social network. Ci sono mille altri modi per farlo socializzare ed escluderei subito il cazzeggio su una piattaforma virtuale. Ai tempi ho visto i miei coetanei svezzati dalla televisione-centrifuga, adesso ne vedo una quantità allevati dai social o da una console di videogame. Questo è il modo più spicciolo per toglierseli dai piedi?

La nuove versione di Facebook disorienta e confonde, perciò può diventare molto pericolosa per i più piccoli, senza tener conto di quanto diventi più complicato tenere sotto controllo i livelli di privacy. E se sguazzare nel social significa piegarsi alle regole del reality e al vizietto del protagonismo, ecco la tendenza assurda degli ultimi tempi: appena nasci, non sai neanche parlare e ti ritrovi già un account Facebook.

Ho visto alcuni genitori farlo e la reputo una scelta davvero disgustosa. Si tira fuori la scontata giustificazione: è un modo easy per condividere immagini e notizie con amici e parenti. Più che preoccuparci di costruire un avatar ai nostri figli, aiutamoli a crescere come persone vere, senza sprecare un attimo di una irrinunciabile opportunità: vivere la realtà tenendo in pugno l’immaginazione

Decalogo pediatri per web sicuro

Gli adolescenti su facebook cercano se stessi

Facebook non è adatto ai bambini!

pronto per il nuovo facebook: democrazia sociale o dittatura globale?

Siamo ad un passo dal nuovo Facebook: il lancio ufficiale è previsto il 30 settembre. Io sguazzo nella versione beta da qualche giorno (la mia dovrebbe essere visibile dal 4 ottobre). Ci sarà la fine del mondo? No. Una catastrofe sui social network? Dipende dai punti di vista. “Faisbùk” cambia pelle e i sapentioni della rete annunciano che l’incazzatura del popolo social durerà al massimo tre settimane, perché sarà questione di abitudine. Ci rassegneremo presto al nuovo profilo (le fan page al momento resteranno inalterate) con un cruscotto in alto dominato da una cover gigante, le nostre info e una serie di pulsanti che riportano al nostro mondo?

La filosofia del “mi piace” sta per evolversi con composé di bottoncini sostitutivi, ma l’innovazione più inquietante è la Timeline. Agli hula-hoop di Google+, si aggiunge la linea della vita: insomma tutti potranno farsi “mazzi e cazzi” nostri, se non impostiamo le regole della privacy di ogni singolo status. Infatti, possiamo aggiungere anche gli eventi precedenti alla nostra entrata in Facebook, dalla nascita a vita, “morti” e miracoli, incluse cronologia di storie sentimentali, acquisto dell’auto o della casa.

Alla faccia della privacy! Come faranno coloro che nascondono l’anno del compleanno, adesso che la timeline parte proprio dal lieto dì in cui la cicogna ci ha abbandonati? Le inquietudini sono diverse ed io mi diverterò ad inventare un passato che non ho. Sta di fatto che qui non è un problema di rivolta grafica, ma di organizzazione dei contenuti e di consegna della nostra vita nelle mani del social network più potente del pianeta. Zuckerberg avrebbe dovuto promuovere un referendum.
Morale della favola: Facebook, più feroce dell’occhio invadente del Grande Fratello, ci sta costruendo un bunker su misura. Sono pronte nuove applicazioni per ascoltare musica e vivere l’intrattenimento senza passare per vie esterne.

La storia è disgraziata e sa come metterci la pulce nell’orecchio, proprio mentre Mark Zuckerberg si organizza per una possibile entrata in politica. I grandi dittatori prima di diventare tali, si sono spacciati per paladini della democrazia. Mettiamoci pure in coda per finire sull’altra sponda: da democrazia sociale a dittatura globale.

Facebook ti spia anche quando non sei connesso

Il nuovo Facebook: la privacy si complica. Suggerimenti…

Come attivare il nuovo profilo di Facebook in anteprima

il nuovo facebook: quanto vale amarsi se c’è troppa differenza di età?

I sentimentali non remano contro la differenza di età. Non mi riferisco ad una decina d’anni, ma a quella di manica più larga, che oscilla tra distanze più ampie. Una bella botta, che secondo i più devoti dell’ufficio anagrafe è qualcosa di insostenibile e da manicomio. Le tendenza cambiano. Una volta la donna era più giovane, adesso accade il contrario: il gentil sesso si circonda di uomini più piccoli e ritrova il filtro dell’eterna jeunesse. Giovane sì, ma poppante no!

