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Regalo di Natale: Luigi Tozzi, il consigliere comunale di Carinola che sfida la disabilità

Per Natale mi piace raccogliere storie autentiche dai miei viaggi per salvaguardarmi dalla solfa social di questi giorni. Luigi Tozzi, “il ragazzo della frazione Nocelleto” che per una vita ha sfidato la disabilità, festeggia il primo Natale da consigliere comunale di Carinola, nel fazzoletto di terra campano della provincia di Caserta.

LUIGI, REGALO DI NATALE PER LA COMUNITA’

In un gelido inverno di una quindicina d’anni fa, mi ero spinto venendo da Milano in uno dei miei vagabondaggi oltre Sessa Aurunca, nella zolla di frontiera campana in cui si fronteggiano la provincia di Caserta e il basso Lazio. Mi aveva colpito l’entusiasmo di Luigi Tozzi, un ragazzotto di periferia che, tra studi giuridici e impegno nel sociale, si era liberato dalla prigionia della disabilità.
Luigi sapeva bene cosa fossero gli schiaffi della vita, cosa significasse trovarsi in mezzo ad una bufera, tutti avevano imparato a volergli bene per tenacia, coraggio, passione per la vita. Aveva sempre una parola buona per tutti ed era già allora, in tempi non sospetti, un regalo di Natale per la comunità.

A SUD, UNA RAZZA IN ESTINZIONE

Oggi da consigliere comunale con delega alla disabilità Luigi Tozzi è la massima espressione di una comunità che ha avuto l’intelligenza di riconoscergli il merito di appartenere ad una razza in estinzione del Sud Italia.
Nei giorni bui della pandemia, che ci ha catapultati nel recinto della libertà vigilata, il ragazzotto della frazione Nocelleto resta il fante della libertà di essere in primis sé stesso, quella per cui ciascuno di noi dovrebbe battersi nel suo piccolo: dare calci in culo all’arretratezza subculturale che vorrebbe la diversità come sponda di emerginazione e non un fiume in piena di ricchezza.

NATALE TRA RINASCITA E SPERANZA

L’Italia è fatta di tanti Luigi invisibili, di cui invece bisogna tornare a parlare, a raccontare, per lavare i panni sporchi dallo streaming di selfie dei goffi “babbi natali” (pardon, babbei natali) che mendicano un pizzico di notorietà abusiva.
Se Natale è rinascita, senza vergognarci delle nostre millenarie radici cristiane, allora Luigi Tozzi nella sua sfida alla disabilità è un esempio per tutti noi, codardi e piagnucolosi di fronte alle prove delorose della vita. Nel buio della notte c’è sempre un barlume di luce e quelli come Luigi sono una risorsa per una piccola comunità, per il Meridione d’Italia, per il nostro Paese che ha smesso di sognare per fare posto alla paura, all’incertezza, alla precarietà collettiva.

Carmine D’Amora, il capotreno Trenitalia che fa la differenza in Campania

I deficit del trasporto ferroviario regionale passano spesso ai doveri della cronaca, dimenticando il personale che può fare la differenza. Chi percorre come me migliaia e migliaia di chilometri in treno all’anno in Italia sa bene che il viaggiatore dell’Alta Velocità è più tutelato rispetto a quello di “serie B” del trenino regionale. Se poi capita l’inconveniente la forbiciata è ancora più ampia.

La Campania finisce spesso sotto l’occhio del ciclone per i disservizi del trasporto ferroviario locale, ma non si parla mai delle risorse che possono far luccicare Trenitalia in un momento di criticità.
Carmine D’Amora, ingegnere meccanico con lode di 27 anni, è un giovane Capotreno Trenitalia di Pompei, alla periferia di Napoli. Se non ci fosse stato lui sul treno metropolitano 26059 Caserta-Napoli Campi Flegrei, il ritorno nella terra in cui sono cresciuto sarebbe stato associato ad un venerdì nero: quante sono le probabilità di ritrovare un pacco dimenticato con documenti importanti?

