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Il finto incentivo di 25 mila euro per il matrimonio: sull’altare mi sposo con un Pesce d’Aprile!

Rosario PipoloFino a ieri pensavo che il Pesce d’Aprile più simpatico fosse quello architettato dalla Casa Bianca: Robby, il Presidente Obama in formato kid, che con la sue smorfie alla “Arnold” ha fatto sorridere mezzo mondo. Mi sono ricreduto quando mi hanno segnalato la news di un fantomatico Giornale del Corriere: 25 mila euro di incentivo da parte della Comunità Europea a chi si sarebbe sposato entro il 2015.

Una volta per sposarsi bastava un prete, invece oggi davvero vale il detto della nonna: “Senza soldi non si cantano messe”. La notizia bufala ha fatto venire “la voglia dell’altare” persino agli indecisi, perché il contributo non sarebbe stato malvagio visto i costi esorbitanti di un matrimonio al giorno d’oggi. Ho pensato subito al “mio caro Sud” dove vince il detto “Cumpà, facimme a chi mette ‘a copp!”. In vista delle nozze gli sposini subiscono lo stress dei costi e la minaccia del business gonfiato intorno al “fatidico sì”. Dalle parti mie non provate a far incazzare ristoratori, fotografi, parrucchieri e fioristi che hanno imparato a memoria la solita filastrocca: il giorno più bello per gli sposi si paga.

Venticinque mila euro di incentivo ci farebbero comodi per soddisfare anche il divimo modaiolo dei fioristi, che oggi marciano in passerella e propongono cifre da capogiro per tappeti di fiori che dalla casa della sposa arrivano fino alla chiesa. Bisognerebbe avere il coraggio di dire no a tutto questo tam tam. Non per puntiglio, bensì per la dignità che ci hanno donato i nostri “nonni contadini”.

Il matrimonio felice della contrada, in una cartolina in bianco e nero del Secondo Dopoguerra, con il monello di mio padre e i suoi amichetti che passavano da una festicciola all’altra per mangiare qualche dolcetto. La sposa era bellissima con l’acconciatura fatta dalla vicina; lo sposo era radioso nell’unica foto in posa che veniva scattata; gli invitati erano soddisfatti del banchetto nunziale preparato in casa; la festa era indimenticabile nella cornice dei fiori del giardino tra petali profumati.

Lo scherzo dell’incentivo di 25 mila euro è stato un Pesce d’Aprile utile a farci riflettere. Svendere la magia di un giorno speciale calza la stessa taglia della meschinità.

La primavera del copyright su Internet tra rischi e pericoli

Rosario PipoloLa libertà su Internet è un valore sacrosanto ma stiamo attenti a non farla passare per libertinaggio dentro lo slogan abusivo “Musica e film gratis per tutti”. Chi fa la faccia storta alle restrizioni imposte da Agcom sulla violazione del diritto d’autore, tenga a mente questo: non si tratterebbe di una battaglia contro i portatori sani di informazione online, bensì una guerra a viso aperto ai “pirati della rete” che fanno quattrini sul lavoro di altri.

Questa ce la ricorderemo come la “Primavera del copyright su Internet”, perché da oggi 31 marzo scatta il regolamento per cui potremmo vedere oscurare il nostro sito, se usiamo materiale audio e video non autorizzato. Il manifesto si chiama www.ddaonline.it. Se portare in tribunale un pirata scoraggia per i tempi annacquati della burocrazia italiana, non dovrebbe esserlo riempire un form. La nostra segnalazione finirà davanti ad un giudice nel giro di 35 giorni? Staremo a vedere.

Hoster, uploader e pirati finiranno tutti nell’occhio del ciclone e avranno 5 giorni di tempo per correre ai ripari. A questo punto scatta il dubbio: chi stabilisce realmente il confine della violazione del diritto d’autore?
Faccio una dedica musicale in video a mia moglie per il nostro anniversario di matrimonio ed ecco il patatrac. Addio blog, au revoir sito. Regalo all’amico di infanzia una locandina taroccata del film “Ritorno al Futuro” con le nostre facce in ricordo dei bei tempi da teenager. Cosa replico all’Agicom? Mi diletto a ridoppiare una sequenza di un cartone animato in occasione del compleanno di mio figlio. Oscureranno anche il party del pargolo?

