Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Voci d’estate: Il cavallino bianco di Lignano Sabbiadoro

viaggio-estate-lignano

Rosario PipoloL’estate di questa annata è meteopatica, ma conserva quei clamori sottovoce che segnano il viaggio. Il mio ritorno in Friuli-Venezia Giulia, nella zolla di frontiera che fa degli abitanti di Lignano Sabbiadoro dei veneti dal cuore friulano, o friulani dal cuore veneto.
I cataloghi turistici prendono sviste e cantonate: Raccontano Lignano come “la Rimini della riviera friulana”, perfetta per le notte brave e per i bagordi d’estate.

C’è un’altra Lignano, più intima, segreta, discreta come Giorgia e la sua famiglia. Sono stati loro a svelarmi, senza volerlo,  l’altro volto perchè sono le persone a dare l’anima ad un luogo. Lo abbiamo dimenticato da vacanzieri indaffarati, stressati dall’ingordigia del fare più che del vivere.

Giorgia e la sua famiglia mi hanno restituito il paradiso estivo perduto delle villeggiature in cui si stringevano legami con le persone del posto: papà Paolo mi consegna le chiavi della camera come se fossi un parente venuto da lontano; mamma MariaTeresa mi prepara il caffè e mi racconta di Paola, la figlia maggiore; Giorgia invece assomiglia tanto alle mie compagne di giochi d’infanzia, in riva al mare, dove con secchielli e palette costruivamo castelli di sabbia, ovvero l’impasto dei sogni che avremmo voluto far crescere con noi.

Nel raggio temporale di 72 ore, tra una pedalata e l’altra bevo con gli occhi la laguna; attraverso la meravigliosa pineta; mi soffermo sulla darsena; svolazzo girando intorno al faro; inforchetto spaghetti alle vongole e azzanno calamari fritti in riva al mare; incrocio vacanzieri provenienti dall’amato Carso triestino, dove vi ho lasciato il cuore al confine con la Slovenia e la rabbia addolorata in occasione della mia visita a Basovizza.

Al termine di una vacanza dell’infanzia, non potendo salutare la mia compagna di giochi estivi, le lasciai sul ciglio della porta di casa il mio secchiello riempito d’acqua di mare  e una manciata di sassolini raccolti insieme. E’ successo lo stesso con Giorgia, alla quale ritaglio l’ultimo fotogramma di questo diario di viaggio.
Sulla corriera in direzione di Latisana vedo spuntare un signore anziano su un cavallino bianco. Sono per caso finito in una prateria del vecchio West di un film di John Ford? No, si tratta dell’enorme cavallino bianco sulla parete, disegnato un tempo dal nonno di Giorgia, quel Mario che aveva tentato fortuna a Roma come disegnatore di cappelli.

Uno scherzo dell’immaginazione? No, una voce d’estate che mi riporta tra le braccia di nonno Pasquale, nelle sere d’estate in cui mi spalmavo il repellente per le zanzare, mentre fuori c’era il canto della cicala. Sul cavallino bianco oggi galoppano ricordi comuni. L’estate non è finita, è appena cominciata. 

Giulio Regeni e il prezzo della verità

giulio-regeni

Rosario PipoloQuanto costa la verità? E’ un quesito che ci giochiamo ai dadi quando di mezzo c’è un intrigo internazionale. Nonostante la mobilitazione dei social network, la morte di Giulio Regeni sguazza ancora nel mistero a distanza di un mese.

Il giovane ricercatore friulano, appassionato di studi di Medio Oriente, è scomparso lo scorso 25 gennaio al Cairo ed è stato ritrovato morto una settimana dopo sulla strada tra la capitale dell’Egitto e Alessandria.
Giulio è diventato un altro martire nella lotta contro la libertà di pensiero. Quando andrà avanti ancora questa farsa da luridi commedianti a sostegno dell’alleanza strategica dell’Italia con l’Egitto?