La polizia ferroviaria di Napoli Centrale si è messa in contatto con Carmine, spiegando l’accaduto. Nel tratto metropolitano tra piazza Garibaldi e Mergellina, a prima mattina, il treno era zeppo di passeggeri e il giovane capotreno ha attraversato i vagoni, riuscendo a recuperare il pacco e tutto il suo contenuto. Non ho mai conosciuto di persona Carmine, perché in realtà la consegna è avvenuta in altre mani. Attraverso i social network mi sono messo alla ricerca di questo “eroe della ferrovia” per ringraziarlo e lui mi ha risposto con umiltà: “Ho fatto semplicemente il mio dovere, tutto qua”.

Aveva scritto un tempo lo scrittore e rivoluzionario cubano José Julián Martí Pérez “Aiutare chi ha bisogno non è solo parte del dovere, ma anche della felicità.” Carmine D’Amora lo ha messo in pratica con l’umiltà di chi è andato oltre il proprio dovere.
Un paio d’anni fa la mia Freccia da Milano per Napoli ritardò di mezz’ora. Fu avvertito il capotreno del locale corrispondente, per pochi minuti non volle aspettarmi e persi l’ultima coincidenza per Caserta via Cancello. Mi pagarono un taxi per raggiungere la destinazione. Questo per dire che non tutte le risorse di un’azienda sono uguali.

Viaggiando in 48 Paesi del mondo ho imparato che sul tuo cammino incrocerai spesso persone disposte ad aiutarti. Basta saperle intercettare. La routine e la frenesia ce lo fanno spesso omettere.
In Carmine ho ritrovato riflesso ciò che ero alla sua età, un ragazzo del Sud energico e pieno di voglia di realizzare tanti piccoli grandi sogni. Spero che questo gesto aiuti il suo datore di lavoro e tutti coloro accecati dal pregiudizio a confermare che il nostro Meridione può essere orgoglioso della generazione Millennials che il capotreno di Pompei rappresenta egregiamente.

Vietato attraversare i binari: Casalnuovo di Napoli perde la sua Raffaella

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Rosario PipoloHo attraversato l’Italia in treno per centinaia di migliaia di chilometri e ho visto di sbieco persone di tutte le età attraversare i binari senza usare il sottopassaggio. Peggio ancora li ho visti a quei maledetti passaggi a livello, che non dovrebbero esserci più nei centri abitati, correre di corsa prima che il treno passasse.

A un mese di distanza dalla modella distratta dalla musica e travolta da un Frecciarossa attraversando i binari a Milano, ecco l’ennesima tragedia. Questa volta è accaduto dall’altra parte dello stivale, sulla linea ferroviaria Napoli-Caserta via Cancello che conosco benissimo. Raffaella, 20 anni, è morta sul colpo dopo aver attraversato i binari, al passaggio a livello del centro abitato di Casalnuovo di Napoli. L’intera comunità è sotto choc ed è legittimo dopo l’ennesimo accadimento che dimostra quanto manchi la cultura della sicurezza in Italia.

Qui, infatti, non è una questione di Sud o Nord Italia, ma di un Paese intero. Nel 2015 sono stati registrati 89 decessi di pedoni sui binari e la regione colpita maggiormente è la Lombardia.  La Campania è in quinta posizione. Quanto fanno le istituzioni locali per sensibilizzare sul tema giovani e meno giovani?

Il miglior modo per riscattare la morte di Raffaella non è lasciare mazzetti di fiori a ridosso del maledetto passaggio a livello, quanto convincere gli amministratori locali a finanziare una campagna di sensibilizzazione sul tema. Il buon esempio potrebbe partire proprio dai primi cittadini delle città con le stazioni sulla linea ferroviaria Napoli-Caserta via Cancello.

