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Viaggio nel Medioevo: da giornalista a cantastorie al Castello di Bevilacqua

Foto di Tony Anna Mingardi

Foto di Tony Anna Mingardi

Rosario PipoloChi non ha sognato almeno una volta nella vita di incontrare Emmett “Doc” Brown, l’eccentrico scienziato del film Ritorno al Futuro, per fare come Martin un gran bel viaggio nel tempo? Io ci ho provato per ventiquattro ore, andando oltre i ghiribbizzi fantastici, senza ricorrere ai soliti parchi tematici che tendono a scimmiottare in maniera gogliardica la ricostruzione storica.

Me ne sono andato a zonzo nel Medioevo con la mia penna da cronista, per fare un mini reportage e mettermi alla ricerca degli antenati che avevano cucito un filo temporale fino al mio futuro. Mi sono ritrovato nell’Italia Medievale, intorno al Castello di Bevilacqua costruito da quel Guglielmo I Bevilacqua, che mi ha concesso benevolmente di portarmi dietro gli inseparabili occhiali e lo smartphone per twittare. L’abito nuovo mi calza a pennello, incluso il cappello. Io sono mancino e non rinnego le origini. Riuscirò mai ad usare le piuma d’oca, inchiostro e calamaio per appuntare sul mio diario?

L’euro non vale niente nel Medioevo. Non so come fare per mangiare. Chi mi crederebbe mai che vengo dal futuro? All’entrata del Castello inciampo nella bontà di Anna. Mentre la sorellina Giulia fa da sentinella, Anna mi lascia passare sotto un tunnel, facendo credere a tutti che sono Enrico, il factotum di Guglielmo I che indossa il mio stesso abito da cantastorie. Arrivo alle cucine del castello e riesco a mangiare selvaggina e verdure, bevendo del buon vino.
Dalla sala accanto sento la voce di un attore che recita stralci di Mistero Buffo. Lui si accorge di me, si avvicina e mi prende per il cappello: “Straniero, lo so che tu vieni da lontano. Quando tornerai a casa tua, va’ a bussare alla porta del grande Dario Fo e digli che io fui suo antenato. Sono l’attore Alessandro Martello”.

E’ notte fonda. Sono fuori dal castello. Trovo un accampamento. Omero, capitano della Compagnia d’Arme San Vitale, mi offre l’ospitalità. Isabella, Anna e Moreno pensano ad allestire la tenda; Marcello e Sabina si fanno in quattro per trovare delle pelli come coperta; Giulia mi guida nel posto dove dormirò, facendomi luce con una candela. La notte passa, mi sveglio di soprassalto. Esco dalla tenda e mi incanto a godermi una meravigliosa alba che sbarba il castello di Bevilacqua. Mi raggiungono Paolo, Theo, Yuri, Renato, Oriella e Sandra.

E’ il dì di festa. E’ domenica. Arrivano grandi e piccini, c’è musica, sfilano gli sbandieratori, gli alfieri della Regina di Piovene Rocchetta, saltibanchi e giocolieri. Massimo, Davide, Gabriele, Alessandro, Arianna e Valeria fanno strepitose magie, parlando con la cadenza della mia Napoli. Irene non ne vuole sapere. Nonostante sia imbranato, mi insegna a camminare sui trampoli, facendo buon uso della maschera.

L’incantesimo sta per finire. Vorrei che non arrivasse più questo ritorno al futuro. C’è tanta umanità e solidarietà tra questa gente, che non divora lo scorrere del tempo con la nostra frenesia. Abbiamo rinnegato il vivere per l’arte, perchè ci fa palpare il mondo con gli occhi della fanciullezza.
Prima della partenza, mi commuove un esercito di bambini che combatte l’ultima battaglia per lasciare un messaggio chiaro a noi saccenti del futuro: “Perchè non gettate via le armi e usate gli abbracci per riscoprire la ricchezza che c’è oltre la corteccia della diversità?”.

Dimentico il cappello e la mia piuma d’oca. Ora come vi dimostrerò che sono stato per ventiquattro ore nel Medioevo? Gli appunti si sono sbiaditi. Le emozioni per niente.
Nel taschino trovo un biglietto con una dedica di Guglielmo I Bevilacqua che, nella transizione da passato a futuro, si è disciolta nell’inchiostro di un pensiero di Alfred De Musset: L’immaginazione a volte dispiega ali grandi come il cielo in un carcere grande come una mano”.

