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Londra saluta Margaret Thatcher e dimentica gli angeli caduti in volo

Rosario Pipolo“Oggi siamo tutti thatcheriani”. Le parole di Davi Cameron, nel giorno in cui Londra ha dato l’ultimo saluto a Margaret Thatcher, sono inesatte. Non è così e lo sanno bene il volto pallido della storia britannica, sulla coda del ‘900, così come i minatori che hanno organizzato una festa folk dall’altra parte del Paese. Mentre il feretro della Lady di Ferro si muoveva lento verso St. Paul, ripensavo ad un altro funerale affollato, quello di Lady Diana Spencer, la principessa amata dal popolo e osteggiata da Buckingham Palace.
Quella era la fine di una favola da fotoromanzo popolare con la regina coronata, che non sapeva se abbassare il capo dinanzi al passaggio del feretro. Qui si trattava di un capo di Stato, di un ex ministro che aveva tenuto in pugno, dal 1979 al 1990, il destino della Gran Bretagna. Persino il Big Ben si è ammutolito. Non accadeva dai tempi dell’addio a furor di popolo a Winston Churchil.

Troppa scena per dare solennità al momento, per restituire smalto ai nuovi rampolli del partito Conservatore, per fare uscire dallo zoo della politica d’oltremanica le scimmiette come Tony Blair, che fecero crogiolare i progressisti sulle gambe del thatcherismo. “Oggi non siamo tutti thatcheriani”, ribadirei, aggiungendo però che la Sinistra blairiana lo è stata quando non sapeva più che pesci prendere.

La regina Elisabetta in testa, era lì nel silenzio tombale che ha trasformato la ciurma dei capi di Stato invitati come un set di manichini da vetrina. La verità spetta di diritto alla voce delle nostre coscienze. Quando la bara è uscita da St. Paul avvolta dalla bandiera, mi sono convinto che in quella cassa di legno pregiato non c’era Margaret Thatcher. C’erano tutti i corpi e gli spettri dei morti sotto il suo regime tra tensioni sociali, aggressività colonialista e vecchi rancori tenuti a marcire in Irlanda. Non ho più visto la folla che salutava Lady di Ferro, ma le urla di donne, uomini e bambini che si sono visti strappare un caro dalla loro famiglia, negli anni in cui quel pugno di ferro sfigurò il volto della Gran Bretagna, privandolo di umanità e facendolo a pezzetti nella più grande macelleria sociale.

Maggie riposa e basta. Se esiste una giustizia divina, la pace spetta agli angeli spediti all’inferno durante il tuo regime.

4 marzo 2012: Smisurata preghiera per Lucio

Vorrei non arrivasse mai il 4 marzo 2012.
Era lo stesso a cui lanciarono sassate, perché faceva le smorfie da scimpanzé, ma l’unico zingaro musicante a sapere che le stelle sono più di un miliardo.
Dovrebbero fermarsi pure i russi e gli americani, perché “Te voglio bene assaje” fu grido d’amore per Mosca come per New York.

Vorrei non arrivasse mai il 4 marzo 2012,
per non vederlo andar via con Anna e Marco, chissà su quale treno, su una saetta come nuvolari, aspettando l’anno che (mai) verrà, perché lui ci rivelò come è profondo il mare.
Sarà forse la sera dei miracoli serigrafata sulle ali di una farfalla o tutta la vita dello sfacciato che osserva dentro l’anima con canzoni e ti chiede tu com’eri.

Vorrei non arrivasse mai il 4 marzo 2012,
per non sentire il vuoto a piazza Grande senza che Henna se ne accorga: gli uomini vanno via, proprio come Ayrton, che non fece in tempo ad imparare che un vincitore vale quanto un vinto.

Come il vento poi arriverà Lunedì e lui sarà negli angoli del cielo a dirci ciao.
Gesù bambino, lo riconoscerai in mezzo ai ladri e alle puttane con gli occhialini tondi e un cappellino in testa. Non avrà l’aria del brutto anatroccolo, ma dello zingaro felice più bello dell’universo. Se io fossi un angelo me lo riprenderei, ma angelo non sono. Sono un povero diventato ricco grazie al suo canzoniere ereditato. Finisce così il primo tempo della mia vita, per lui comincia il secondo.
Perciò, Gesù bambino, lascialo giocare a carte, cantare e bere vino, perchè per la gente del porto lui sarà Lucio Dalla per sempre.

Il gigante e la bambina, giustizia per Sarah Scazzi!

