Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

14 febbraio, il primo San Valentino non si scorda mai

Rosario PipoloQuante banalità intorno al 14 febbraio. Tutti lo snobbano ma ciascuno ha un ricordo che lo lega a San Valentino, patrono degli innamorati. Ci sono ricordi che restano intatti come bottiglie di vetro in un angolo. Non è nostalgia ma piuttosto la presa di coscienza che la Festa della Innamorati può avere col tempo connotati diversi.

Sembra una beffa ritrovarmi a passare nello stesso posto in cui esattamente venti anni fa parcheggiai la Panda. L’avevo trasformata in una mini navicella piena di palloncini. In radio, dove avevo iniziato le prime collaborazioni, le avevo registrato una trasmissione tutta per lei che avrei fatto uscire dall’autoradio.
Mi procurai tutto l’occorrente per preparare una cenetta su quelle quattro ruote. Fu dura far capire al tizio della cornetteria che, il cornettone gigante con le nostre iniziali doveva essere pronto per le sei di sera. La mezzanotte di Cenerentola si era ridotta alle nove e mezzo. Ricordo la sua faccia al semaforo quando mi vide sbucare con l’auto allestita per l’occasione.

Il tempo non è il nostro padrone. Piuttosto lo sono i sentimenti. Il primo San Valentino non si scorda mai quando a distanza riesci a sentire i dolori, gli stati d’animo dell’altro. È come se questa reciprocità, libera dalla prigionia del passare degli anni, dimostrasse che i nostri cuori non invecchiano, restano intatti, hanno un piccolo congegno nascosto a medici e scienziati che sono la valvola di tutto, la valvola della vita.

Non si diventa uomini con una divisa addosso, come sotto gli addestramenti spietati del film Full Metal Jacket, ma calpestando la rancida viltà che ci fa avere paura di mostrare ciò che abbiamo dentro.

Il 14 febbraio di vent’anni fa non fu più il giorno dove regalare una manciata di Baci Perugina perché, in quell’auto trasformata in una navicella, scoprii insieme alla ragazza accanto a me che la nostra autenticità è direttamente proporzionale alla manifestazione di ciò che sentiamo dentro.

Alle nove e trenta in punto la lasciai nella strada dietro casa per non insospettire i genitori. Andando via in silenzio, per un attimo mi venne il dubbio che la mia strampalata macchina organizzativa non fosse riuscita. A togliermi il dubbio fu un biglietto, trovato sul cruscotto, sui cui era scritto: “Solo un pazzo come te avrebbe potuto fare tutto questo. Non so dirti altro. Ti voglio bene. 14 febbraio 1995” 

Alice e Renato: Felicità è…tenere lontani i bimbi dalla babysitter digitale!

Rosario PipoloGuardandomi intorno vedo decine e decine di bambini, nella fascia di età che non supera i quattro anni, affidati alla cura lampo di quella che io stesso definisco babysitter istantanea: La tecnologia. Una volta per tranquillizzare un bimbo irrequieto bastava un ciuccio zuccherato, oggi è sufficiente un iPhone o un tablet. Li osservo con gli occhi sgranati sulle iconcine delle app come se avessero trovato nel riflesso di quelle diavolerie la finestra per scoprire il mondo.
Tuttavia, il mondo non può essere raccontato né da un’applicazione né dalla nostra insistenza a convincerci che il virtuale possa stimolare il pargolo. Senza tirarla troppo per le lunghe, una fattoria animata su iPad potrà mai sostituire quel pomeriggio in cui mio padre mi portò in una fattoria, presentandomi galline, cavalli ed asinelli?