Mentre il Cairo conosce per filo e per segno i punti deboli di Roma, allenata a tapparsi il naso di fronte al lercio fetore, i genitori di Giulio non si rassegnano e chiedono verità. Questa volta non c’è un riscatto da pagare, mettendo del cerone per raschiare il barile in vista della prossima campagna elettorale.
Questa volta c’è un cadavere ammutolito da un regime che fa franare la nostra coscienza civile, al di là di ogni subdola strumentalizzazione politica.

Dalla sera del 3 febbraio, giorno del ritrovamento del cadavere percosso, su Giulio Regeni se ne sono dette tante: c’è chi lo ha rimproverato di essersela andata a cercare o chi gli ha sputato in faccia, trattandolo come una spia che flirtava con i servizi segreti.

Ciascuno di noi potrebbe dare il primo schiaffo per questa giustizia che tarda ad arrivare: nonostante i focolai di politica interna e il clima di insicurezza degli ultimi sei anni, il flusso del turismo italiano verso l’Egitto resta consistente. Quanto costa la verità? Cancellare la prossima vacanza in un villaggio stellato di Sharm?

La protesta silenziosa da viaggiatore o vacanziere potrebbe dare una bella lezione a chi, in queste ore, sta seppellendo la verità.

Quando le immagini scuotono le nostre coscienze

Rosario PipoloLe parole non ci scuotono più. Ce ne sono troppe, spezzettate, allungate, insipide nell’acqua che bolle dei social network. Qui non si tratta di pesare la pasta da buttare in pentola, ma la nostra coscienza civile, frullata negli sfoghi che una volta nascevano e morivano al bar sotto casa.

Gli algoritmi, che governano la traballante democrazia in Internet, non sempre sono la chiave d’accesso alle notizie per fare chiarezza su una questione che getta ombre sull’Unione Europea: il destino di migliaia e migliaia di profughi.

Siamo tornati all’Europa della frontiere, quella che fa venire fuori il lato oscuro nei recinti delle nostre lande. Basta guardare com’è andata a finire in Ungheria, scivolando sull’indignazione collettiva per la gestione del flusso dei profughi o dopo aver visto la videoreporter ungherese che prendeva a calci i migranti.

La bellezza salverà il mondo? No, perchè non è quella dei selfie che hanno affolato la nostra estate: tette e culi in riva al mare; il primo dentino o il ruttino sotto l’ombrellone di nostro figlio; l’ostentazione di dimostrare agli amici facebookiani che la nostra meta fosse la migliore; la lucida follia dell’anvedi come siamo belli.

La bellezza salverà il mondo a patto che le immagini scuotano le nostre coscienze. Il bimbo dormiente in riva al mare, che ha fatto in un batter baleno il giro del mondo, ci ricorda nella sua plastica drammaticità i calchi abbracciati degli scavi archeologici di Pompei. La riflessione, miscuglio di dolore e rabbia, è vellutata dal brusio del mare. Ahimè, non si tratta delle acque dove abbiamo fatto splash la scorsa estate.

Allora canto, perchè non so scrivere: “L’estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande, lo sai che non mi va”.

Quando la donna non va in vacanza e difende altre donne

Rosario PipoloMentre i social network sono affollati di foto al mare di donne in bikini, soddisfatte a pieno per la prova costume, io sono distratto dalle donne che non vanno in vacanza per difendere altre donne. Sarò pure un maschio atipico ma mi piace pensare che ci sia un’altra cartolina da affrancare e spedire sotto questo cielo d’estate.

In una Milano che si spopola per le attese vacanze è più facile accorgersi di giovani donne ccome Vanda che si danno da fare in organizzazioni umanitarie. Quante ce ne sono che, anzichè saccheggiare le passarelle balneari, restano ad investire fino all’ultimo filo di energia, per portare avanti la loro mission di ambassador di organizzazioni a scopo umanitario.

Come fa una donna a difendere un’altra donna? Quando sa urlare a denti stretti che la povertà è sessista perchè le bambine e le donne devono essere al centro della lotta contro la povertà. Queste campagne di sensibilizzazione ci mettono la pulce nell’orecchio: nei Paesi in via di sviluppo la condizione delle donne è davvero disumana.