Al ritorno dalle vacanze avevamo incrociato  il volto di quella ragazza appiccicato ovunque:, dai muri sotto casa alle bacheche della rete. Il messaggio era chiaro: “Chiunque avesse trovato Sarah Scazzi era pregato di farsi vivo”. Nessuno però aveva diffuso l’annuncio all’incontrario, mettendolo giù così: “Chi prima trova l’orco cattivo, prima ci restituisce la speranza che Sarah sia viva”. E’ stato inutile perché il mostro era nascosto in famiglia ed aveva agito in un batter baleno, chissà con la complicità di chi. Svanita la speranza di rivedere Sarah tra le braccia di mamma e papà, oltre 60 mila persone di ogni età alzano la voce su Facebook e chiedono giustizia. Giustizia o vendetta? Forse vendetta, come quella che ci ha assaliti dopo la confessione dello zio Michele Misseri, forse rabbia come quella tra la folla dei funerali di sabato ad Avetrana.
Quindici anni fa un caporedattore mi rimproverò, perché avrei dovuto occuparmi di cronaca nera per crescere nella giungla dell’informazione. Un morto ammazzato valeva la prima pagina di un giornale più di un’inchiesta culturale o di una recensione di uno spettacolo.
Quel misuratore vale ancora oggi dove c’è l’assillo di far numeri ovunque, siano clic o audience. E in questi giorni, nel lavaggio mediatico della tragedia di Avetrana, il volto del carnefice ha preso il sopravvento rispetto a quello della vittima o addirittura compare al suo fianco. Il popolo del web non potrà prendere posizioni che spettano alla giustizia (costituirsi parte civile nel processo?), così come la televisione non può trasformare un delitto in una farsa di costume, facendoci credere che guardare “Chi l’ha visto?” sia come fare una partitella a Cluedo. Per non diventare tutti complici di questo oltraggio mediatico, abbiamo il sacrosanto dovere di delegittimare tutti gli operatori dell’informazione; tutti i salotti televisivi, dal fard dell’Arena di Giletti  al fondotinta di Matrix; tutti gli angoli del web che daranno spazio al dramma dello zio Michele, l’orco assassino da ergastolo rinato nei versi amari della canzone di Rosalino Cellamare Il Gigante e la bambina.

Angelo Vassallo, il Sindaco eroe ritornato a fare “il pescatore”

Nel Cilento vi ho trascorso delle estati meravigliose. Quasi probabilmente, mentre io ero in spiaggia alla prese con i miei castelli di sabbia, lui era lì sulla sua barchetta. Quante volte avvistavo all’orizzonte i pescatori, al largo con le loro reti che tornavano a casa col pesce fresco. Angelo Vassallo lo faceva per passione perché sia sa che dialogare col mare non è da tutti. Ed è lo stesso entusiasmo che lo  ha trasformato in Sindaco, con un impegno e costanza tali da diventare un punto di riferimento per la comunità di Pollica. Niente teatrini politici, niente bagarre, ma una lista civica che ha convinto tanti a battagliare al suo fianco. Chi lo ha lasciato solo quando sette colpi di pistola lo hanno freddato senza pietà?
C’è un contrasto paradossale tra l’opposizione del “Sindaco pescatore” alla Camorra e la lettera aperta ai vertici di Gomorra, diffusa alcuni giorni prima della sua morte dai dipendenti dei consorzi di Napoli e Caserta per la raccolta differenziata: “Se lo dice Saviano e la stampa la camorra nei rifiuti deve essere un fatto vero. Ci rivolgiamo a voi noi, che, seppur indirettamente, stiamo lavorando per voi”“Mafiosamente vostri” – così si concludeva la missiva in cui si chiedevano alla Camorra più lavoro e aumenti di stipendio –  è un’espressione in netto contrasto con la bara che venerdì scorso ha attraversato Acciaroli. C’erano seimila persone a dare l’ultimo saluto ad Angelo.
Mi chiedo chi siano i più coraggiosi: il bagno di folla che speriamo non dimentichi o quel mucchio di lavoratori, che ha infangato con quella lettera il sacrificio del “martire del Cilento”? La mia convinzione è che in quella cassa di legno non ci fosse il corpo del Sindaco ammazzato. Qualcuno ha avvistato una barca nel mare calmo del Cilento. A bordo c’era un uomo, ritornato a fare il pescatore, per lasciare un segno di coraggio, umiltà e determinazione.