Chi fa il mio mestiere dovrà barcamenarsi tra i pericoli che corre sul blog personale e quello della testata giornalistica per cui scrive. Giornalisti e non solo sono accerchiati da una perplessità enorme. Non ha la puzza di conflitto di interessi che la posizione di “arbitro” spetti ad un’autorità amministrativa e non ad un tribunale? Il filo del buonsenso è stato già tagliato in due, soprattutto se la riduzione dei tempi di attesa di giudizio assomiglia all’anticipo della campagna elettorale.

Il sabato del “villaggio” incazzato: Il colle dell’Infinito di Leopardi in pericolo

Rosario PipoloCi sono paesaggi che la letteratura ha consegnato nelle mani dell’immaginario collettivo. Proteggere “l’ermo colle”, immortalato nei versi di L’infinito di Giacomo Leopardi, non è il sussulto di una protesta ambientalista né il desiderio degli stessi studentelli secchioni che imparavano Giacomo a memoria per portarsi a casa un bel voto.

Ripensando al mio viaggio a Recanati nell’estate del 2012, mi interrogo: In Italia siamo un Paese così cialtrone e qualunquista da correre il pericolo di trasformare questo scorcio in una vista abominevole. Scampato il pericolo di un centro commerciale, finiremo a guardare bikini e culi intorno a una piscina, nella cornice di un casolare di campagna.

Al di là delle mobilitazioni social – in primis la raccolta di firme capeggiata dall’edizione online del quotidiano il Messaggero – mi vien da dire come i ministeri della Cultura dei nostri governi passati non si siano posti mai la questione, ovvero difendere quelle zolle di terra che riguardano ciascuno di noi. Se passate a Lecco tra i luoghi di I Promessi Sposi, vi accorgerete degli scempi fatti lungo la visuale dell’abbraccio di un ramo del lago di Como che evoca “L’addio ai monti” manzoniano.

“L’ermo colle” di Leopardi non è né della famiglia del poeta recanatese né di chi vuole costruirci una country house con ombrelloni e sedie a sdraio. Appartiene a tutti noi che, almeno una volta della vita, abbiamo cercato di acchiappare con quei versi l’Infinito. E forse sarebbe più giusto piazzarci un piccolo palco e lasciare ogni santo giorno poeti e cantautori declamare i propri versi. Del resto in pochi ce ne siamo accorti. Giacomo Leopardi ha anticipato lo stile delle ballate musicali dei nostri tempi e oggi sarebbe un inarrivabile paroliere di canzoni.

Alleluja, Suor Cristina! Habemus la Sister Act italiana di The Voice of Italy

Rosario PipoloDurante l’intervista di qualche anno fa a Milano, a proposito della popolarità di Sister Act Whoopi Goldberg fece un inciso: “Quella suora è un personaggio ancora amato perché ha fatto venir fuori la parte migliore di sé, fregandosene dei tabù”. E così sia. Guardando la popolarità di suor Cristina, la star canterina di The Voice of Italy che sta facendo su YouTube il giro del mondo, vien da dire che quella di Whoopi sembra oggi una profezia.

La monaca canterina italiana, dopo aver mandato a far benedire il cliché della suorina riservata e chiusa chissà in quale convento, se ne sbatte dei tabù ed esce allo scoperto. Canta, punto e basta. E’ semplicemente una donzella che, dopo essere entrata a far parte dell’ordine delle Orsoline nel 2008, continua a coltivare la sua passione: il canto. Dopo un anno di pontificato di Papa Francesco, Raidue si gioca l’asso nella manica e fa in modo che The Voice of Italy dia una bella sgomitata ad X Factor, l’altro talent concorrente.

Questa volta “non è l’abito a far la monaca” ma voce, stile e la curiosità di vedere “una pinguina” ancheggiare su un palco. Tacciano i bigotti e i conservatori, nascosti sotto la cupola di San Pietro. Si erano convinti che “la svitata in abito da suora”, rinchiusa nel popolare film di Emile Ardolino, fosse una bizzarra follia del cinema. Invece ecco spuntare quello che potrebbe essere il personaggio televisivo dell’anno, o meglio l’ugola inviata dal Padreterno per abbassare la temperatura della diffidenza nei confronti delle pinguine.

Suor Cristina riscatta la sua categoria e sarebbe un vero peccato se restasse una macchietta che palleggia da una bacheca di Facebook all’altra. Noi vorremmo invece che questa Sister Act italiana ci ricordasse le tante “suore di frontiera” che, negli angoli sperduti del mondo,  cantano con la voce dell’operosità e mettono a rischio la propria vita a servizio degli ultimi, degli emarginati, dei dimenticati. Non è poi così banale rammentarlo.