Così accede che firmare una petizione può corrispondere ad osservare la tenacia di donne testarde fino al midollo. Un’opportunità per riconoscere che il gentil sesso non guadagna consistenza sotto l’ombrellone tra le veline da spiaggia.
Quando la donna non va in vacanza e difende altre donne offre incosciamente un’altra traiettoria alla nostra mascolinità: ricercare la bellezza femminile nell’altrove custode di impegno sociale è l’immagine più radiosa da appiccicare su una cartolina d’estate. 

Diario di viaggio: L’altra faccia della Slovenia tra le montagne di Kobarid

Rosario PipoloLontano dal varco della frontiera che porta dal Venezia-Giulia verso le spiagge della Slovenia. Lontano dai villeggianti italiani che si crogiolano al sole dall’altra parte dell’Adriatico, nel primo tratto dell’ex Jugoslavia, custode di troppa memoria per essere l’alternativa ai bagordi di Rimini e Riccione degli anni ’80.
Lontano da tutto questo, a ridosso del varco del Friuli, per raggiungere l’altra Slovenia: quella dei boschi, delle montagne, del fiume Isonzo che continua a scrivere pagine di storia.

Ha un senso spingersi verso Kobarid, la nostra Caporetto, quella che fin dai giorni delle scuole elementari fu per noi il cimelio geografico per eccellenza della grande disfatta bellica. E’ inutile far finta di niente. Affacciandosi sulla splendida valle dell’Isonzo, lungo l’abbraccio tra Kobarid e Tolmin, il paesaggio meraviglioso e l’aria vacanziera non possono distoglierci dal peso della memoria.
In questa valle sono assiepate le trincee della Grande Guerra come cicatrici sulla pelle. Non bastano un buon piatto di zlikrofi e una fetta di torta gibanica per togliere l’amaro di bocca.

Il toccante Kobariski Muzej, il museo della Grande Guerra di Caporetto, ti fa scattare la voglia di mandare all’aria “la vacanza fancazzista”. Torni a sentirti viaggiatore appena ti inerpichi sopra il sacrario militare di Sant’Antonio, che raccoglie le spoglie di oltre settemila soldati italiani.
Allora ti chiedi: questa non doveva essere la vacanza “paletta e secchiello on the beach” da spiaccicare su Facebook per sedimentare l’ingordigia del noioso reality estivo dei social network?

Lo ribadisco. Chi fa vacanza torna alla routine con nostalgia e rassegnazione; chi fa un viaggio torna per ripartire subito. Perché? Perché ha avuto l’umiltà di guardare con i propri occhi anche le cicatrici lasciate dalla storia.

Cartolina di agosto: quando il compleanno va in vacanza

Rosario PipoloMetti che hai un papà appassionato di foto. Metti che mancano pochi giorni al tuo compleanno e apri l’album di famiglia.  Ecco che spunta fuori questa magnifica foto dei tempi dei rullini, quando non vivevano l’affanno di accumulare immagini e scaraventarle su un Pc. Mi ricorda i compleanni vacanzieri. Anche a me è toccata la stessa sorte della festeggiata qui ritratta, oltre quella di essere “occhialuto”: i nati come noi nei mesi estivi non si sono mai ritrovati a far la festicciola con gli amichetti, perché o loro o noi eravamo in vacanza.

I miei sono stati sempre compleanni nomadi da una località balneare ad un’altra. La bimba occhialuta in questa foto assomiglia alla piccola Daniela a Scalea, la mia compagna di giochi d’estate, l’unica che avrei voluto accanto al festa improvvisata dai miei.  Puntualmente era assente, perché la famiglia terminava le vacanze nello stesso giorno in cui spegnevo le candeline!