I ruoli potrebbero invertirsi. Cosa accade invece se un bimbo coglie in flagrante un quarantenne come me rapito da app, check-in e idiosincrasie da social network? Succede che ti guarda di sbieco come per dire “Il marziano sei tu o sono io che mi tuffo nell’erba, non so cosa sia un televisore o escogito un modo per ampliare la mia casetta di legno?”. La piccola Alice mi ha dato proprio una bella lezione che richiama una convinzione di Rudolf Steiner: “C’è una sola via per arrivare alla saggezza. Si chiama amore”.
E forse il ruolo di adulti dovrebbe essere quello di tenere alla larga i nostri bimbi dalle prigioni in cui siamo finiti con il passare degli anni. Alice si considera una “bimba adulta” perché ha nove figli, ovvero nove bambolotti di pezza senza volto, perché è la sua immaginazione che li restituisce l’anima. Via le maschere imposte dalle multinazionali che qualche volta mortificano la libertà del paradiso infantile? Perchè no!

Alice potrebbe far merenda con il piccolo Renato, tre anni e mezzo, che conosce a memoria mezzo repertorio di Bob Marley. Il papà lo ha tenuto lontano dal babysitteraggio digitale, cantandogli all’occorrenza con la chitarra i brani del re del Reggae. Alice e Renato sono bimbi felici perché chi sta accanto a loro ha compreso che “amore” e “saggezza” sono due facce della stessa medaglia e che non sono i riflessi di un touchscreen.

Diario d’estate: I sassolini di Luisa nella tasca scucita dei miei 40 anni

Rosario PipoloQualche settimana fa ho portato l’auto al lavaggio sotto casa. Quando sono tornato a riprenderla, un tizio mi ha detto: “Tenga, abbiamo trovato questo”. Era un sacchetto. Buttando l’occhio, vi ho trovato una miriade di sassolini. Cosa ci facevano nella mia auto?

Mi è tornato in mente il brano Le tasche piene di sassi di Lorenzo Cherubini. Pensavo a quanto una manciata di sassi possa appesantire la nostra quotidianità quando la vita minaccia di ridurre tutto ad “un mantello fatto di stracci”. Eppure non riuscivo a ricordare come fossero finiti nella mia auto. Assomigliavano a quelli che raccoglievo in un secchiello da bambino, nella mattine estive in riva al mare della Calabria. Sì, proprio quei sassolini.

Sono rincasato. Li ho lasciati cadere sul tappeto del soggiorno. Ho provato a contarli, ma erano tanti. In quell’istante mi è tornata in mente un pomeriggio della scorsa estate su una spiaggia marchigiana e lei che mi disse: “Guarda qui. Che bei colori. Toccali, è ancora appiccicato il profumo di mare. Ne ho raccolti tanti. Altro che souvenir, con tutti questi sassolini faremo un bel quadretto per ricordare la prima vacanza condivisa assieme”.

Ecco da dove provenivano, dal lungo litorale delle Marche. Erano rimasti imprigionati per un anno sotto il sedile della mia auto. Mi avevano tenuto compagnia quando ero al volante, senza lasciarmi mai solo. Quei sassolini, usciti fuori dalla tasca scucita dei miei 40 anni, non assomigliavano per niente a quelli della canzone di Jovanotti, ma avevano ricopiato gli auguri di compleanno che Luisa mi aveva lasciato dentro un mantello fatto di stelle: “40 anni, solo un anno in più ma l’animo è e sarà sempre lo stesso. Auguri a te persona unica e speciale, uomo che ti sei costruito da solo, che vivi di passioni, che combatti per ciò che vuoi, che realizzi ciò che desideri, che accogli gli altri così come sono, che fai famiglia con le persone che incontri, che rendi speciale una giornata uggiosa, che rendi una semplice passeggiata un viaggio inaspettato. Vai verso il futuro con la carica del passato e la spinta della curiosità a scoprire cosa l’avvenire ti riserverà”.

I sassolini di Luisa dell’estate scorsa calcavano il tracciato di questa mia prima estate da quarantenne, sotto il cielo della notte magica  di San Lorenzo in cui anche un sasso torna ad essere una stella cadente.