LINK CORRELATO:
Spunti e riflessioni nel mio articolo su Italia Medievale.org

Just Married al Castello di Bevilacqua e l’artigianato locale per gli sposi

Rosario PipoloNon mi piacciono le fiere dedicate ai matrimoni. Le trovo noiose, a volte volgari, con quel prurito che contraddistingue il mercante, disposto a venderti qualsiasi cosa. Perciò credo che sia riduttivo definire Just Married, la domenica di novembre che il Castello di Bevilacqua dedica ai futuri sposi, come evento o fiera matrimoniale.

Mi sembra piuttosto il raduno di artigiani appassionati che, sulla frontiera veneta tra il veronese, il vicentino e il padovano si incontrano in una cornice incantata – quella di un vero castello appunto – per provare a dare al matrimonio un tocco di autenticità. Per me è artigiano chiunque contamini il proprio lavoro con le radici che lo legano al territorio.

Da questo punto di vista lo sono anche Roberto Iseppi e Miresi Cerato, padroni di casa al Castello di Bevilacqua, portatori sani dell’artigianato nello stile che fa essere questa location del Veneto un punto di ritrovo e riferimento di memoria per tutta la comunità locale.
Mi infiltro a Just Married, mescolandomi tra quelli dello staff, per capire se l’organizzazione di un matrimonio affoghi soltanto nel becero business.

Cambio idea quando vedo la matita magica di Giulia Gazzani disegnare la coppia – scelta come immagine di questo post – che, con lo stesso garbo dei fidanzatini di Peynet, incornicia lo spirito di Just Married: i sogni di Ester e Ime guariti nel loro inconfondibile cake design; il make up di Chiara dallo slogan “il trucco c’è ma non si vede”; la serigrafia di Valentina e Alice tra idee eleganti; l’occhio fotografico di Vinicio, il flauto traverso di Chiara o l’esuberanza di Giorgia che farebbe ballare anche la coppia di sposi più ingessata.

Valorizzare la creatività e l’unicità dell’artigiano locale è il piccolo grande valore aggiunto di Just Married. Ed è giunta l’ora che lo riconoscano anche le istituzioni provinciali e regionali, perché non basta canticchiare all’occorrenza “Oh che bel castello, Marcondiro ndiro ndello”. E scusate, se insisto.

Diario di viaggio: se al castello di Bevilacqua le stelle stanno a guardare

Rosario PipoloSe le stelle stanno a guardare attraverso un castello, allora ti convinci che la magia della tappa di un viaggio può prendere la piega dell’autenticità. Nei miei vagabondaggi mi tengo alla larga dai “resort siliconati” che si sforzano di essere ciò che non sono.

Cinque anni fa sono finito la prima volta al Castello di Bevilacqua: in quella zolla di frontiera veneta tra il vicentino e il padovano, mi sono sentito come il forestiero finito nelle buone mani di una famiglia castellana. Roberto, Miresi, Anna, Marco e i piccoli Andrea e Giulia mi hanno guidato a vestirmi con la storia di questa location che custodisce memoria, irradia un territorio spesso dimenticato.

Le stelle sanno metterci il resto, se capiti al castello ad un passo dalla magica notte di San Lorenzo. Le stelle si appostano già qualche sera prima e così Roberto Sannevigo, presidente del Planetario di Padova, mi toglie piccole curiosità, svela segreti e mi racconta della sua infinita passione per le stelle.
Non capita spesso una piacevole cena sotto le stelle e così tra una portata e l’altra mi concedo “il lusso” di importunare lo chef per farmi spiegare qualche trucchetto. Lui però non sa che io sono una vera frana ai fornelli!

Se le stelle stanno a guardare al castello di Bevilacqua, io allora fisso quella che brilla di più e mi torna in mente un veneto sognatore che più di venticinque anni fa vide un castello abbandonato e se ne innamorò. Gabriele non era un visionario, era piuttosto il veneto che sapeva rimboccarsi le maniche e fare dell’ultimo pezzo della sua vita il prolungamento di un sogno da condividere con tutta la comunità del territorio.

Con i sogni si può costruire la vita. Perciò ogni volta che me ne vado dal castello di Bevilacqua, ho una voglia matta di rimettermi a scrivere. Sono le piccole storie “segrete” dell’Italia che mi piace raccontare. Nessuno aveva capito il motivo per cui sono tornato al castello di Bevilacqua: riprendermi la stella del viaggiatore. Oggi quella stella brilla tra memoria e sogni futuri e porta il nome di Gabriele Cerato. I suoi nipoti Anna e Marco, che sembrano usciti dalla famosa canzone di Lucio Dalla, hanno la sensibilità per diffondere tra i giovani questa passione.