E’ vero, siamo noi i responsabili di questi accadimenti quando ci mostriamo irrispettosi delle norme di sicurezza. Tuttavia, diventano complici anche le istituzioni quando non mettono un territorio, distratto dal flagello di tanti disagi sociali, nelle condizioni di affrontare la vita di tutti i giorni con la consapevolezza che la sicurezza è un pilastro della nostra civiltà.

Terra dei Fuochi e tv di regime

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Rosario PipoloNelle province campane di Napoli e Caserta, cuore della Terra dei Fuochi, il tasso di mortalità è aumentato in maniera spropositata. La maggior parte dei casi sono per tumore o leucemia: 28,9 e 27,5 decessi per diecimila abitanti, sono i dati forniti da Corriere.it.

I dati dell’Istat parlano anche di mancanza di posti letto negli ospedali e, di conseguenza, di un doloroso flusso di migrazione per curarsi altrove. Vi siete accorti che il vostro vicino, per giunta gravemente ammalato, sta ipotecando l’appartamento o sta facendo questua tra i  parenti per finanziare il viaggio della speranza?

Nel frattempo a Porta a Porta, salotto televisivo tutto tarlato da Prima Repubblica, si parla di Terra dei Fuochi, annaquando la terminologia del tumore con malattia grave. Del resto in questa tv pubblica di regime, a cui verseremo dal prossimo luglio in bolletta il canone televisivo, i panni sporchi si lavano in famiglia – come recitava nel suo breviario il divo Giulio – sbiancando la coscienza con qualche fiction tv sul delicato argomento.
Chissà se ne prenderà atto il nuovo direttore di Raiuno Andrea Fabiano che dovrebbe svecchiare la rete ammiraglia di mamma RAI.

Tornando alla Terra dei Fuochi, è raccapricciante come nella città di Napoli, colpita anch’essa da dilaganti casi di mortalità,  tornino a farsi spazio i vicerè dello stantio rinascimento partenopeo. Manca poco al 6 marzo, giorno delle Primarie per scegliere il candidato a Sindaco del capoluogo partenopeo. Non basta più la rabbia esplosiva da rapper, la cantata del neomelodico o la promessa politica.

“Masaniello è cresciuto, Masaniello è turnato” per non farsi beffeggiare, per non farsi derubare il diritto alla salute.

I Love Ischia, l’isola romantica che ha salvato l’ultima cabina telefonica

Rosario PipoloSi può essere romantici senza essere per forza nostalgici, appendendo i corsi e ricorsi storici di una comunità ad una vecchia cornetta del telefono. Mentre l’Italia si disfa delle obsolete cabine telefoniche, l’isola di Ischia dà una bella lezione alla natività digitale: salviamo l’ultimo telefono pubblico. La notizia fa subito il giro del web.

L’emancipazione tecnologica fa un passo indietro di fronte a questa notizia di colore, mettendo alle strette la mia generazione. All’alba degli anni ottanta ho assistito al pensionamento del gettone telefonico e ho visto, nel giro di un decennio, spuntare come funghi i nuovi telefoni panciuti, che masticavano schede telefoniche.
Negli anni ’90 vi ricordate i tipi sospetti che sostavano nelle cabine telefoniche nelle ore serali? Li scambiavamo per un killer o il maniaco di turno, invece erano gli inarrestabili collezionisti  a caccia di schede telefoniche dimenticate, smagnetizzate.

A Ischia, l’isola dove ho cominciato la mia attività di giornalista, fu proprio una cabina telefonica a salvarmi per chiedere asilo in redazione, dopo aver perso l’ultimo traghetto per Napoli. Oggi basterebbe un messaggio su WhatsApp ad uno degli amici della community social di I Love ISCHIA, che si prodigherebbe per ospitarmi.