Tuttavia, nella piazza dei social network a volte ci si dimentica delle distanze anagrafiche, perché in chat, in una battuta in bacheca o in uno scatto fotografico si tralasciano certi dettagli che poi verrebbero fuori nella vita di coppia. Chiudendo per un attimo l’album della fiaba d’amore a lieto fine, ecco che scatta l’orrore: la gente che giudica; gli amici di lui che consigliano di fare scorta di viagra per gli anni futuri; il terrore che il papà sia scambiato per il nonno e la mamma per la sorella maggiore; il muro separatore di sogni generazionali distanti e contraddittori; la convinzione che il dialogo della quotidianità scivoli e sprofondi nell’oblio dell’incomprensione.
E poi diciamoci le cose stanno: la fotografia di lui quarantenne e lei ventenne appartiene soltanto a determinate caste sociali, allo star-system dei vip perché la diceria popolare professa il verbo: Cosa ci troverebbe mai una donna in un uomo più “vecchio” se non il gusto di soldi e potere?

Adesso a mettere il bastone tra le ruote ci sarà pure il nuovo Facebook, che “castigherà” tutti i menefreghisti della differenza di età. Con la nuova “rivolta grafica” in corso e quella maledetta Timeline rivivremo la nostra vita passo dopo passo: nel 1990 lui si diplomava e lei si battezzava; nel 2000 lui si laureava fuori corso e lei era sull’altarino per la prima comunione; nel 2009 lui postava le canzoni di Micheal Jackson in ricordo dei vecchi tempi e lei se la faceva addosso con le hit di Amy Winehouse.

A meno che non scartino un Bacio Perugina con la speranza di trovare il messaggino “L’amore non ha età”, da oggi in poi anche i sentimentali remeranno contro quella scandalosa differenza di età. Le nostre carte d’identità sono davvero carogne, ma le nostre anime no. E se invece di avere un corpo che invecchia, fossimo spiriti vaganti – con o senza Facebook – “potremmo essere felici e farci un mucchio di risate”, ovunque e comunque.

Manhattan di Woody Allen

Sei così mia quando dormi di Anna Kanakis

Gabri di Vasco Rossi

Con o senza Charlène, impariamo a riconoscere la nostra Principessa!

Continuo a credere che le principesse non siano rarità vintage, ma coloro che spuntano all’improvviso nella quotidianità del caso e dell’altrove: magari su un treno, in una domenica pomeriggio, oscurate dalla timidezza, in balia di un bel mondo interiore che prima o poi scoppierà. Questo può succedere a noi comuni mortali.
Poi ci sono quelle che scelgono di abbassare il capo dinanzi al protocollo di palazzo e preferiscono l’investitura. Charlène Wittstock, da sabato consorte di Alberto di Monaco, ci ha conquistati. Forse perché, nonostante l’abito bianco e il corteo regale, ha mantenuto lo stesso sguardo timido e denso della campionessa di nuoto, il cui destino sembrava scritto nel firmamento dello sport. Non è stato così, anche se poi finire tra reali non è detto che sia un terno a lotto. C’è lo ricorda la fiaba amara di Lady Diana Spencer o quella spezzata di Grace Kelly, sepolta da dubbi e misteri.
Il principe monegasco non è di certo uno stinco di santo e l’ipotesi “gossippara” di un terzo figlio, nato durante la relazione con Charlène, amareggia i giorni di luna di miele. Il candore della neo principessa del Principato di Monaco riesce a rendere pacchiana persino la Kate di Buckingham Palace e potrebbe spodestarla col tempo in termini di popolarità. Come si misura l’affermazione regale? In termini di “share” su i social network o di capacità di ribellarsi ai ricatti dello spietato way of life delle monarchie superstiti?
Ritornando a noi comuni mortali, dovremmo allenarci a riconoscere subito le vere principesse, quelle scalze e fuori dai castelli incantati, in questo tempo che vorrebbe farci passare per fuggiaschi precari. Consoliamoci perché, per tenerle stette a noi, non abbiamo bisogno né di troni né di corone, ma di quest’atteggiamento che ci suggerisce uno stralcio di Il Piccolo Principe, ritrovato nell’angolo di una bacheca di Facebook: “Gli uomini coltivano 5000 rose nello stesso giardino… e non trovano quello che cercano… e tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua. Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore!”.