Questa immagine, che ho scelto come cartolina per dare il benvenuto al mese di agosto, mi solletica una riflessione. Dovremmo tirar fuori più spesso dal cassetto le nostre vecchie foto, senza però farci prendere da quella odiosa nostalgia canaglia.
Sarebbe un modo per catturare in un dettaglio  il bello che ci portiamo dentro, proprio come l’autenticità di questa bimba nascosta dentro una smorfia. Ci ostiniamo a fare i grandi, a giocare a nascondino, per difenderci da questa aggressività sparsa ovunque.

Troppo spesso siamo distratti per accorgerci di chi ci passa accanto. Solo colpa della routine che ci schiaccia sotto il peso delle corse e rincorse? Il prossimo 6 agosto quella bimba forse tornerà a soffiare le candeline nello stesso posto, ricreando il magico remake di questa foto. Come in suggestivo fuorionda, tornerà il brusio delle voci che allora erano intorno a questo scatto.
Noi invece vi aggiungeremo, attraverso i trilli di un carillon, “Martha my dear” dei Beatles come colonna sonora e replicheremo: “I compleanni vanno in vacanza, noi continuiamo a restare qui per essere noi stessi”.

Selfie e privacy in spiaggia: il Garante ha visto mai gli italiani sotto l’ombrellone?

Rosario PipoloApprezziamo lo sforzo del Garante della Privacy per la pubblicazione delle “buone regole in spiaggia a difesa della nostra sfera privata“, ma con le pinne, fucile ed occhiali ci viene un dubbio: ci siamo mai guardati noi italiani sotto l’ombrellone? Con questa smania vanitosa dei social network sarà davvero dura metterci a regime in materia di discrezione o riservatezza.
Figuriamoci se rinunceremo mai al selfie di turno per far vedere a tutti la nostra meta vacanziera. Basta buttare gli occhi nei feed di Facebook per catturare il trash di questa  ingordigia nazional popolare, di cui le maggiori vittime sono i bambini. E se nel nostro selfie finirà il vicino d’ombrellone, per giunta “incazzoso”, il povero Garante si troverà sulla scrivania una pila di lettere di protesta.

Correremo volentieri il pericolo di trovarci  i ladri in casa, pur di non rinunciare al check-in che  compone la lista di ristoranti e locali “fighi” che frequentiamo. L’epidemia del food è così contagiosa che prima o poi dovrà toccare pure a noi finire su Real-Time? Questa è la massima aspirazione delle vecchie massaie del Belpaese in bianco e nero, oggi trasformate dalla globalizzazioni in nevrotiche donne bioniche.
Alcuni hanno la sveltezza di geocalizzarsi persino alla toilette o nella location creata ad hoc su facebook “A casa mia”. La sfiga ci mette del suo e, a furia di scroccare Wi-Fi da un lido ad un altro,  beccheremo pure il virus nello smartphone che ci farà sentire sconnessi dal mondo. Se non abbiamo fatto il backup dei dati prima di partire, possiamo dire addio ad una buona parte della nostra vita, destinata ormai a finire spiaccicata sull’isolotto dell’icloud.

Morale della favola sotto l’ombrellone: il Garante ci suggerisce di “gestire le nuove tecnlogie con cautela”, soprattutto di non essere sbadati a lasciare password e accessi a destra e sinistra. Ah, ecco dimenticavo. Mia moglie, incallita spendacciona in questi giorni di saldi, me lo aveva detto che in fondo il pin del mio bancomat è più al sicuro se lo impara a memoria lei. Perché memorizzarlo su uno smartphone?

Tempo scaduto e non perché sia finito il numero di battute a mia disposizione. Devo andare a fare il selfie di questa mia giornata vacanziera, altrimenti poi dicono che sono poco “social”. Lo dite voi al Garante?