La prima vibrazione del telefonino: Quando gli sms scandiscono il tempo dei sentimenti

Rosario PipoloQuando acquistai il primo telefonino nel gennaio del ’97, gli sms cominciavano l’ascesa per troneggiare la comunicazione in 160 caratteri durante l’exploit della rete GSM. Nel boom di WhatsApp e di app simili, il destino dei Short Message Service sembra avviarsi verso il viale del tramonto. Secondo dati recenti, nel 2012 il numero di messaggi inviati attraverso una chat è stato superiore a quelli tradizionali e, entro l’anno prossimo, il divario potrebbe essere di 50 contro 25 miliardi di invio.

Mentre in versione online questi fiumi di parole sguazzano chissà in quali server, i messaggini finiscono nella nostra sim o smartphone. Alcuni li cancelliamo, altri li teniamo in archivio, senza renderci conto che, ricucendoli, potrebbero scrivere un diario di bordo. Qualche volta sono sgrammaticati, spesso sono frettolosi, il più delle volte così incisivi da scatenare fraintendimenti, soprattuto se ne riceviamo uno non destinato a noi.
Sì è vero gli sms non hanno il calore, sono così freddi che sembrano arrivati dallo spazio, ma sequestrano un lato di un’umanità quando, sbirciando data e orario, li associamo all’evento a cui appartengono.

Accade soprattutto per i sentimenti e riguarda ogni fascia di età.  Non abbiamo scuse. Tutti almeno una volta  nella vita telefonica abbiamo digitato “TVB” o “Mi manki”. Finiamola di dire che gli affari di cuore via SMS sono robetta da adolescenti o studentelli dal cuore traballante.  Gli sms hanno scandito il tempo della nostra vita sentimentale, accompagnando il corso della giornata, nella naturale trasformazione da appuntamento “inaspettato” nella fase di corteggiamento a quello “fisso” della quotidianità, dal buongiorno alla buonanotte.

Abbiamo impiegato anni per capire che la vibrazione di un sms della nostra lei o lui coincideva con quella del battito del cuore. L’iPhone e l’ultima generezione di smartphone hanno sbiadito questo pizzo di romanticheria, uniformando i vecchi sms allo stile di quelli online, dove a farla da padrone sono i touchscreen e il tempo istantaneo della chat di Facebook. I messaggini a cui faccio riferimento sono quelli digitati con la tastiera, generati da uno schermo grezzo di un telefonino, in cui la classidra del tempo batte l’invio della bustina.
Custodire gli sms in una vecchia sim significa ripetere il gesto dei nostri nonni, che tenevano nel primo cassetto del comò le loro lettere d’amore. Tutte le coppie che si separano dovrebbero rimetterli assieme perchè, persino sul filo di 160 caratteri, può restare sospesa la più bella storia d’amore. Imperdibile resta l’sms del primo apputamento: “Dove sei, non ti vedo?”. E lei: “Girati, sono accanto a te. Non mi sono mai mossa”.

Graph Search: Professione investigatore con il motore #kazziemazzi di Facebook

Rosario PipoloChissà se quelli di Facebook con il nuovo Graph Search ce la faranno fare addosso. Il motorino social, al momento disponibile per pochi eletti in versione beta, sarà l’aggeggio cool per farsi “kazziemazzi” degli altri. E se community come Badoo già lo temono perché potrebbe essere una scorciatoia per mettersi a caccia dell’anima gemella, noi invece ci chiediamo: chi di noi resisterà alla tentazione di violare la privacy per vestire i panni di un segugio vigile?

Beh, con un po’ di astuzia e manualità, non c’è bisogno di Graph Search per mettersi a caccia di notizie. E a dirla tutta non sono tanto gli status, perlopiù protetti, ma gli album fotografici che restano quelli più vulnerabili. Magari tra giri e lunghi raggiri, passando dall’amico dell’amica, ti trovi in mano quella foto e quel commento datato, capaci di metterti la pulce nell’orecchio: verità di mesi prima che diventano improvvisamente bugie surgelate. Adesso con il nuovo motore social messo a punto da Mark e compagni sarà più facile avere una planimetria della popolazione faisbucchese – neologismo troppo kitch? – soprattutto di quella parte di utenti che si sbottona fino alle mutande.