Mi toccherà fare un salto a Succhivo, il piccolo comune ischitano battutosi a furor di popolo in difesa dell’ultima cabina telefonica, con l’ultima moneta in tasca, come accadeva negli anni universitari.
Quando le telefonavo dalla cabina, ero costretto a trovare una ragazza per strada che si fingesse sua amica. Mentre la mamma andava a chiamarla, attraversando il lungo corridoio al secondo piano, mi ero giocato già una parte del tempo della telefonata. Per fortuna, la cabina era a pochi metri da casa e così quella volta le dissi: “Prima che si interrompa la telefonata, mettiti dietro la finestra. Io sono accovacciato sulla Vespa”.

Ci inventammo così la prima videochiamata da un telefono pubblico.

Nati per leggere, profumo di ginestra sulla Terra dei Fuochi

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Rosario PipoloE’ stato emozionante sabato pomeriggio entrare nella scuola primaria Gianni Rodari di Castello di Cisterna, alla periferia di Napoli, e trovare un mucchio di bimbi alle prese con i libri  perchè dopo tutto “si può amare la lettura attraverso un gesto d’amore”.

Questo è uno dei Punti Lettura di Nati per leggere, meraviglioso programma che illumina tutto lo stivale italiano attraverso 400 progetti locali su quasi 1200 comuni.
Grazie all’alleanza tra l’Associazione Culturale Pediatri, l’Associazione Italiana Biblioteche e il Centro per Salute del Bambino Onlus., dal 1999 Nati per leggere promuove la lettura in famiglia fin dalla nascita.

La grande energia arriva da tutti i volontari che contribuiscono alla crescita e al successo dell’iniziativa. Ad accogliermi nel Punto Lettura di Castello di Cisterna ci sono Anna Riva e Mariagrazia Russo che mi mostrano con orgoglio lo spazio realizzato con l’impegno di tutti: dalle pareti imbiancate da un giovane papà dopo le ore di lavoro alle cassette colorate di legno, contenitori di libri, di un ingegnoso nonno; dalla pedana di legno fatta da un giovane compaesano per l’angolo dei lettori volontari ai libri donati grazie alla genoristà di tanti.

In un territorio martoriato e dilaniato, prima dell’estate scorsa finito sulla cronaca dei giornali per una rapina e un omicidio in un supermercato a pochi passi dalla stesa scuola Rodari, la coalizione del comune di Castel Cisterna, le associazioni Emeis e Proloco Castrum fa germogliare una radiante ginestra, lì in un angolo della Terra dei Fuochi.
I sorrisi dei piccoli lettori Giovanna, Luca, Salvatore, Niccolò e Zoe ci fanno sperare in un futuro diverso  perchè sarà proprio la loro curiosità e i piccoli passi sul viale della lettura a maneggiare il cambiamento: la Terra dei Fuochi non è solo rifiuti tossici, criminalità organizzata, baby gang che assalgono treni.

La Terra dei Fuochi oggi brilla nella ginestra, cantata da Giacomo Leopardi, e rispunta alle falde del Monte Somma, le spalle grosse del Vesuvio. Sì, lo ribadisco come quando feci storcere il naso ai miopi professori della mia generazione.
Lo cantò Giacomo Leopardi, perchè questa lirica anticipò il cantautorato italiano degli anni ’70: “E tu, lenta ginestra, che di selve odorate queste campagne dispogliate adorni, anche tu presto alla crudel possanza soccomberai del sotterraneo foco, che ritornando al loco già noto, stenderà l’avaro lembo su tue molli foreste. E piegherai sotto il fascio mortal non renitente il tuo capo innocente”.

Quando  Giovanna, Luca, Salvatore, Niccolò e Zoe, i Nati per Leggere di oggi, diventeranno i grandi di domani e usciranno allo scoperto, calpestando la viscida omertà di questo tempo, affronteranno a muso duro la malvagità. Mentre voleranno pallottole, i piccoli di oggi alzeranno i libri che faranno da scudo e cancelleranno dalla memoria il terrore delle faide cutoliane. Allora sì che la Terra dei Fuochi si trasformerà con il loro coraggio in Terra della Ginestra.