Il piccolo Martin come John Kennedy jr. in quella foto…

L'ultimo saluto di John Kennedy jr. al padre

Rosario PipoloCi sono scatti fotografici che entrano nella storia e ci restano per sempre. Te ne dimentichi, ma poi ti tornano in mente e ti convinci che certi accostamenti vanno oltre l’emotività collettiva. Il 25 novembre 1963, ai funerali di John Kennedy, il piccolo John John salutò il padre sugli attenti e quell’immagine fece in poco tempo il giro del mondo. Non si è mai saputo  se quel gesto-icona fosse stato frutto di un protocollo, oppure la presa di posizione instintiva ed emotiva di un bambino che percepiva il dolore privato e collettivo per la perdita del Presidente degli Stati Uniti d’America. Il 21 settembre 2009, ai funerali di Stato dei sei parà caduti in Afghanistan, il piccolo Martin ripete quel gesto: indossa il basco, si mette sugli attenti e saluta il capitano Fortunato, fino all’altro ieri suo padre, da oggi eroe riconsciuto a furor di popolo . Tra John John e Martin ci sono distanze ultraoceaniche: il primo era figlio di un presidente “martire”, generato paradossalmente dalla mostruosità delle lobby americane; il secondo è orfano di un caduto a Kabul che gli ha lasciato il peso di una riflessione. Indossare “una divisa” non è come salire sulla passerella di una sfilata di moda, ma assumersi le responsabilità del proprio ruolo e dei suoi pericoli.  Forse questa considerazione non ha toccato per niente lo scellerato che ha scritto con spirito goliardico “meno sei”, riferendosi ai sei soldati morti dopo l’attentato sponsorizzato dai Talebani. Il saluto del piccolo Martin ci depura da quell’oltraggio offensivo. Adesso anche l’Italia ha una foto da conservare. Non è in bianco e nero, ma a colori per cicatrizzare meglio le ferite ideologiche che dividono stupidamente il nostro Paese.

Viareggio, sarai più la stessa dopo quei funerali?

viareggioblog

Rosario PipoloPiù che preoccuparci dei funerali di Michael Jackson e della sceneggiata mediatica a Los Angeles, dovremmo mantenerci nei paraggi: a Viareggio, dove rabbia e dolore non scemano dopo i funerali delle 22 vittime a seguito del deragliamento del treno merci. La città della Versilia non sarà più la stessa, soprattutto in questi giorni in cui il calendario ci dice che è estate. Ma quale estate? Chi ha voglia di aprire sdraio e ombrellone? Quando sarà ripristinata la stazione completamente, proveremo lo stesso smarrimento che ci assale sui binari di Bologna ripensando al nefasto attentato del 2 agosto del 1980. Sì, perché anche Viareggio ha subito il suo “attentato” scatenato dalla negligenza e dall’incompetenza di chi gestisce i treni in Italia. Basteranno questi fiumi di lacrime  a restituire dignità e sicurezza ai viaggatori? O una lapide commemorativa per seppellire la puzza delle coscienze? Ho un bel ricordo che mi lega ai viareggini: durante un carnevale di tanti anni fa, mi sono ritrovato a far festa nei quartieri della città toscana, marinando la solita sfilata dei carri. Tra coriandoli e maschere, la gente in strada mi offriva dolci e bevande. Ed io mi sono detto: mica hanno la puzza sotto il naso? Queste persone sono più “terrone” di me. Soffermandomi sull’immagine straziante di quelle bare, mi sono chiesto se tra le 15 vittime italiane ci fosse qualche volto incrociato in quell’occasione. I corandioli adesso sono lacrime, ma ci auguriamo che tornino ad essere “corandioli” di speranza per tutta la comunità.

Michael Jackson muore e il Pop ha il suo angelo

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Rosario PipoloLa musica mi appartiene. Ho attraversato la mia adolescenza tra John Lennon e i Beatles, naufragando sul rock di Bruce Springsteen negli anni ’80. Il rock è parte di me, il pop di meno. L’uragano Michael Jackson non ha mai avuto accesso alla mia sterminata discografia, se non con l’album Thriller. La morte improvvisa del Re del Pop e il delirio dei fan di queste ore mi portano ad una considerazione. Essere un angelo o un demone in questa vita poco importa, se poi si diventa l’ultimo immortale della musica. E’ accaduto una sola volta nella storia della musica, con la scomparsa di Elvis Presley, il re del Rock. L’anno scorso su questo blog ho ficcato il naso nelle contraddizioni dell’uomo Michael in bilico tra vizi, manie, accuse e l’affannosa ragione di essere “l’uomo che volle farsi bianco tra i neri”. Chi ha fatto della musica una religione ne sa qualcosa sull’effetto redenzione.  Michael Jackson ha consegnato la musica pop nelle mani degli Dei. I peccati evaporano col tempo, la faccia si consuma e vale la pena riesumare l’antenato della star: il bambino genuino dei Jackson Five, l’ultimo angelo ancora in volo!