Da una parte ci sono le rassicurazioni in merito alla privacy perché nell’occhio del ciclone ci saranno solo i contenuti pubblici, dall’altra le vecchie volpi social che storcono il naso. Il modo per spostare muri di gomma si trova prima o poi, perché dopotutto nella piazza di Facebook “chi cerca, trova”. Tuttavia, anche quando finiremo per essere vittime dell’autolesionismo investigativo, Graph Search sarà l’ennesimo buco nell’acqua per ciò che riguarda il valore dei legami. Mica la sintonia e il plusvalore di un legame di coppia o d’amicizia si riduce al numero dei “like in comune” o di una manciata di foto condivise, in puro stile esibizionista?
I più miopi sguazzeranno nelle acque torbide del motore #kazziemazzi, illudendosi di riscattare legami scaduti da tempo. Rinunceranno per l’ennesima volta all’unica affinità che solo la realtà può restituirci: quella del tempo che non abbiamo svenduto pur di stare assieme.

La penna di un blogger attraverso il 2012

Rosario PipoloI Maya non ci hanno azzeccato e, aspettando un altro pronostico per la #finedelmondo, eccomi a ripensare a questo 2012. Un anno fatto di tanti piccoli viaggi, per la maggior parte condivisi, a caccia di storie nascoste, che sono poi quelle che restituiscono il significato ad ogni minimo spostamento: dallo sguardo di Carolina a Sabbioneta al viaggio in autobus sotto un sole cocente per abbattere i pregiudizi; da Shalom Gianna in riva al mare alle goloserie marchigiane di Marco e Manuela; dal matrimonio lowcost a Viareggio al ritorno alla Mostra del Cinema di Venezia e al Moulin Rouge di Parigi dopo una valanga di anni.

L’apertura del 2012 assieme al “bambino senza famiglia”; il dolore per la perdita dell’ultimo disegnatore della Napoli da strada e lo smarrimento della piccola senza “papà suo”; le cinquanta candeline di una prof. del Sud Italia; il ricordo della notte “magica” prima degli esami di maturità.

E’ finita tra le mie mani la lettera commovente di un bambino dal futuro al suo papà; la polaroid di un giudice martire, l’ultima favola in una fabbrica di Pomigliano d’Arco per rispettare chi un lavoro lo ha perso e si sente “perso” nel vuoto. Qualche ritaglio di cronaca ci sta bene: la fine dei pesci lessi, quelli del Carroccio; il sangue versato dai lavoratori terremotati dell’Emlia; l’addio a Carlo Maria Martini e Lucio Dalla; l’offesa ai napoletani da parte di Roberto Bolle e del giornalista piemontese del tg3.

Una gran bella storia d’amore non finisce mai? Ho scritto così, prolungando il filo dell’amore oltre il varco dell’eternità nel racconto d’estate L’ultimo angelo in volo su Istanbul. E a proposito di svolta lavorativa, sono finito per una sera nello staff di California Bakery a Milano e se ne sono viste di tutti i colori.

E, infine, ancora una volta i social network sono stati protagonisti di questo 2012 con Facebook in testa, terreno fertile delle amicizie quaquaraquà. Prima o poi tocca scegliere da che parte stare, nella buona o cattiva sorte.

E’ già finito il 2012? Non me ne sono accorto. Sono tornato alla carta con una follia dell’ultimo minuto. Ho pubblicato il mio primo romanzo e brindo assieme ai miei lettori e ai personaggi di “L’ultima neve alla masseria”. Felicità a tutti.

Diario di viaggio: “Senza pregiudizi, così vorrei amare”

Sono arrivato nel loro studio alla periferia d Napoli in un lunedì d’estate. Sarà stata la scusa di chiedere ad una psicologa ed un’educatrice come si può fare a cancellare la sindrome per cui, nel primo giorno della settimana, sono assalito dall’ipocondria. Scherzi a parte, il motivo della mia visita era un altro. Anna Riva ed Eugenia Russo trasformano storie di vita vera in fiabe.
Lo slogan “Una fiaba per te” è una sorta di provocazione terapeutica che potrebbe aiutarci a raccontare i legami intensi che ci fanno affrontare meglio il quotidiano. Sappiamo bene che un legame è in continua trasformazione e una fiaba invece lo coglie nella sua sospensione.