Sanità Pubblica, la sfida di Napoli nella lotta contro il tumore al fegato

Rosario PipoloNon ha fine la lotta contro il tumore al fegato: con tre morti al giorno la Campania è l’area geografica più colpita per cirrosi ed epatocarcinoma in Europa. Lo sa fin troppo bene a Napoli il dott. Giovan Giuseppe Di Costanzo, direttore dell’Epatologia AORN Cardarelli, che in un precedente articolo avevo soprannominato  “il  cavaliere Jedi” della termoablazione laser.

Lo stesso Di Costanzo ha organizzato, con la collaborazione della prof. Filomena Morisco, specialista in gastroenterologia ed endoscopia digestiva, e della dottoressa Raffaella Tortora, la II Multidisciplinary Conference on Viral Hepatitis and Hepatocellular Carcinoma, ospitata lo scorso weekend dal Museo Diocesano di Napoli.

Patrocinata dall’Università Federico II di Napoli, dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato e dal Ministero della Salute, la tavola rotonda è stata un acuto momento di riflessione e aggiornamento su questo tema delicato in ambito salute.
Quanto vi contribuiscono i farmaci per l’epatite da virsu C?
Come hanno ribadito i relatori queste cure farmacologiche eliminano l’infezione in media nell’80% dei casi, con variazioni dipendenti soprattutto dalla risposta a precedenti trattamenti, dalla presenza di cirrosi e dal genotipo virale.

Quali sono invece i contributi della nuova chirurgia? Ci sono segnali positivi in merito all’aumento della sopravvivenza dei pazienti con tumore del fegato. E’ stata presentata e illustrata la famigerata ablazione laser, messa a punto all’ospedale Cardarelli di Napoli, che consente di distruggere in maniera non invasiva anche neoplasie non trattabili con altre tecniche percutanee.

Tra il Cardarelli e il Policlinico di Napoli ho visto con i miei occhi decine e decine di giovani medici, che ogni santo giorno donano il meglio della loro professionalità a favore dei pazienti. Osservare all’opera donne in camice bianco come Maria Guarino e Silvia Camera conferma che la vera bellezza femminile abita nello sguardo impavido e premuroso di queste ancelle della Sanità Pubblica.

C’è una scena che mi sono portato a casa la primavera scorsa da una corsia del Cardarelli. Una donna sulla cinquantina che, avendo appreso della miracolosa cura farmacologica contro l’epatite C, ha sussurrato al marito: “Affronteremo anche questo e venderemo pure la casa se fosse necessario”. No, questo non accadrà, perchè i principi attivi della Sanità Pubblica sono a tutela di tutti. Di Costanzo  e i tanti collaboratori sono tornati all’opera, non c’è da perdere tempo, è una lotta senza fine quella contro il tumore al fegato.

La guerra è lunga, ma tante battaglie sono già state vinte, come quella di permettere ad un paziente, proprio oggi 9 ottobre, di festeggiare 43 anni di matrimonio.

Michele Liguori, il vigile eroe della Terra dei Fuochi che multò l’omertà

Rosario PipoloMeglio soli che male accompagnati. Da oggi Acerra, il paesotto alla periferia di Napoli che diede i natali a Pulcinella, sarà ricordata come la terra avvelenata baciata dal coraggio di Michele Liguori, il vigile urbano che si fece sentinella dei rifiuti tossici. In tanti pensavano che il settore ambientale della polizia municipale locale fosse affollato da “eroi”, invece ce ne era uno solo: Michele Liguori appunto che, flagellato da due tumori, se n’è andato dopo una lotta continua per difendere la sua madre terra.

Se dietro una sterpaglia c’era veleno, Liguori faceva di tutto per approfondire, capire, denunciare. Ha sottratto molti della sua categoria al cliché del vigile, esasperato abilmente da Zampa nell’omonimo film con Alberto Sordi. Poteva restare tranquillamente a fare il suo mestiere con fischietto e paletta, invece no. E’ stato “capa tosta”, come ripeterebbe ogni impavido napoletano scampato alle minacce dell’omertà.
Sì, Michele “capa tosta” che ha sfidato le ecomafie, gli imprenditori e i politici connessi direttamente o indirettamente con la criminalità organizzata. I dispetti e le minacce non gli sono bastati per fargli appendere al chiodo la divisa.