La cucina del Molin Vecio e la geografia della memoria di Vicenza

Trattoria al Molin Vecio

Rosario PipoloHo iniziato il mese di agosto rinunciando allo scontato weekend al mare. Invece di litigare con il vicino maleducato in spiaggia, ho bisticciato con le tabelle di orario degli autobus di Vicenza. Dovevo spostarmi dal centro della città veneta a Caldogno, a pochi passi da lì, per quello che doveva essere un normale pranzo d’estate. Così non è stato. Da sempre sono convinto che un libro, una canzone, un film così come un buon piatto possano tracciare la geografia dei luoghi e della memoria. Mi annoiano sempre più le recensioni musicali o gastronomiche fine a se stesse, quasi fossero insopportabili ritagli di narcisismo e autocompiacimento di chi le scrive. Alla trattoria Molin Vecio, all’interno di un vecchio mulino del ‘500, non ho incontrato uno chef  “stellato”, ma un signore sulla cinquantina appassionato di gastronomia. Sergio Boschetto ha l’aspetto di un romantico folksinger di Nashville, ma altro non è che un “etnologo del gusto”, uno che ad un piatto di cucina vi aggiunge un pizzico di antropologia culturale e sociale. Fare un’incursione storica nella Vicenza rinascimentale attraverso il menu palladiano proposto dal Molin Vecio, mi stuzzica una considerazione: persone come Boschetto sono un bene prezioso per la comunità e le autorità locali dovrebbero ampliare il loro spazio d’azione. Non è un grande privilegio oggigiorno uscire da un ristorante, aver mangiato bene ed avere in mano come souvenir la cartina storica e geografica di una realtà che non conosci? Il vicentino va riscoperto. Cominciamo a farlo da settembre con le scolaresche perché le uscite fuoriporta dei nostri ragazzi non si riducano soltanto a banali scampagnate. E il Molin Vecio sarebbe una bella sorpresa per loro, anche in materia di educazione alimentare per riscoprire i prodotti locali del Belpaese.

Il sogno di un veneto al Castello di Bevilacqua

castello150Continua a piacermi l’idea di vagabondare in posti minuscoli dello stivale italiano alla ricerca di storie da raccontare, dei sogni di piccoli uomini. Come quello di un imprenditore veneto che quasi venti anni fa ha visto il rudere di un castello e se ne è innamorato. Gabriele Cerato non ha pensato di restituirgli una seconda vita per viverci con la sua famiglia, ma per condividerlo con gli altri. Oggi il Castello di Bevilaqua è una delle location più suggestive del padovano,  a pochi passi da Montagnana. Pernottando lì ho capito che le atmosfere fiabesche possono stare anche ad un passo da casa tua, basta cercarle. Al di là delle leggende, non ci sono fantasmi, ma solo una memoria storica di più di 700 anni. Il sogno di quell’anziano signore veneto è rimasto in eredità a Roberto Iseppi e sua moglie Miresi che gestiscono il castello di Bevilacqua con ragguardevoli riscontri. Oltre ad apprezzare l’audace arte culinare dello chef, mi ha colpito la vera anima di questa coppia castellana: aprire la location a tutti, anche per una semplice visita monumentale. Un’amica insegnante alle elementari mi ha raccontato di aver portato la classe. Gli alunni sono rimasti entusiasti. Qui la questione è un’altra. A rendere fiabeschi gli scenari non sono i luoghi, ma soprattutto le persone. E il sogno di quel signore veneto aleggia ancora tra le mura perché è la memoria di Gabriele Cerato a custodire la magia di quel castello nel padovano! 

Il prosciutto di Montagnana, dal sapore alla geografia dei luoghi

prosciutto150A casa mia il prosciutto crudo non è mai mancato. Da ragazzino ero sfaticato nelle faccende domestiche, ma a fare la spesa ero il numero uno! Se il salumiere non me lo dava a taglio perfetto,  lo eliminavo dalla lista della spesa.  La salumeria è un’arte e lo conferma la mia recente sosta a Montagnana, graziosa località veneta e patria di un prosciutto dolce dop. Volete provare a far sussultare il vostro palato? Assaggiando il crudo dell’antico prosciuttificio Attilio Fontana , mi sono convinto della via che unisce gusto e geografia dei luoghi. Lo so di essere troppo “proustiano”, ma il sapore del crudo di Montagnana non ha spalmato solo qualche ricordo nel mio fine settimana veneto. Ha risvegliato in me una più acuta tutela e promozione del patrimonio gastronomico locale, a cui le istituzioni locali devono dedicare tutti gli sforzi possibili. Potrebbe essere la volta buona per farci disinnamorare dei salumi industriali e delle tristi corsie degli ipermercati.