Alleluja, suor Cristina!

Primavera: 40 storie da questo blog in un ebook su Amazon Italia

Rosario PipoloIn un afoso pomeriggio d’estate del 2008 ho aperto questo blog. E’ diventata la mia scrivania prediletta in Rete. Tanti post mi sono rimasti accanto e me lo faceva notare ciascuno lasciando un commento. Dopo 5 anni di attività mi sono chiesto: in quale angolo saranno finite tante di quelle storie? Sì, perché rileggendone alcune è come avere sotto gli occhi ritagli di racconti. Ne ho scelte 40, proprio come i miei anni, e le ho raccolte nell’ebook 40 storie (di un giornalista travestito da blogger con i lacci sciolti), disponibile da oggi su Amazon Italia.

Dopo vent’anni di lavoro tra editoria offline e online, sperimento per la prima volta il selfpublishing. Per leggere l’ebook non è necessario avere un ereader Kindle, ma qualsiasi device su cui potete scaricare l’app di lettura. Non è stato facile scegliere i post ma mi è venuto spontaneo ricucirli. Il filo conduttore resta il viaggio, su e giù per l’Italia, a caccia di storie vissute, di persone vere, popolando ritagli di cronaca e attualità con opinioni ed emozioni: il neonato che lotta per trasformare l’incubatrice in una culla; il vicino di casa che si preoccupa per te;  il coniglio che voleva assomigliare a un cagnolino per far felice mia sorella o il vigile che si fa custode della terra dei fuochi. Parto con quella dedicata a Lizzie e alle donne di una fabbrica di New York, che un secolo fa diedero significato al giorno della mimosa. Questo post è stato inserito nell’archivio della fondazione americana delle famiglie delle vittime di quell’incendio.

Accanto alle storie, ci sono le soste per mangiare durante i vagabondaggi da globe-trotter in Italia, tra il 2008 e il 2013, dalla trattoria sperduta nel montavano alla pasticceria catanese. Spero via siano utili per il vostro prossimo viaggio. Grazie a Camilla Aro per le illustrazioni con la sua matita magica e a Federica Piersimoni, popolare e appassionata travel blogger, per aver battezzato il mio primo ebook con una prefazione zeppa di entusiasmo.

Infine, grazie a tutti voi che mi leggete!

40 storie (di un giornalista travestito da blogger con i lacci sciolti) su Amazon Italia!

Il razzismo non ha età: gli USA scarcerano il Glenn Ford “nero” dopo 30 anni

Rosario PipoloL’anonimia con il famoso attore hollywoodiano non ha permesso al nostro Glenn Ford “nero” di sottrarsi alla condanna ingiusta dell’America razzista. Nel 1984, mentre gli USA erano sotto l’imperialismo repubblicano di Ronald Reagan e nelle classifiche musicali padroneggiava Born in the USA di Springsteen, una giuria di soli bianchi condannava Glenn per aver ucciso un gioielliere durante una rapina.

Il suo grido di innocenza non scompose neanche la Casa Bianca, come del resto accade per tanti che scontano una pena ingiusta. Glenn non era presente a quella rapina ma fu mandato dietro le sbarre del Braccio della Morte, l’inferno della prigionia. Nel 1988 rischiò di essere giustiziato e fu salvato per capello da un giudice della Louisiana che volle vederci chiaro nella faccenda.

Dopo 30 anni il signor Ford è stato scarcerato con una pacca sulla spalla e un sacchetto di dollari che mai gli restiuiranno il tempo perduto e la sofferenza patita. Glenn entrò in carcere da papà ed ora esce da nonno e, per una giunta, con una beffa: Barack Obama, un presidente nero alla Casa Bianca.
Cosa racconterà ai suoi nipoti? Che gli Stati Uniti hanno attraversato una buona parte del XX secolo lavandosi la coscienza con il tanfo dei dollari. Tutto sommato le gravi discriminazioni razziali non si concentrano tra gli anni ’50 e i ’70 così come le parabole di Martin Luther King non graffiano solo, come gli spruzzi di bombolette spray, i muri delle coscienze in cancrena.

E forse sarebbe di buon auspicio se Glenn Ford ricevesse un invito dal Presidente degli USA per un pranzo alla Casa Bianca. Un nero che guarda negli occhi un altro nero nella sala ovale del potere, come per dire che l’America di colore non è soltanto quella umiliata nel Braccio della Morte.