Tutto sommato questo vigile impavido ne poteva fare a meno di divisa e stellette, perché lui apparteneva ad un’altra razza, figlia di un altro tempo: quella degli aborigeni che avrebbero difeso a spada tratta la propria tribù. Non sempre la tribù è all’altezza di comprendere i sacrifici e così ti volta la faccia quando meno te lo aspetti.

Tutti i vigili stasera dovrebbero alzare la paletta in contemporanea per le strade di ogni città d’Italia, piccola o grande che sia. Il cielo è avvolto dal mistero della magia delle stelle, la terra ammantata dai sogni degli uomini di buona volontà. Il vigile Michele Liguori ha fischiato fino all’ultimo respiro, multando quell’omertà che vorrebbe il Sud prigioniero di una terra senza libertà.
Si dedicano strade, piazze e lapidi agli eroi fasulli della provincia in maschera. Finalmente Pulcinella si è tolto la maschera e non assomiglia a quei quattro tripponi che pensano di muovere i fili del potere.

Meglio soli che male accompagnati. Michele Liguori solo, lui e la sua madre terra, che da oggi custodirà le sue spoglie da cui germoglierà una nuova e più umana speranza.

Dalla terra dei cachi alla terra dei fuochi: ‘e legnasante avvelenate

Rosario PipoloI loti li chiamavano ‘e legnasante nella striscia di terra che a ridosso della periferia di Napoli si spingeva fino alle alture dei paesotti vesuviani. Era la terra dei cachi, quelli saporiti, ai tempi in cui il potere della Nuova Camorra Organizzata ruttava dal quartier generale alla falde del Vesuvio.
‘E legnasante erano un’altra cosa, robusti come il potere dei papponi democristiani di allora, affiliati con i clan che iniziavano a seppellire veleno nelle campagne. ‘E legnasante non avevano niente a che fare con “i cachi molli”, quelli che mangiavano gli uomini di buona volontà, sognatori di una terra diversa per i propri figli. ‘E legnasante circolavano in parrocchia per zittire i preti pronti a denunciare piuttosto che a far finta di non vedere o a far sermoni sulla parola di Dio.
‘E legnasante erano il frutto dei poteri forti e occulti che, nel giro di quarant’anni, hanno messo in piedi un impero, prima di trasferirsi al Nord Italia e continuare a fare business.

E non c’era bisogno della profezia di un boss per sostituire l’insegna “benvenuti nella terra dei cachi” con quella “bentornati nella terra dei fuochi”. Non era necessario l’uragano mediatico, accompagnato dalla fastidiosa punta di commiserazione e pietà nei riguardi del Meridione sofferente, per urlare con il megafono “la vostra terra è zeppa di veleno”. Non è stato confortante scovare nel corteo delle recenti fiaccolate tante facce note. Sono le stesse che decenni fa avevano barattato ‘o posto fisso per i propri figli in cambio dell’omertà, del silenzio fradicio, di una mazzetta che toglieva sangue e sudore ai propri risparmi.

Oggi dalla pendici del Monte Somma, lo schienale del Vesuvio ancora dormiente, si scorge la terra martoriata in cui è stato fatto un piccolo genocidio di uomini, donne e bambini. A dieci, a venti, a trenta o a sessant’anni non si muore per uno “stile di vita scorretto” – come ribadì un ministro miope – ma per le sostanze tossiche ingoiate da più generazioni, stordite dall’elettroshock del “cumpà, tiramme a campa’”.

Dove sono finite ‘e legnasante saporite? Ne voglio mangiare a bizzeffe, strozzandomi con il  “mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa”. Ciascuno è stato assassino nel suo piccolo ed è inutile giocare a nascondino con i capri espiatori.