Senza far passare la nostra conversazione per un’intervista, ho chiesto in modo sfrontato: “Cosa impedisce ad una fiaba di staccarsi dal ramo della sospensione e tornare ad essere una foglia di vita vera?”. Anna ed Eugenia tengono a precisare che non danno risposte attraverso i loro racconti, ma provano a guidare il lettore. Allora mi è venuto in mente il pregiudizio di chi continua ad alimentare la diceria che una fiaba sia robetta per bambini.

A questo punto ho fatto una riflessione: sono proprio i pregiudizi a privare una fiaba di tornare ad essere uno stralcio di vita vera, di quotidianità vissuta, perché sono loro che impediscono a qualsiasi legame di crescere. Il pregiudizio che chi ci sta di fronte non sarà mai capace di cambiar rotta con l’aiuto dell’altro; il pregiudizio che la diversità non sia lo stimolo dell’arricchimento reciproco; il pregiudizio che nel rapporto di coppia uno dei due debba per forza finire sul banco degli imputati.

Lasciando lo studio di Anna ed Eugenia, mi è tornata in mente una canzone di Giorgio Gaber. L’ascoltai per la prima volta nel ’94 in occasione del teatro-canzone E pensare che c’era il pensiero. Da allora non ho mai smesso di riascoltala al buio, fissando gli occhi sulla lucina rossa del mio giradischi: “Quando sarò capace d’amare mi piacerebbe un amore che non avesse alcun appuntamento col dovere; un amore senza sensi di colpa, senza alcun rimorso, egoista e naturale come un fiume che fa il suo corso”.
In camerino con il Signor G parlai proprio di questo brano, Quando sarò capace di amare per l’appunto. E forse oggi mi lascerebbe chiudere questa meraviglia a modo mio: “Senza pregiudizi, così vorrei amare”.

Racconto d’estate: L’ultimo angelo in volo su Istanbul

La nave sbarcò con un quarto d’ora d’anticipo e la donna, puntando il dito sulle cupole che sovrastavano Istanbul, spiegò alla bimba: “Io e papà siamo venuti qui in viaggio di nozze l’ultima volta”. Non fecero neanche in tempo a farsi travolgere dai frastuoni di prima mattina, che un taxi le balzò a fianco. “Dove vi porto?”, urlò dal finestrino un turco sulla quarantina. La donna afferrò la bambina per mano e saltò nell’auto. Diede all’uomo un foglio di carta scarabocchiato con un itinerario, indicandogli di rispettare il percorso.
Mentre l’auto solcava Istanbul, la bimba aveva gli occhi sgranati: il fasto delle moschee, l’eleganza di Santa Sofia, le bancarelle del Gran Bazar che accostava a quel del mercato sotto casa sua, i bistrot sparsi a Beyoglu. Il tassista incrociò gli occhi della piccola attraverso lo specchietto retrovisore ed esclamò: “Sei uguale al professore napoletano!”. La donna saltò dal sediolino e replicò: “No ci credo. Kadir, ma sei proprio tu?”.

Era lo stesso tassista che alcuni anni prima l’aveva portata a scoprire la città turca assieme al suo sposo. E poi solo Kadir lo aveva battezzato “il professore”. Sosteneva che conoscesse Istanbul meglio di lui che c’era nato. La donna gli spiegò perché il marito non fosse con lei, perché si era ostinata a fare quel viaggio, il dolore che aveva avvolto la sua vita a causa di quella perdita. L’uomo raccontò di avere ancora da qualche parte il disegno che il professore napoletano gli aveva regalato: raffigurava un famoso attore napoletano, protagonista di un divertente film dal titolo “Un turco napoletano”.