Facebook per Alberto Bonanni, il musicista pestato a Roma

A Milano i maxi concerti sono nelle mani di ridicolo comitato anti-rumore, a Roma invece si finisce ammazzati se si suona. Insomma, spero di non rischiare anche io di brutto, quando la sera faccio sobbalzare (scherzosamente ed educatamente) il mio vicinato con la musica di Pearl Jam, Ac/Dc e Led Zeppelin.
Ad Alberto Bonanni, un giovane musicista di 29 ani, è andata davvero male. Era in un locale di Monti, nel cuore della capitale, quando è stato picchiato brutalmente da un branco di giovani. Perché? Un uomo era sobbalzato dal balcone, lamentando lo schiamazzo e inseguendo Bonanni con un bastone. La serata musicale a The Saylor’s si è trasformata in un incubo e questo pestaggio brutale è un altro segno dell’incoerenza e della prepotenza che si aggira nelle sere d’estate nelle nostre città
Alberto è in fin di vita ed si parla addirittura di “morte celebrale”. E questa volta a supportare gli agenti nella ricerca di quei maledetti assassini è stato proprio Facebook. Infatti, grazie al social network abitato da 20 milioni di italiani sono riusciti a risalire ad uno dei colpevoli, che ha ridotto in questo stato il chitarrista romano di una delle Tribute band degli Iron Maiden.
Intanto, su Facebook è stata presa d’assalto la pagina “Suonare per Alberto Bonanni pestato a morte a Roma” dove si segnalano diverse iniziative per dire basta a questi atti di violenza. Alberto non aveva fatto lo scassinatore di timpani, ma aveva appena smesso di suonare. Sulle corde di quella chitarra appesa ad un chiodo, chi strimpellerà i sogni di una vittima? Dove c’è musica, c’è socialità. Dove c’è socialità, c’è vita.

No, Vasco, no! Il rocker di Zocca vuole ritirarsi ed è rivolta su i social network

Un vero fan dovrebbe mettere da parte l’emotività e dire le cose come stanno. Mentre su Twitter lo slogan di questo lunedì è “Vasco, come faremo senza di te?”, fa discutere la notizia a sorpresa: Vasco si ritira e non farà più concerti dal vivo. Uno scherzetto dei primi giorni d’estate o il rocker italiano fa sul serio?
Dicevo che un vero fan dovrebbe mettere da parte la sfera emotiva: nell’ultimo tour abbiamo visto Vasco sottotono. Certo non è più quello di una volta da un bel pezzo, ma Morgan c’è andato giù troppo pesante a farlo morire artisticamente a 27 anni. Se l’ex Bluevertigo voleva fare il maestrino in cattedra, avrebbe dovuto allungargli la vita almeno fino ai 38, quando in classifica impazzava Liberi Liberi, l’ultimo album prima di un altro cambio di stagione. Il popolo di Facebook vascolizzato è troppo giovane per ricordare il battito del rock grezzo dei primi tempi.
Tuttavia, mi piace ribadire che un rocker è il vero “poeta maledetto” della musica e, pure senza l’auspicio degli dei, dovrebbe continuare a salire sul palco fino allo sfinimento. Un musicista ha il diritto di andare in pensione e allo stesso tempo il dovere di stare zitto se non ha più niente da dire.
Vasco è poco credibile quando si mette a fare il predicatore – il sermone a San Siro sugli ubriachi del sabato sera è stato fischiato – ma continua a far furore quando impugna il microfono, perché il fan è disposto a perdonargli la nota stonata di turno, il corpo affaticato, la voce sempre più roca.
“E già” sarà pure eletto motivetto della stagione calda, ma tra le sillabe di “sono ancora qua” nasconde un sibillino campanello d’allarme: la consapevolezza di chi non vuole tirare a campare. E il fan vascolizzato, scalciando l’emotività, lo avrebbe dovuto già capire da un pezzo che questo è lo stato d’animo di una rockstar di mezza età.