Musica da talent: Gianna Chillà e Daria Biancardi, voci regali di The Voice of Italy

Rosario PipoloIn Italia non abbiamo la cultura dello scouting musicale nei locali. Gli Stati Uniti ce lo hanno insegnato ma noi facciamo orecchie da mercanti. Qualche volta dal trash dei talent show esce qualcosa di buono. Dalla prima puntata di The Voice of Italy, il programma televisivo di Raidue, sono sbucate fuori due vocalità incredibili: Gianna Chillà e Daria Biancardi.

La prima è una Janis Joplin indiavolata tutta italiana; la seconda ha una vocalità con schizzi black, molto intensa. Sulla pagina facebook di Gianna, intitolata “Janis is Alive”, è chiaro che il suo percorso omaggia l’angelo blues caduto in volo della storia del rock. La Chillà è “la regina scalza” di questo primo round, anzi potrebbe esserlo per tutte le puntate The Voice of Italy. Spacca tutto, ha un’energia sorprendente, padrona della sua voce la gestisce con mille acrobazie.

Daria Biancardi, nonostante sia stata svezzata nella sua Palermo con panelle e arancini, assomiglia a una di quelle singer  incrociate nel Village della Grande Mela. Daria è newyorkese nell’anima vocale, ha una sua personalità, la black music le scivola bene addosso ma può allenarsi ed arrampicarsi su altre cime.

Due gran belle voci ce le portiamo a casa. Adesso bisogna trovar loro dei gran bei pezzi e fare in modo che, finita la primavera di The Voice of Italy, Gianna e Daria non tornino ad essere due voci qualunque, disperse nel supermecato musicale italiano dell’omologazione.

Diario di scuola: l’immensità e il prof. di matematica Nello Altavilla in corso Buenos Aires a Milano

Rosario PipoloPasseggiando a tarda sera su corso Buenos Aires a Milano mi ronzava in mente il ritornello de “L’immensità”,  la celebre canzone scritta da Don Backy ed ispirata da una traversata a notte fonda nel corso milanese. Dopo aver canticchiato per alcuni metri “Io son sicuro che in questa grande immensità qualcuno pensa un poco a me e non mi scorderà” mi ritrovo faccia a faccia con un signore settantenne.

Lo riconosco. E’ il professore Nello Altavilla, che nel 1987 mi di disse:  “La matematica non è il tuo mestiere ma mi hanno detto che in italiano vai forte”. Accadde in una scuola media alla periferia di Napoli. Tante generazioni lo hanno avuto come docente di matematica. Nonostante per me fosse un supplente, è rimasto vivo il suo ricordo tra le pagine del mio diario scolastico. Finiamo a mangiare una pizza insieme, ci insoliamo dagli altri commensali.

Il prof. Altavilla trova terreno fertile di fronte a sé – non si accorge del reporter che c’è oltre la corteccia dell’ex allievo tra ricordi scolastici mescolati a quelli dei suoi studi. Li ariamo insieme e germogliano i sogni della generazione degli anni ’50 del secolo scorso, da studente dell’Alessandro Volta di Napoli fino ai giorni in cui andava a caccia di Renato Caccioppoli, il matematico napoletano raccontato magnificamente al cinema da Mario Martone. Il filo della memoria di Altavilla è lucido e il suo umorismo, che evoca quello dell’Alberto Sordi intervistato, colora la nostra conversazione. La memoria di Altavilla raccoglie ciò che ne era della provincia di un tempo, della semplicità perduta, dove anche la goffaggine e la “spavalderia dei vitelloni felliniani” erano in sintonia con quelle del Belpaese in bianco e nero.

Giungo ad una conclusione: la scuola ai tempi in cui ero allievo sedimentava legami speciali tra docenti e alunni. Nonostante sia passata tanta acqua sotto i ponti, troppa forse, il professore veterano fila la lana della confidenzialità con uno dei suoi tanti allievi. Questo per dire che, se ognuno di noi trovasse il coraggio di andare a far visita ad un ex professore in pensione, regaleremmo al nostro interlocutore la gioia di chi non vuole essere trascurato.

Il professore Nello Altavilla non si era accorto di essere finito in un’intervista. E forse un giorno ci ritroveremo a fare una passeggiata sottobraccio, a notte fonda, in corso Buenos Aires a Milano, canticchiando L’immensità. “Sì, io lo so tutta la vita sempre solo non sarò” metterà nero su bianco il legame tra un professore di matematica e un alunno “preso in prestito” in un’altra classe, che in fin dei conti non avevano smesso mai di volersi bene.