 

 

 

Diario d’estate: Alla ricerca di Gaëtan, sulla spiaggia di Saint-Clair

Rosario PipoloSulla spiaggia di Saint-Clair, a Le Lavandou, hanno lasciato un nome scritto sulla sabbia: Gaëtan. Il sole era spuntato da qualche ora sulla costa meridionale della Francia e non si vedeva anima viva. In lontananza c’era solo un vecchio scorbutico che camminava in riva al mare con un paio di baguette sotto braccio. Era forse lo stesso uomo di cui hanno scritto il nome sulla spiaggia? Lui diceva di no. Gaëtan, sarto del Sud Italia espatriato in Francia alla fine degli anni ’50, diventò autista di autobus. Fu lì che conobbe, quarant’anni dopo, Noëlla. Gaëtan non diventò francese quando lo stato d’oltralpe gli francesizzò il nome, ma appena Noëlla e i suoi 6 figli lo vestirono di amore, restituendogli il significato di famiglia.

Ci sono tanti modi per dare e restituire amore. Eccone uno. Mi sono messo alla ricerca di Gaëtan, camminando a piedi nudi sulla spiaggia di Saint-Clair. Ho passato le prime vacanze dei 40 anni a cercarlo ogni giorno per farmi raccontare come fosse cambiata la sua vita laggiù. Non lo avevo visto invecchiare e lo immaginavo sospeso nel tempo come una comparsa del mio romanzo, che portava il suo stesso nome.

Durante questi quindici giorni intensi, ho incrociato diverse persone che, avvistandomi, mi ripetevano la stessa cosa: “Gaëtan non lo troverà, se non in ciò che ciascuno di noi ti regalerà”. C’era chi mi offriva un panorama, chi un pezzo di formaggio o di salame, chi un ricordo o un bicchiere di vino, chi un soffio di vento o una vecchia fotografia. Tutti questi doni erano appartenuti a lui. Ognuno di loro aveva conosciuto Gaëtan e provava a restituirmelo attraverso un odore, un sapore, una libellula della memoria.

Qualcuno addirittura diceva che gli assomigliavo, in quel mia maniera di “far famiglia” con chiunque mi capitasse davanti. Alla fine del mio viaggio sono finito al Camping Le Marmier di Le Lavandou. In una piccola aiuola tutti i campeggiatori avevano seminato un fiore per ricordare Gaëtan e lì ho trovato una copia del mio romanzo, che Gaëtan non aveva finito di leggere. A pagina diciotto aveva messo come segnalibro una foto ingiallita che lo ritraeva assieme ad un bambino occhialuto. Il marmocchio ero io. Quell’immagine ha fatto scivolare via la vigliaccheria che mi aveva impedito di arrivare in quel posto in tempo per abbracciarlo l’ultima volta. Poi mi sono ricordato le parole che gli avevo sussurrato subito dopo quello scatto: “Zio Gaetano, torna presto. Quando sarò più grande voglio passare tutta l’estate con te”.

Questa è stata l’estate mia e di Gaëtan. Io non sono più un bambino, ma un uomo dai capelli brizzolati. E lui è diventato una scritta sulla sabbia, lì sulla spiaggia di Saint-Clair.

Diario d’estate: I sassolini di Luisa nella tasca scucita dei miei 40 anni

Rosario PipoloQualche settimana fa ho portato l’auto al lavaggio sotto casa. Quando sono tornato a riprenderla, un tizio mi ha detto: “Tenga, abbiamo trovato questo”. Era un sacchetto. Buttando l’occhio, vi ho trovato una miriade di sassolini. Cosa ci facevano nella mia auto?

Mi è tornato in mente il brano Le tasche piene di sassi di Lorenzo Cherubini. Pensavo a quanto una manciata di sassi possa appesantire la nostra quotidianità quando la vita minaccia di ridurre tutto ad “un mantello fatto di stracci”. Eppure non riuscivo a ricordare come fossero finiti nella mia auto. Assomigliavano a quelli che raccoglievo in un secchiello da bambino, nella mattine estive in riva al mare della Calabria. Sì, proprio quei sassolini.

Sono rincasato. Li ho lasciati cadere sul tappeto del soggiorno. Ho provato a contarli, ma erano tanti. In quell’istante mi è tornata in mente un pomeriggio della scorsa estate su una spiaggia marchigiana e lei che mi disse: “Guarda qui. Che bei colori. Toccali, è ancora appiccicato il profumo di mare. Ne ho raccolti tanti. Altro che souvenir, con tutti questi sassolini faremo un bel quadretto per ricordare la prima vacanza condivisa assieme”.