Facebook e le Over 20: Quello che le donne (non) dicono

Dimmi che bacheca hai e ti dirò chi sei. Sappiamo bene quanto Facebook sia abitata da tanti alter-ego virtuali che non corrispondono alla realtà, ma forse ci sono rare eccezioni. E se fare lo spione da bacheca è un peccato veniale, allo stesso tempo può essere anche un modo originale per attraversare l’Italia, dalla Sicilia alla Lombardia, e guardare la quotidianità con lo sguardo delle over 20.
Marika DM. si presente con l’aforisma “Il cinismo è l’anestetico più economico che sono riuscita a procurarmi”, ma poi in bacheca sprizza la sua solarità non lontana dalle falde dell’Etna. Non è una facebookiana cronica – pochi aggiornamenti e rari cambi di foto profilo – ma questo perché a volte i suoi impegni da studentessa glielo impediscono. Patrizia C. sa raccontare con scatti fotografici e tanti link la sua terra, la Puglia, a cui non rinuncerebbe mai per niente al mondo, nonostante in lei ci sia l’istinto da fotografa giramondo. Alessandra G. è la facebookiana col megafono e assomiglia un po’ ad una di quelle manifestanti, tipo Barbara Streisand nel film “Come Eravamo” di Sidney Pollack, che nei tempi dei social network protesta attraverso una selezione di notizie interessanti, che rischieremmo di perderci. Alla falde del Vesuvio c’è Luisa A.,facebookiana sporadica, quella che nasconde bene in bacheca i suoi stati d’animo. Spesso cambia la foto del profilo e trasmette dal suo l’album la sua solarità. Sbirciando il suo album fotografico, traspare il bisogno di stare assieme alle persone a cui è legata davvero. “L’amore non vive di parole né può essere spiegato a parole.” è il biglietto da visita di Luisa, che spesso condivide in bacheca i video musicali del suo Biagio (Antonacci), di cui è una fan sfegatata.
Giusy L. sa come movimentare la bacheca e la sua spigliatezza da blogger raggomitola molte frasi in argute riflessioni; Katia M., a detta sua “la gioia fatta persona”, condivide il profilo tra il marito, la dolcissima figlia e le persone care, la ciliegina sulla torta della vita di questa varesina emigrata in “terronia”; Amanda S., “scrive, guarda e ascolta” e si lascia andare ad innocenti evasioni che fanno della musica il suo pane quotidiano. Perchè non far evaporare i suoi sogni brianzoli verso gli spazi indefiniti metropolitani?
A pochi passi dal Po c’è Laura C., che sul terreno scivoloso dei social network grida ad alta voce: “Nella vita ci si innamora due volte: la prima pensando che sia l’ultima e la seconda sapendo che è la prima”. La sua bacheca assomiglia ad un diario work in progress sopra le righe e le foto del profilo non sono mai casuali, perché connotano gli interni dell’anima e i passaggi, dall’infanzia alla gioventù. Infine, le immagini prendono con prepotenza il sopravvento sulle parole sulla bacheca di Alice D.F., iphonista doc, in cui il mondo di questa milanese atipica viene circoscritto da scatti deformanti. Le foto sembrano un singhiozzante flusso di coscienza joyciano e lasciano i segni di un mondo interiore in continua evoluzione, come se Alice fosse uscita da un cartone animato – sottolinea attraverso la voce della scrittrice Ann Marie MacDonald “Sono perdutamente innamorata della mia vita” – o dall’omonima canzone di De Gregori.
Cosa hanno in comune tutte loro? Essere nate sotto lo stesso cielo, quello degli anni ’80 e adesso con la solarità dei loro vent’anni sono lì che lottano per realizzare piccoli sogni e dare concretezza al loro mondo interiore. Forse non si incroceranno mai, ma esistono nella realtà. Questa volta sono entrate a far parte di un piccolo racconto, cucito inconsapevolmente sul filo di quello che le donne (non) dicono!