Questa nube di aneddoti e ricordi fu spazzata via da un uomo che bloccò l’auto: “Mi scusi. Mi fa salire, vado di fretta?”. Kadir gli fece segno di no perché il taxi era già occupato. La donna intervenne: “Fallo salire pure, tanto ormai il nostro tempo a disposizione sta per terminare. La nave riparte alle quattro e mezzo in punto”. Lo sconosciuto restò in silenzio per tutto il tragitto. Aveva un cappello che gli copriva il capo. Con la coda dell’occhio notò che la bambina osservava le sue spalle, erano identiche a quelle su cui si arrampicava quando giocava con il papà.

Arrivarono al porto. Kadir scese dall’auto, abbracciò la donna e la piccola, donando loro un piccolo portafortuna. La donna e la figlioletta si recarono verso la nave. Il tassista si voltò verso l’uomo, chiedendo: “Dove la porto?”. E lui rispose: “Sono arrivato a destinazione”. L’uomo tirò fuori un disegno e lo mostrò al tassista: “Kadir, era questo il disegno di cui parlavi prima in auto? Che sbadato sei, lo avevi perso durante l’ultimo trasloco”. Il tassista con le lacrime agli occhi lo riconobbe ed esclamò: “Professore!”. E lui concluse: “Non tremare, Kadir. I morti non fanno paura, i vivi sì. Quando ero piccolo mio nonno mi disse che quando saremmo andati all’altro mondo, il Signore ci avrebbe concesso un ultimo viaggio qui. Prima del trapasso mi sono ricordato di questa diceria popolare, e ho scelto Istanbul per rivedere la donna che amo e mia figlia. Ho sperato fino alla fine che non annullasse il viaggio. Lei è una testarda, sapevo che sarebbe venuta perché era il mio ultimo desiderio”. Kadir, incantato a guardare il disegno, non si accorse che l’uomo scomparve nel nulla. Lo distolse il fischio della nave che stava salpando e un arcobaleno che avvolse tutta Istanbul, unendo la parte asiatica a quella europea. Dalla nave la bimba disse alla mamma: “Mamma, mamma, mamma. Guarda l’arcobaleno. Ha gli stessi colori che usava papà per dipingere i suoi quadri”.

Tutto questo accadde ad Istanbul l’ultimo mercoledì di giugno. E da quella volta si dice che chiunque voglia ritrovare un amore, debba girare in tassì, in questo giorno, attraverso la città turca.  Più che una leggenda, è una speranza. Quella fu l’ultima volta che qualcuno vide un angelo volare su Istanbul.

Perchè una gran bella storia d’amore non finisce mai

In un tempo in cui si corre alla velocità della luce, vivendo sotto lo schiaffo della scadenza e dei corsi di aggiornamento, ci ostiniamo a trovare la ricetta della felicità. La coppia spesso ne è vittima inconsapevole perchè dopotutto anche una bella storia d’amore dovrebbe essere regolamentata.
Io non ho mai creduto nei percorsi indicati e guidati che dovrebbero preparare due innamorati ad una vita insieme. Ci sono coppie e coppie, legami e legami, ma non sempre si ha il privilegio di vivere una gran bella storia d’amore. C’è quella componente istintiva e irrazionale – a cui poi additiamo la fine di tutto – che consegna due innamorati nelle mani del divenire.

Tuttavia, quando finalmente si intromette la componente razionale, sbarchiamo sul lunario della disciplina emotiva e stiliamo un bel discorso per la fine di tutto. Le parole, cucite con la lucidità della razionalità, filano pure bene e sembrano una liberazione. Invece non è per niente vero. L’illusione che sia già tutto passato, ricordo, nostalgia è breve, perchè l’eternità del tempo presente abbatte ogni convinzione. La stessa convinzione, imbastita dall’orgoglio, che ci ha sottratti al batticuore di un mazzo di rose o allo stupore del ritrovarci accanto l’altro, pensando che tutto fosse scontato.

Una coppia che si è messa alla ricerca della felicità può decidere la fine di tutto, ma due innamorati che la felicità ce l’avevano accanto non possono scegliere. Il divenire, forse con qualche stonatura fiabesca, sigilla il tempo nell’eterno presente: è l’inspiegabile consistenza dei sentimenti.