Ecco da dove provenivano, dal lungo litorale delle Marche. Erano rimasti imprigionati per un anno sotto il sedile della mia auto. Mi avevano tenuto compagnia quando ero al volante, senza lasciarmi mai solo. Quei sassolini, usciti fuori dalla tasca scucita dei miei 40 anni, non assomigliavano per niente a quelli della canzone di Jovanotti, ma avevano ricopiato gli auguri di compleanno che Luisa mi aveva lasciato dentro un mantello fatto di stelle: “40 anni, solo un anno in più ma l’animo è e sarà sempre lo stesso. Auguri a te persona unica e speciale, uomo che ti sei costruito da solo, che vivi di passioni, che combatti per ciò che vuoi, che realizzi ciò che desideri, che accogli gli altri così come sono, che fai famiglia con le persone che incontri, che rendi speciale una giornata uggiosa, che rendi una semplice passeggiata un viaggio inaspettato. Vai verso il futuro con la carica del passato e la spinta della curiosità a scoprire cosa l’avvenire ti riserverà”.

I sassolini di Luisa dell’estate scorsa calcavano il tracciato di questa mia prima estate da quarantenne, sotto il cielo della notte magica  di San Lorenzo in cui anche un sasso torna ad essere una stella cadente.

Niente mare a Sharm El Sheik. Estate in Egitto tra golpisti militari e finta democrazia

Rosario PipoloQuesta sarà un’estate calda in Egitto. E non perché i tour operator spediranno tra gli scenari finti di Sharm El Sheik il vacanziero italiano medio con infradito e panza al sole. Persino i napoletani dalla filosofia della “mappatella”, che importarono in riva al Mar Rosso lo stile pacchiano dei lidi di Varcaturo e Mondragone con le canzoni dei neomelodici ad alto volume, dovranno tornarsene in riva alle spiaggette del litorale domitio.
Questa non è più l’estate dell’Egitto da cartolina, della luna di miele lungo il Nilo, questo è un luglio da golpe militare. Gli spettri gloriosi dei faraoni e il bagliore dell’antica civilta egizia, imprigionata tra sarcofaghi, antichi papiri e piramidi, aleggia nelle ore calde che smantellano il mito della Primavera araba.

L’America di Barack Obama, che aveva sposato il patto d’acciaio con Morsi e i fratelli Musulmani, dovrà fare retrofront. A pochi mesi dal quarantesimo anniversario del golpe militare che portò Pinochet al potere in Cile – in una geografia diversa di vicende e colpi di scena – la politica estera degli USA, dal ghigno malefico di Nixon al pacifismo di Obama, ha fatto un buco nell’acqua per il suo trasformismo. Le pagine della storia degli ultimi 50 anni ce lo ricordano. Accade a chi alterna ruoli e posizioni, stando con o contro i golpisti militari. E anche quando la bandiera a stelle e strisce sventola come un vessillo di pace e salvezza, è come quando sbarcò il primo uomo sulla luna. Sotto il casco di Neil Armstrong era scritto lo slogan: “Il piede sulla luna lo abbiamo messo noi. O con noi, o contro di noi”.

Tornando in Medio-Oriente, gli egiziani, con la fame di chi vuole abbuffarsi di “libertà, dignità e riscatto”, si stanno lanciando tra le braccia dell’esercito, perché sopravvivono ancora le dicerie che la democrazia possa indossare una divisa militare. I nuovi salvatori dell’Egitto, che hanno sotto le ascelle il sudaticcio dei vecchi raìs, nel caos dell’euforia, hanno messo già mano alle prime azioni di imbavagliamento, bloccando l’emittente televisiva di Al Jazeera. Basterà l’urlo dei social network a trasformare l’esultanza popolare in acuta riflessione? C’è un cambio di stagione. La primavera ha ceduto il passo ad un’estate piena di contraddizioni. E il Medio-Oriente lo capirà presto.