La grande bellezza, l’Oscar per guardarci intorno

Rosario PipoloLa grande bellezza è la coppia di parole più digitata della rete da stamattina all’alba. Ce ne siamo fregati degli sbadigli del fuso orario pur di sapere se il film di Paolo Sorrentino aveva riconsegnato nelle mani dell’Italia un bell’Oscar.

Ciondolando da un social network all’altro mi è parso di capire che il titolo cinematografico si sia imposto quasi come uno slogan che riguarda ciascuno. È stato come ritrovare una vecchia lente di ingrandimento in un cassetto chiuso a chiave per tornare a guardarci intorno.

La grande bellezza non è lo sguardo cocciuto che rende strabica la nostalgia, nel rimpianto della giostra felliniana che vestiva Roma di sogni ed eleganza. La grande bellezza è piuttosto lo stupore di un Paese che non è soltanto corruzione, mostruosità, rassegnazione. È come se, svegliandoci da un brutto sogno, avessimo messo al guinzaglio l’essere brutti, sporchi e cattivi.

La grande bellezza è nell’arte che popola lo stivale italiano che, quasi come un paradosso, fa andare in frantumi la Pompei archeologica. La grande bellezza è nei sogni discreti di quella minoranza stanca del populismo politico e culturale. La grande bellezza è nelle donne che guerreggiano contro il maschilismo che preferisce un ramo secco al posto della freschezza di una mimosa. La grande bellezza è tra gli impavidi che non ci stanno a vedere il futuro della propria terra crescere sotto il ricatto della diossina e della criminalità. La grande bellezza torna nel palmo della nostra mano, appena stacchiamo la maledetta spina della routine che ci condanna alla distrazione e alla superficialità.

Paolo Sorrentino non ha regalato all’Italia una pregiata statuetta ma uno spunto per tornare ad arare il campo della grande bellezza di cui vorremo parlare. L’euforia passeggera di un trionfo può lasciarci addosso la paura di perderci nel buio; un film che ci fa dondolare come su un’amaca può sottrarci al terrore di guardarci intorno.
E in questo momento ne avevamo davvero bisogno.

Tutto il resto è noia: via in fretta da Sanremo 2014 senza né vinti né vincitori

Rosario PipoloAbbiamo smaltito già il colpo basso del televoto del Festival di Sanremo. Neanche più ci ricordiamo chi è arrivato in cima all’Ariston. Non ricordiamo né vinti né vincitori di questo Sanremo 2014, riflesso del Belpaese in una pozzanghera che vorrebbe sotterrare “contro vento” la musica sotto la melma.

Dimenticheremo in fretta le canzoni dei Big – che poi BIG non sono stati – nonostante Spotify e Deezer si facciamo la guerra ai tempi della “musica liquefatta” e isolino la singola canzone dalle compilation sanremesi a cui eravamo abituati ai tempi di cd e vinile.
Dimenticheremo in fretta le canzoni di questo Sanremo che si è ostinato a cercare la bellezza tra la puzza dei vagoni della cronaca, della storia televisiva del Servizio Pubblico, negli sketch noiosi che scimmiottavano i bei tempi del varietà.

“Grazie dei fior” che non abbiamo ricevuto perché anche le rose e le margherite sanremesi sono state epurate dal Festival così come le canzoni che non hanno avuto tempi e spazi giusti. Siamo un paese governato dal giovanilismo di cartone politico e poi all’Ariston i giovani vedono un microfono dopo mezzanotte. Per fortuna le Nuove Proposte hanno energia e spaccano lo schermo.
Dimenticheremo in fretta le canzoni di questo Festival di Sanremo. A far rimbalzare questa volontaria smemoratezza ci sono un inatteso flashmob musicale, la triste notizia della scomparsa del “Grande Joe” del Banco o la poetica ninna nanna di un songwriter americano convertito all’Islam. Salviamo almeno queste tre polaroid.

Dimenticheremo in fretta il rapper, che ha rivestito “la terra dei fuochi” di “terra del sole”, se nel giro di qualche anno il suo pubblico lo trasformerà da ranocchio nel bel principe dei “neomelodici”.
Dimenticheremo in fretta il buonismo o l’acidità social che gironzola sui tacchi a spillo nei giorni festivalieri. Tanti sono convinti che per giudicare una canzone basta essere ciò che non siamo.

Non ci resta che piangere? No, perché Sanremo è Sanremo. E se tutto il resto è noia? Ci siamo fregati con le nostre stesse mani, perché non c’è Franco Califano a cantarci il refrain.