Per questo il vero controsenso è diventare prigionieri di nostalgia, facendo un domani finta di niente tra rimorsi o rimpianti. La ricetta della felicità non esiste, ma in una gran bella storia d’amore arriva sempre l’inspiegabile voglia di mettersi su una nave, un treno, in auto o su una mongolfiera per raggiungere l’altro. E non per ricominciare, ma per continuare proprio come nel finale della tragicommedia domestica di Eduardo De Filippo “Sabato, domenica e lunedì”. Il futuro è tutto lì, nella battuta finale, nella provocazione della vicina che chiede alla signora Priore se tra lei e il marito fosse tutto finito. E lei dopo la riscoperta: “No, non è finita. È appena cominciata”.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=bUHDzs1gtzg]

19 marzo: Lettera di un figlio dal futuro per la festa del suo Papà

Caro Papà,
con l’aiuto della mamma ho scritto questa letterina per te. Oggi è la Festa del Papà. Voglio solo dirti che, anche se ogni tanto faccio il birbante, ti ringrazio tanto perché assieme alla mamma mi avete dato la vita con il vostro amore.
Come regalo ti ho incorniciato il biglietto aereo che ha riportato la mamma da te dopo tantissimo tempo. La maestra ci ripete sempre che, in ogni favola d’amore, il destino sa metterci il suo aiuto. Quando la mattina la mamma mi accompagna a scuola, mi piace ascoltarla mentre mi racconta la vostra storia, come vi siete conosciuti, quanto vi siete amati e come vi siete ritrovati dopo tanto tempo.

Mi ha detto che quando è ritornata tu, distratto come al solito, neanche l’avevi riconosciuta. Aveva cambiato la montatura degli occhiali e tu l’avevi scambiata per la signora del terzo piano. Mi scappa una risata, posso?
Tu hai compreso che era lei dal profumo fragolino che avvolgeva la sua pelle. Mi ha raccontato che, appena hai capito chi era, l’hai abbracciata così forte e hai cantato un motivetto buffo, come quello inventato per lei in riva al mare.
Mi ha detto pure che trasferirsi qui è stato difficile all’inizio. Come la capisco, se penso alla separazione dai nonni e dagli zii: ogni volta che andiamo in vacanza a Napoli, la nonna mi cucina gli gnocchi, il nonno mi fa vedere il mare dalle impalcature dei palazzi che costruiva, e gli zii mi portano sempre a spasso con quella bella macchina lunga. E poi, mica sono imbranati come te al volante?

Senti, papà. Ho scoperto che hanno scritto anche una favola per te e la mamma. Stasera quando torni, me la racconti? Se tu sei un delfino e la mamma una stella, io voglio essere il cielo e il mare.
Sai sei l’unico papà ad avere i capelli brizzolati. Io non avevo capito che non bastassero le mie 10 dita per contare gli anni che ti separano dalla mamma. Cosa importa. I papà dei miei compagni sono più giovani, ma nessuno saprebbe farmi divertire come te.
Papà come sei buffo quando inventi le favole per me, mi rimbocchi le coperte e cerchi di insegnarmi a giocare a palla. No, no, lo sport non fa per te. Tu sai solo scrivere, lo dice sempre pure la mamma.

Stasera non fare tardi a lavoro. Io e la mamma ti abbiamo preparato una cenetta che ti farà leccare i baffi brizzolati. Da Napoli sono arrivate pure le zeppole di San Giuseppe che ti piacciono tanto. Per la tua festa non ascolterai le canzoni di Biagio Antonacci che piacciono tanto alla mamma e quelle dei Beatles che tu adori. Ti farò ascoltare una bella canzoncina dedicata ai nostri papà, scritta assieme alla maestra e ai miei compagni di classe. Ti piacerà, ne sono sicuro.

Auguri, Papà.
Ti voglio bene.
Antonio,
Il tuo bimbo monello

Milano, 19 marzo 2022

PS: Stasera toccherebbe a te il turno per portar via la spazzatura. Non preoccuparti, ci penseremo io e la mamma.